Viaggio al centro della musica
L’astrusa avanguardia nata all’indomani della Seconda Guerra mondiale e la canzone popolare italiana, che fra gli anni Cinquanta e i Sessanta veniva affermando una sua dimensione militante, sembrano universi musicali lontanissimi. Eppure, al di là della siderale distanza dell’estetica e del linguaggio, è potuto accadere che due compositori agli antipodi come Luigi Nono e Ivan Della Mea abbiano affrontato a distanza di pochi anni lo stesso testo, la tragica testimonianza sulla Shoah da parte di un ragazzino ebreo del quale si conosce solo il nome, Chaïm, contenuta in una lettera scritta ai familiari dal campo di concentramento nazista di Pustków, fra il 1943 e il 1944, poco prima di morire.
«Miei cari genitori, se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me…». Quelle parole scritte in yiddish e legate a una tradizione rabbinica molto antica erano state pubblicate per la prima volta nel 1954 da Einaudi in un’antologia intitolata Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, che aveva costituito peraltro anche la prima documentazione scritta del genocidio degli ebrei. Due anni dopo, erano state inserite con vari altri brani tratti da quel volume nel Canto sospeso per voci soliste, coro e orchestra, uno dei maggiori capolavori di Nono e anche una delle prime composizioni in cui l’Olocausto diventava argomento musicale, dopo lo sconvolgente Un sopravvissuto di Varsavia di Arnold Schoenberg. La stessa lettera, con la sua lancinante poesia e il suo sguardo desolato, sarebbe stata utilizzata nel 1964 dal ventiquattrenne Della Mea in una canzone intitolata Se il cielo fosse bianco di carta. In questo caso, era proprio la prima volta che la canzone popolare affrontava il tema del genocidio degli ebrei. Il brano fu interpretato inizialmente da un’altra protagonista della cantautorialità impegnata come Giovanna Marini, quindi inserito dallo stesso autore in un Lp pubblicato nel 1972, infine ripreso nel 2004 dal gruppo folk goriziano Zuf de Zur, in un arrangiamento dal sapido connotato timbrico klezmer. Destino comune alle due composizioni, un’accoglienza perplessa. Per Nono, anche a causa della voluta non intellegibilità del testo (oggetto di aspra ma contradditoria critica di Karl-Heinz Stockhausen, che pure praticava un’analoga prassi compositiva rispetto alle parole); per Della Mea perché il soggetto fu considerato inadatto al genere e al contesto (le tremende parole di Chaïm scorrono su un trascinante quanto semplice tempo di valzer). Di lì a poco, Auschwitz di Francesco Guccini avrebbe cambiato la prospettiva.
La relazione esistente fra Il canto sospeso di Luigi Nono e Lettera a Chaïm di Ivan Della Mea è uno dei numerosi momenti intriganti e rivelatori del più recente libro di Alessandro Carrera, Polvere di stelle – Dall’armonia delle sfere ai concerti negli stadi (Mimesis / Musica contemporanea, pagg. 398, € 28,00). I dodici saggi raccolti dall’autore in questo libro, originariamente pubblicati nell’arco di quarant’anni a partire dal 1981, non lasciano mai spazio all’idea della raccolta fine a sé stessa. Incorniciati fra una Premessa e una Conclusione di nuovo conio, delineano anzi un filo rosso nel quale la dissertazione di filosofia della musica è nutrita da un comparatismo di fascinosa portata storica e culturale, che può tenere insieme – per fare solo un esempio – il belcantismo spinto delle scene di follia nell’opera del primo Romanticismo italiano e gli “svoli” con i quali Giovanna Marini arricchisce le sue sofisticate rivisitazioni dei lamenti funebri, fra mediazione etnomusicologica e originale consapevolezza creativa.
Il punto di partenza di questo sofisticato percorso è costituito dalla riflessione sulla natura della musica e sul suo significato in relazione con le sue funzioni cosmogoniche e mitologiche, e si conclude con una sorta di appello per la messa a punto di una filosofia della “popular music”. Una ricerca che Carrera – docente di Italian Studies all’Università di Houston, Texas – proclama necessaria e doverosa, e nella quale la suddivisione dei generi appare sempre meno inevitabile.
Si comincia quindi con un dotto excursus sull’essenza sonora del mondo (così s’intitola il primo capitolo), che consente di capire quanto il suono sia elemento fondante nelle narrazioni sull’origine della realtà visibile da un capo all’altro del pianeta, dalle Upaniṣad indiane al Kalevala finnico, nel rapporto per certi aspetti inquietante fra l’idea creatrice di “soffio vitale” e il rapporto con la morte, il vuoto, l’assenza di tutto. Il passo successivo – solo apparentemente lungo, in realtà culturalmente e antropologicamente consequenziale – riguarda il rapporto fra musica e psicanalisi – nel dualismo tra la dottrina freudiana, per molti aspetti singolarmente avulsa dall’elemento musicale, e quella junghiana, nella quale, come scrive Carrera, “il processo di psicologizzazione dell’essenza sonora del mondo trova una delle tappe fondamentali”. A questo punto, il grande tema – del resto connaturato alla musica occidentale fin dalle sue prime manifestazioni – riguarda il significato o il non significato della musica, l’arte che Claude Lévi-Strauss avrebbe definito più avanti nel Novecento “intellegibile ma intraducibile”. A conclusione della “discesa nella psicologia” del mondo dei suoni, la questione si può forse racchiudere nella frase di Pierre Boulez, che opportunamente Carrera pone quasi a suggello del lungo percorso sulle radici profonde della musica. È una sorta di proclama, o di “programma” dell’Avanguardia di cui il compositore francese è stato uno dei maggiori protagonisti: «Il non-significato della musica è irrimediabilmente la nostra forza specifica; non perderemo mai di vista che l’ordine del fenomeno suono è primordiale: vivere quest’ordine è l’essenza stessa della musica”.
Dissodato il terreno in questo modo, l’autore entra nel cuore del discorso nella parte centrale del libro, intitolata “Agonie romantiche e vortici espressionisti”. C’è spazio per una impietosa analisi del velleitario narcisismo di Wagner a proposito della sua opera ultima, Parsifal, ma soprattutto c’è un’analisi approfondita del passaggio dal Romanticismo alla sua crisi e all’Espressionismo, sempre nella chiave della ricerca di significato della musica. Il discorso parte dal razionalismo ormai vicino a incrinarsi, come appare nella seconda metà del Settecento nel Nipote di Rameau di Denis Diderot; passa e si sofferma sul sistema filosofico di Arthur Schopenhauer, che affidava alla musica un primato simbolico e ideale senza precedenti e senza seguiti nella speculazione europea del XIX secolo, con la costruzione di una complessa rete di analogie e simboli nel tentativo di andare oltre la ineffabilità del mondo dei suoni; approda infine alle complesse meditazioni sul senso della musica condotte da Arnold Schoenberg, in buona misura dedicate al rapporto con la parola poetica.
In alternativa, quasi a chiarire una volta di più la visione culturale molteplice e multidirezionale di Carrera, il capitolo intitolato “La storia della musica secondo Ernst Bloch” si occupa di accendere una luce sulla riflessione dell’autore tedesco che non credeva alla successione cronologica degli eventi artistici nella musica, leggendoli invece, dal Rinascimento al secolo Romantico, come un movimento non lineare nel quale l’evoluzione stilistica assume un’importanza solo marginale. Qualcosa del genere, annota Carrera molto più avanti nel libro, nel capitolo in cui si occupa della critica rock come genere letterario, avviene anche se l’argomento è la musica americana del secondo Novecento. Greil Marcus, nel suo fondamentale La storia del rock ’n’ roll in dieci canzoni (2014) “vìola” anch’egli l’ordine cronologico per accedere (e fare accedere il lettore) a una visione molto più creativamente connotata e argomentata espressivamente. Così Ernst Bloch e il critico americano risultano all’improvviso molto meno lontani e “incompatibili” di quanto si potrebbe supporre. E i Flamin’Grooves (gli autori della prima canzone citata nel libro, scritta nel 1972 e incisa nel 1976) ci appaiono in una luce un po’ diversa, com’era accaduto sia per Luigi Nono che per Ivan Della Mea.
La terza e ultima parte del libro è una cavalcata nella canzone d’autore italiana, da Giovanna Marini (specialmente al cospetto della poesia di Pier Paolo Pasolini) a Franco Battiato (il cui declino è indicato nell’incontro con i testi di Manlio Sgalambro), che vengono messi a fuoco in maniera esemplare in due magnifici ritratti biografici e musicali. Ma è anche l’occasione per una dotta quanto brillante dissertazione su “Poetica del fraintendimento e fonetica dell’identità”, un saggio illuminante che prende le mosse dai malintesi e dagli spostamenti semantici che sono numerosi rispetto ai testi cantati in inglese e che in italiano hanno una tradizione dialettale specialmente rispetto al latino, ma che sono stati “vivificati” da due cantautori appartati ma meritevoli di approfondimento come Davide van de Sfroos e soprattutto il poco conosciuto Charlie Cinelli. Nelle sue canzoni il dialetto delle valli bresciane è contaminato dall’italiano e a sua volta “tagliato” dagli apporti di altri parlanti che fanno parte dei flussi migratori caratteristici specialmente di quella zona della Lombardia. La musicologia applicata e la linguistica incontrano la sociologia dell’identità culturale.
Alla base, è sempre dominante in Carrera l’interesse per la parola cantata, che si muove in parallelo e non necessariamente in funzione esplicativa rispetto alla significatività implicita della musica a cui viene collegata. E nella popular music conosce l’esperienza di una “soggettività allargata”, dal punto di vista creativo. Nella tesi dell’autore, infatti, ogni canzone ha una sorta di vita autonoma, resa evidente in maniera diversa da ogni interprete e da ogni versione, non essendo mai davvero “completamente scritta”. Mondi antichi e nuovi, insomma, s’incrociano e s’interrogano in questo libro denso e profondo. E la problematica ma vivificante ricerca del significato della musica non cessa di creare orizzonti diversi per ciascuno di essi, nella realtà del suono.