Ciao! Sono la Stefi

7 Marzo 2014

C’ero anche io tra le migliaia di bambine che alle elementari aspettavano ogni settimana le strisce della Stefi sul Corriere dei Piccoli, pubblicate regolarmente dal 1976 e oggi ospitate di tanto in tanto dal Corriere della Sera.

 

Ciao! Sono la Stefi, Grazia Nidasio, Rizzoli 1978


Lucy e Mafalda erano bambine troppo adulte per i miei gusti.

 

Linus, anno X, numero 1, Milano Libri 1974

 

I cento volti a fumetti di Pierino la Peste, Marcelo Ravoni e Valerio Riva (a cura di), A. Mondadori Editore 1972 pag. 70


La Stefi, invece, era una bambina vera: Stefi Morandini, otto anni, una famiglia tradizionale ma aperta e affettuosa, due fratelli adolescenti (il Cesare e Valentina), Ubu, il cane, la nonna, molti amici e compagni di scuola, Eziomaria il preferito.
Una bambina a cui viene la febbre alta, che ha il terrore del dentista, che non riesce a imparare le poesie a memoria e non capisce nulla dei test di intelligenza, che scappa di casa dopo una sgridata finché la nostalgia la riporta in un lampo tra le braccia della mamma.

 


La Stefi odia le smancerie, vorrebbe saper fischiare e fare il muratore, giocare a calcio con i maschi, senza però nascondere la gioia di andare dal parrucchiere e di desiderare un maglione nuovo rosso coi bottoni blu, sempre pronta a difendere i diritti dei bambini e delle persone in difficoltà.

 

 



In questo contesto reale e riconoscibile, la Stefi è, giorno per giorno, alle prese con i vantaggi e svantaggi dell’essere piccola: la libertà di agire d’istinto e di parlare senza peli sulla lingua e, nello stesso tempo, l’insofferenza di non essere ancora indipendente e affidabile.

 

 

Qui sta la straordinaria capacità di Grazia Nidasio di saper raccontare con il disegno la quotidianità dei bambini, dando voce al loro pensiero, ai loro problemi, ai loro desideri. La mano è fortemente descrittiva, per nulla grafica e sintetica, efficacissima nell’esprimere la rabbia, la vergogna o l’esplosione della gioia attraverso i gesti, il colore, il linguaggio tipico dell’infanzia, e, soprattutto, con il registro caldo dell’ironia che sa spiazzare e coinvolgere con una risata.


La Stefi, pur essendo figlia degli anni settanta, diventa così una bambina che non ha età, in cui è facile identificarsi ancora oggi (sempre disponibile e venduta la raccolta di Rizzoli), tra una risposta dissacrante e irriverente, la vergogna per l’apparecchio ai denti, la risata per un rutto a tavola, la commozione per un prato fiorito.

 

 



Emerge da questi fumetti una figura bellissima di bambina, speciale senza essere straordinaria.
Una bambina curiosa di tutto, attenta e sensibile a quello che la circonda, cresciuta libera di essere, dire e fare esperienze, con emozioni a fior di pelle e le idee chiare su da che parte stare. Un maschiaccio che difende anche la sua femminilità.


Il fumetto della Nidasio è uno strumento potentissimo per raccontare l’infanzia, rivelando un’altra immagine preziosa: quella di adulti capaci di osservare, ascoltare e tenere in considerazione i bambini, senza essere straordinari.

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