Charlotte Perriand e l’«Art d'habiter»
Da quando Charlotte Perriand (1903–1999) l'ha resa pubblica nella sua autobiografia, è diventata famosa la frase con cui Le Corbusier, sempre descritto come tombeur de femmes nella vita privata e irriducibile maschilista sul lavoro, l’ha apostrofata, quando lei, giovanissima, ha avuto l'ardire di presentarsi in qualità di progettista nel suo studio parigino, al 35 di rue des Sèvres, da lui condiviso con il cugino Pierre Jeanneret:
“Ici on ne brode pas des coussins!” (qui non si ricamano cuscini.)
In realtà, l’evidenza dei fatti smentisce la cattiva fama del maestro, sorretta anche dalle dicerie sul suo rapporto teso con Eileen Gray [il cui progetto della Maison en bord de mer (E1027) fu erroneamente attribuita a lui per decenni, con tutto quel che ne conseguì per la grande artista irlandese], poiché egli ebbe a lavorare nel proprio studio ben due donne progettiste, in tempi in cui la professione di architetto era esclusivamente riservata agli uomini. Infatti Charlotte Perriand, nonostante quella frase respingente, vi fu comunque accolta alla fine di quel 1927 in cui si era presentata. A convincere Corbu a prenderla a lavorare con sé fu il progetto del Bar sous le toit, che Charlotte aveva concepito per la propria abitazione di Place Saint Sulpice, realizzato in acciaio cromato e alluminio anodizzato e presentato al Salon d’Automne di quell’anno, dove, appunto, Corbu lo vide e se ne innamorò.
Tuttavia non era stata la Perriand la prima donna ad arrivare nello studio al 35 di rue des Sèvres. L'aveva infatti preceduta, un anno avanti, la svedese Ingrid Wallberg (1890 – 1965), sorella di Charlotta Maria Lotten, detta Lotti, moglie del fratello di Corbu, Albert Jeanneret.
Charlotte e Ingrid giunsero in studio quando il maestro del Razionalismo stava lavorando a Villa Stein-de Monzie (da lui soprannominata Les Terrasses) che sarebbe sorta a Garches, in uno dei più bei sobborghi di Parigi. Nonostante la differenza di età (lei 24, Ingrid 38), di stato sociale (le Wallberg erano ricchissime, fu infatti con il loro finanziamento che fu costruita la maison Jeanneret – oggi patrimonio UNESCO, unitamente alla contigua maison La Roche – in Rue du Docteur Blanche) e di formazione, le due ‘tirocinanti’ diventarono subito amiche, accomunate com’erano dalla passione per l’architettura, dalla tenacia e dalla determinazione. C’è una foto che le ritrae insieme, in visita al padiglione della Nestlé, progettato dai cugini Jeanneret per la Fiera di Parigi del 1928, l’anno successivo a quello in cui si erano conosciute nello studio di rue des Sèvres.
Un’altra esperienza che condivisero fu l’entusiasmo per la nascita del CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne), al quale Charlotte partecipò, mentre Ingrid dovette rinunciarvi all’ultimo momento, a causa dell’ostruzionismo dei suoi colleghi svedesi (tutti maschi) che non concessero il loro appoggio alla sua candidatura. Di lì a poco la Wallberg lasciò Parigi e fece ritorno in patria, dove ebbe una splendida carriera di architetto progettista, mentre Charlotte, prima di aprirne uno tutto suo, fino al 1937, continuò a lavorare nello studio del maestro e di suo cugino, occupandosi con loro soprattutto della progettazione degli interni e di quella degli arredi, questi ultimi divenuti dei veri e propri must, tutt’oggi in produzione.
Fuori dall'ombra. Le pioniere del design e dell’architettura del Novecento, è il titolo di una collana diretta da Gisella Bassanini e Giovanna Canzi per Marinonibooks, la casa editrice indipendente, nata a Cassolnovo (Pv) nel 2020, che pubblica ‘libri con figure’.
Il primo volume di questa nuova collana è dedicato proprio a Charlotte Perriand, con testi delle stesse Gisella Bassanini e Giovanna Canzi, disegni di Emi Ligabue e con una postfazione di Adele Cassina (pp. 72, € 40.00).
Gisella Bassanini non è nuova a questo lavoro di speleologia sull’architettura e sul design ‘al femminile’, infatti, fin dagli anni novanta del novecento è stata una pioniera di questa indagine sul campo, quando, da poco laureata, insieme a Ida Farè e ad altre coraggiose ricercatrici accademiche (Sandra Bonfiglioli, Marisa Bressan), fra le pareti della Scuola di Architettura del Politecnico di Milano, partecipò al Gruppo Vanda che si riproponeva di indagare, spesso per la prima volta, l’opera delle architettrici, nonché l’apporto delle donne negli ambiti dell’urbanistica e del design.
Ci sono voluti trent’anni, e una stagione critica favorevole alle indagini sulle protagoniste femminili dell’architettura e del design, perché quelle pionieristiche ricerche uscissero dalle aule universitarie, per diventare finalmente una collana di libri accessibili a tutti. Per di più illustrati, in modo assolutamente creativo, da altre mani di donne.
Questo dedicato a Perriand è corredato dai lavori di Emanuela (Emi) Ligabue, così in contrappunto, nella loro giocosa intemperanza postmoderna, con la sobria misura dei progetti di Perriand, eppure con essi così in sintonia, accomunati, come sono, dal ritmo delle geometrie, modulate sul cromatismo delle superfici.
C’è una foto piuttosto nota che ritrae Charlotte seduta sulla Chaise longue basculante (oggi prodotta da Cassina con la sigla LC4) da lei progettata nel 1929 con LC e Jeanneret, che può essere presa a dimostrazione di come “una strana poltrona allungata può accogliere un corpo in un modo del tutto nuovo” scrivono Bassanini e Canzi, “ma non per questo meno confortevole. Il richiamo è al pioupiou, il soldato che per riposarsi si sdraia a terra, solleva i piedi e li appoggia un albero, mettendosi lo zaino dietro la testa: è questa l’idea di fondo, l’immagine da cui Charlotte ha tratto ispirazione, come afferma lei stessa.”
Perché Charlotte per i suoi progetti di arredi traeva ispirazione dalla vita vera, credeva che un design moderno potesse migliorare la vita dell’uomo ed anche aiutare a creare una società migliore. Per realizzare i suoi oggetti d’arredo ha sempre pensato all’industria meccanica, anche a quella che produceva gli aerei, e come materiali ha inizialmente prediletto l’acciaio cromato e l’alluminio anodizzato, in luogo del tradizionale legno, e i pellami, invece dei tessuti, i rivetti, al posto delle saldature. Tuttavia, quando, insieme a Le Corbusier e a Pierre Jeanneret, nel 1928 presentò al produttore di biciclette Peugeot i prototipi in tubolare d’acciaio della Chaise longue basculante, della Fauteuil dossier basculant, dello sgabello, della Fauteuil Grand Confort e del tavolo Table d’Avion (tutti pezzi poi divenuti iconici) perché li mettesse in produzione, ne ricevette un netto rifiuto. Così ne ha scritto lei stessa: “I nostri tentativi di colloqui con l’azienda di biciclette Peugeot sono sfociati in mezz’ora di totale incomprensione.”
Per fortuna la lungimirante industria Thonet, intuendo le potenzialità di quegli arredi assolutamente innovativi, si fece carico delle spese per realizzare i prototipi da esporre al Salon des artistes décorateurs del 1929. E fu subito un grande successo, forte del quale l’industria viennese diede avvio, l’anno successivo, ad una loro produzione in serie limitata. E il loro successo di pubblico continua anche oggi, grazie a Cassina.
Il 1929 fu decisamente un anno d’oro per Charlotte Perriand. Insieme alla sempre crescente fortuna conseguita dagli arredi, fu anche tra le fondatrici della UAM (Union des Artistes Modernes) insieme allo stesso Le Corbusier, a Pierre Jeanneret, a René Herbs, a Robert Mallet-Stevens, a Jean Prouvé, a Pierre Chareau, a Sonia Delaunay, ad Hélène Henry e a Eileen Gray, tutti impegnati in una battaglia per le linee pure ed essenziali della modernità, contro l’eccesso di ornamento del passato, a favore del funzionalismo dei progetti e dell’utilizzo dei nuovi materiali messi a punto dall’industria. L’anno dopo anche Dudok e Gropius si unirono al gruppo, quindi vi aderirono Lurçat e Sartoris, in nome della unità fra le arti, nel motto: “Pour l’Art Moderne, cadre de la vie contemporaine”, messo a punto dal critico Louis Cheronnet.
La storia professionale di Charlotte Perriand, che le autrici del libro narrano con grande precisione e in modo coinvolgente, può essere suddivisa in tre parti, fra loro distinte e separate: la fase uno, coincidente con il suo lavoro presso Le Corbusier e Pierre Jeanneret, di cui si è in parte detto, durata un decennio (1927 – 1937). La fase due, (1937 – 1946), che potremmo definire politica, ambientalista ed orientale, in cui operò anche in Giappone e in Indocina (attuale Vietnam), e dove nel 1943 si sposò per la seconda volta ed ebbe la figlia Pernette. La fase tre, o della maturità, che va dal secondo dopoguerra alla sua morte, in cui ha collaborato con i più grandi architetti del tempo (Jean Prouvé, Junzo Sakakura, Lucio Costa, M. Elisa Costa, Oscar Niemeyer, Burle Marx) e ha ricoperto importanti incarichi pubblici, lavorando fino all’ultimo battito del suo grande cuore, sistemando infine il suo immenso archivio e scrivendo la propria autobiografia, Une vie de création, edita nel 1998, giusto un anno prima che morisse.
Insieme a quella per l’architettura e per il design, c’è un’altra passione che Charlotte ha coltivato per tutta la vita, quella per la fotografia.
Ha iniziato a fotografare negli anni venti, usando gli scatti come penna e i fotogrammi come pagine di appunti, indagando dettagli di forme e di volumi o addirittura materiali che avrebbero potuto esserle utili per i suoi progetti d’arredo. Nella serie di foto che ha denominato Art Brut ci sono sassi, lische di pesce, pezzi di legno e di metallo, objets trouvés insomma che in qualche modo hanno ispirato le sue creazioni, come, ad esempio, il tavolino Accordo che richiama la forma di un sasso, o il Refuge Tonneau, da lei progettato con Pierre Jeanneret nel 1938 per le montagne dell’Alta Savoia, che trae ispirazione da una giostra da lei fotografata in Croazia, o la lampada Potence Pivotante, quasi miesiana nella sua nuda essenzialità, che prende addirittura spunto dal boma di una barca a vela.
Charlotte, inoltre, come ci ricordano Bassanini e Canzi, “da vera ambientalista ante litteram, come l’amica artista Dora Maar, utilizza la fotografia per raccontare le trasformazioni del novecento e una certa idea di modernità e progresso, oltre che per denunciare le miserabili condizioni di vita di una parte della popolazione, l’inquinamento e la speculazione sempre più imperanti. Frutto di questo linguaggio espressivo è, ad esempio, il fotomontaggio gigante Misère de Paris, che presenta nel 1936 alla Exposition de l’habitation, organizzata dalla rivista l’Architecture d’aujourd’hui, all’interno del Salon des Arts Menagèrs del Grand Palais o quello realizzato in collaborazione con Fernand Léger [suo fraterno amico] nel 1937 per illustrare il programma del Ministero dell'Agricoltura francese.”
Nel fotomontaggio Misère de Paris, Charlotte denuncia le spaventose condizioni di igiene e di vita nella capitale francese. La lettura del pannello che va da sinistra verso destra, dalla città verso la campagna, sottolinea, con una visione di sorprendente attualità, i disastrosi effetti della cosiddetta modernità: la frequenza della mortalità infantile, la troppo elevata densità abitativa delle periferie, l'inquinamento, la disuguaglianza delle condizioni di vita, l'alienazione delle donne, la perdita di contatto con la natura. Certamente Charlotte aveva una visione militante dell’arte (per un certo periodo fu vicina al Partito Comunista Francese), per lei l'arte non poteva che essere politica, vista come una difesa-denuncia contro ciò che aliena e opprime la vita dell’uomo.
“Una donna libera, una pioniera della modernità, una delle personalità di spicco del mondo del design del XX secolo che ha contribuito a definire una nuova arte di vivere”. Sono le parole con cui Charlotte è stata presentata nella grande mostra che la Fondazione Louis Vuitton le ha dedicato nel 2019, a vent’anni dalla sua morte, intitolata Il mondo nuovo di Charlotte Perriand.
Una figura di grande modernità, la sua, tanto sul piano delle idee, quanto su quello dei progetti realizzati e delle sue scelte personali, sempre anticonvenzionali e all’avanguardia, tutte descritte nel libro edito da Marinonibooks, a cui si rimanda, per seguirne puntualmente le vicende di vita e di lavoro.