Ferriera, storie dappertutto
Ferriera è il ritratto di un uomo attraverso lo sguardo di una figlia. La prima immagine è la carta di identità di Mario Valentinis, classe 1928, operaio in fabbrica a Udine fin da adolescente, a quattordici anni orfano di padre per un incidente sul lavoro, emigrante in Australia come bracciante agricolo dal 1960 al 1963 e attrezzista laminatoio in fonderia fino agli anni settanta.
Ferriera è anche l’immaginario di una donna che dà forma alla consapevolezza di se stessa attraverso le storie di famiglia. Girando pagina c’è Pia Valentinis, di spalle e sola alla scrivania, che guarda una tavola del fumetto che sta illustrando.
Una relazione complessa quella tra Mario e Pia, fatta di poche parole, di vergogna e fascino.
Mario era “un operaio, una persona semplice e fin troppo diretta”, “di umore imprevedibile” che “peggiorava quando beveva”, che sapeva “di sudore, fatica, vino, nazionali senza filtro, ferro infuocato e fumo oleoso”. Un uomo duro e a tratti rabbioso. Non sopportava la disonestà e l’indifferenza. Era cresciuto con lo spirito antifascista di suo padre Giovanni che non prese mai la tessera del duce. Odiava i preti, i musei, gli intellettuali snob e le “americanate in televisione”. Aveva un immaginario ricchissimo e una sensibilità speciale. Era cresciuto con le storie del Corriere dei Piccoli, le figure della pubblicità e le notizie dei giornali che si commentava tutti insieme a tavola. Allevava uccelli perché “gli piaceva sentirli cantare e li osservava per ore”, amava il pianoforte, John Wayne e la moglie Clelia. Sapeva “riconoscere i bisogni autentici e aveva un gusto estetico molto raffinato”.
Al centro della sua vita c’è sempre stato il lavoro, tra i campi di tabacco e le fabbriche dell’Australia e la fonderia di Udine.
L’orgoglio condiviso con i compagni per un “lavoro infernale e per saperlo fare”.
Il dolore e la rabbia per chi ha perso la vita sul lavoro. L’amarezza e la preoccupazione di chi è sopravvissuto a un incidente e ha pensato “perché non io?”.
La lotta per la dignità delle condizioni di lavoro e di vita tra il sessantotto e la fine degli anni settanta.
Le manifestazioni “con i piedi in fiamme e il cuore leggero”, in cui la convinzione e il coraggio dei singoli esplodono in una forza comune, spaventosa e incontrollabile.
In questo passaggio da una carta d’identità che sta in una tasca all’immagine di una piazza affollata, vita privata e storia collettiva si incontrano. L’amore e la stima per il padre superano i confini della biografia per aprirsi alla condivisione di uno sguardo luminoso di cura e responsabilità del presente. Ricordare (re-cordis “ripassare dalle parti del cuore”) è prendere per mano il passato e accompagnarlo verso il futuro, come Pia ha fatto con suo padre per tutta la vita, fino all’ultima pagina in cui camminano insieme tra i campi.
Con la curiosità di sapere, la capacità di “vedere storie dappertutto” e di prendersi cura di una relazione, ma anche di tutte le storie.
Non si sente il peso di un’eredità ma la forza di una prospettiva per costruire ciò che è possibile e difendere ciò che è giusto, a partire da ciò che siamo e abbiamo ricevuto nelle case della nostra infanzia e nelle piazze della nostra storia. “La verità è sempre concreta”.