Come la questione gay sta cambiando il mondo
“In questo quartiere si è sempre ben accolti, a patto di consumare. In altri posti in Messico i gay non sono rispettati come dovrebbero”: è con questa frase, contenuta nei primi capitoli di Global Gay, che si potrebbe idealmente riassumere l'indagine sociologica di Frédéric Martel. Pubblicato da Feltrinelli (traduzione di Giorgia Fracca) e da poco in libreria, Global Gay (con sottotitolo originale Come la questione gay sta cambiando il mondo) è un viaggio di cinque anni in 45 paesi, una ricerca sul campo con incontri e interviste ai protagonisti della vita gay nel mondo, un tentativo di restituire il quadro di una situazione variegata e complessa, che tenta di trasformare in storytelling le informazioni spesso sintetizzate in infografiche e cartine tematiche.
Qual è la situazione dei diritti dei gay nel mondo? Com'è la vita quotidiana di uomini e donne GLBT in paesi ancora arretrati dal punto di vista dei diritti umani, come Cuba, l'Iran o la Cina? Per dare ordine a un progetto così ambizioso e impegnativo, Martel adotta un modello di confronto tra il globale e il locale, adattandolo alla questione dei diritti GLBT. Se è individuabile una condizione globale della vita gay, e cioè uno stesso nucleo di valori, bisogni e desideri che richiedono stessi diritti ovunque, allo stesso tempo esiste un adattamento locale di quelle istanze, condizionato dalla situazione politica e civile di ciascun territorio. Se globale è la condizione gay e l'innegabile diritto di esistere, locale è la situazione particolare, la realtà dei fatti di ciascun paese, che Martel interroga attraverso i suoi incontri. E così, da buon sociologo, individua negli stili di vita proprio il punto di incontro tra globale e locale, e attraverso l'analisi degli stili di vita gay tenta di restituire un racconto di mondi dissimili a partire da una radice comune.
Global Gay individua le similitudini e le molte differenze tra Stati Uniti e Cina, Iran e Paesi Bassi, riuscendo a restituire quel quadro contrastato in cui “i gay possono sposarsi a Johannesburg e a Buenos Aires, ma non a Chicago o Miami” (un dato che andrebbe aggiornato, visto che dal 1 giugno 2014 ci si può sposare anche a Chicago e in tutto l'Illinois). Liquidando immediatamente una suddivisione insensata tra Occidente dei diritti avanzati (basti pensare all'Italia) e Oriente repressivo, Martel riesce a restituire un quadro necessariamente parziale ma significativo della situazione globale, come nella descrizione intensa, quasi da romanzo, della vita dei gay a Cuba, o quella ambigua, sospesa tra invisibilità e tolleranza, in paesi come Cina o Giappone. Se è innegabile che quella dei diritti dei gay è una questione di diritti umani, e che quindi la condizione delle persone GLBT è di interesse globale, Martel giustamente da un lato de-occidentalizza il focus della sua ricerca, dall'altro non può non guardare agli Stati Uniti, che dal punto di vista sia politico sia culturale sono il faro a cui tutti gli altri paesi fanno riferimento. Dovunque il sociologo vada, e con chiunque parli, le battaglie e le icone americane emergono spesso, per un motivo o per l'altro: Stonewall, il bar di New York da cui si fa tradizionalmente partire la battaglia per i diritti GLBT dei gay pride, è un'icona ormai polverosa ma sempre citata, il vago riferimento di cittadini di paesi in cui il gay pride non esiste, e dove si può vivere la propria vita di omosessuali a patto di non rendersi visibili e non fare rivendicazioni politiche. O dove si è comunque perseguitati e in alcuni casi incarcerati o giustiziati.
Gli onnipresenti Stati Uniti sembrano ancora il paese che sa esportare la democrazia, magari veicolata dal tradizionale interventismo politico o ancor di più dalla vocazione transnazionale del capitalismo avanzato. È il mercato, il sistema degli stili di vita e dei consumi, il vero protagonista di Global gay, il filo rosso che emerge da molte interviste e racconti sulla situazione dei diritti, in Cina come in Iran. Le persone che Martel incontra indossano spesso Abercrombie & Fitch, il brand di abbigliamento casual che “utilizza l'immaginario gay per vendere vestiti anche agli etero”, e spesso nella “strada gay” di una delle molte città non americane visitate fa capolino uno Starbucks. C'è anche da dire che queste descrizioni caratterizzanti sono sempre riferite a uomini, quasi mai a donne, trattenute in una descrizione più generica, sicuramente molto meno connotata, come se anche in questo la visibilità femminile fosse molto più difficoltosa rispetto a quella maschile.
Anche i modelli di organizzazione territoriale della vita gay sembrano spesso un calco di quelli sperimentati e affermatisi negli Stati Uniti o in altri paesi occidentali: il fenomeno della gentrification, ovvero il progressivo arricchimento di quartieri una volta periferici o poco raccomandabili, che attraggono avanguardie di cittadini per gli affitti bassi e le nuove occasioni commerciali e di consumo, è ovviamente mutuato dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra, così come il modello di interi quartieri metropolitani (i village) e persino quello della disseminazione di locali e consumi gay sull'intero tessuto di una città (modello che Martel chiama postgay).
L'azione politica internazionale dei gruppi e delle associazioni americane dei diritti GLBT sembra poi aderire al tipico modello dell'interventismo, con il meccanismo dell'advocacy: il tentativo di influenzare il cambiamento nel proprio e in altri paesi attraverso il sostegno ad associazioni locali. Martel analizza il caso esemplare dell'Uganda, dove un'associazione potente come Human Rights Watch, vera e propria multinazionale del “marketing umanitario”, sostiene le associazioni e le persone GLBT locali nel tentativo di cambiare la loro situazione. Al tempo stesso, le chiese evangeliche americane inviano in Uganda i loro predicatori rivolgendosi a quella parte di ugandesi che rifiuta di riconoscere i diritti ai loro concittadini gay. Il risultato è “una strana guerra culturale americana, condotta a migliaia di chilometri dagli Stati Uniti, in cui estremisti religiosi e associazioni gay si combattono finanziando i loro alleati locali. Ecco come gli americani esportano le loro divisioni interne e le loro battaglie culturali a scapito degli africani”.
La centralità dei consumi e quindi di un mercato sempre più fiorente (e interessante per chi vuole guadagnarci), è spiegata anche dal semplice fatto che laddove non si possono esprimere ad alta voce la propria identità e i propri diritti, la comunanza di un modo di essere e di un certo stile di vita può almeno esprimersi ritrovandosi in certi locali, dove c'è una certa musica e una certa clientela. Soprattutto nei posti dove non può esserci ancora una rivendicazione politica, la vita gay si esprime e nutre attraverso i suoi consumi, spesso mutuati da altre culture più trasparenti e influenti. Martel riesce a mostrare efficacemente il fenomeno di una certa omologazione glocal degli stili di vita grazie alla semplice reiterazione delle descrizioni di ritrovi pubblici, che sembrano tutti diversi tra loro e comunque tutti uguali, in qualunque città del mondo si trovi, tra bandiere rainbow e canzoni disco. Eppure, in questo panorama condizionato dal territorio, emerge la deterritorializzazione consentita da internet e dai social network, con Facebook eletto a zona franca per essere più liberi di esprimersi, laddove nella propria città è ancora impossibile farlo.
Nel capitolo cruciale intitolato La guerra globale delle immagini, Martel dimostra come il campo di battaglia per un radicale cambiamento culturale non siano più soltanto le città e le nazioni con i loro cittadini, ma un ambiente mediale globalizzato che riesce a far arrivare certi argomenti tabù in Arabia Saudita grazie alla tv satellitare, che aggira temporaneamente i confini e le censure nazionali grazie a Twitter o ai servizi di messaggistica istantanea online, o grazie al quale “nerd cinesi di San Francisco inventano in tempo reale software in grado di contrastare le censure del loro paese di origine”. In questo intreccio complesso di globale e locale, di capitalismo e diritti inalienabili, Martel esprime la certezza che prima o poi il cambiamento ci sarà per tutti, proprio in virtù della potenza incontrollabile del mercato e dei media. Quello che probabilmente non trova una risposta sufficiente è se questo inarrestabile progresso sia pensabile al di fuori di un'economia di mercato, che malgrado i distinguo locali non sembra trovare alternative o critiche. Detto altrimenti: esiste una forma di diffusione dello stato di diritto (gay) che non comporti al tempo stesso un ulteriore potenziamento del capitalismo?