Coscienza artificiale
Etica e libero arbitrio
Evodio- So con certezza che altro è vivere
ed altro esser coscienti di vivere.
Agostino- Quale ti sembra più elevato?
Evodio- Certamente la coscienza di vivere.
Sant’Agostino
La volta scorsa ho proposto una definizione operativa, anche se discutibile, di estetica e di etica:
• L’estetica è la percezione soggettiva (ma condivisa) del nostro legame con l’ambiente, legame caratterizzato da una profonda ed equilibrata armonia dinamica.
• L’etica è la capacità, soggettiva e intersoggettiva, di concepire e compiere azioni capaci di mantenere sano ed equilibrato il legame con l’ambiente.
Etica ed estetica sono quindi due facce della stessa medaglia perché derivano dalla coimplicazione evolutiva tra specie e ambiente e sono entrambe “rispecchiamenti” in noi di questa coevoluzione. Se l’estetica è il sentimento (inter)soggettivo dell’immersione armonica nell’ambiente e l’etica è il sentimento (inter)soggettivo di rispetto per l’ambiente e di azione armonica con esso, allora l’etica ci consente di mantenere l’estetica e l’estetica ci serve da guida nell’operare etico.
Al tema dell’etica si legano altri concetti importanti: la libertà, la responsabilità, la dignità e così via, che si possono raggruppare intorno al tema formidabile e controverso del libero arbitrio. Alcuni risolvono sbrigativamente il problema negando la libertà non solo ai fenomeni naturali, ma anche all’uomo, sulla base di un feroce determinismo di stampo fisicalista, alla Laplace.
Secondo questa visione, io starei scrivendo queste cose non perché voglio comunicarle, ma perché i miei neuroni si trovano in un certo stato. Bisognerebbe a questo punto spiegare perché i miei neuroni si trovano in questo stato, e poi bisognerebbe trovare una causa a questa causa, e così via. D’altra parte l’asserzione “voglio comunicare queste cose” è altrettanto problematica.
Altri, all’opposto, negano la libertà riconducendola alla pura casualità: così io scriverei ciò che scrivo per caso, ma potrei anche scrivere cose molto diverse o addirittura opposte... Qui la difficoltà è quella di dare una spiegazione coerente e persuasiva del “caso”, ma in oltre duemila anni di sforzi i filosofi e gli scienziati non ci sono riusciti pienamente. Per alcuni il caso è uno dei nomi della nostra ignoranza delle cause soggiacenti, che sarebbero sempre ben precise; per altri il caso è una caratteristica ineliminabile della natura, non riconducibile al determinismo, come sembra indicare la meccanica quantistica nella sua formulazione ortodossa.
Comunque, sia i deterministi sia i probabilisti negano la libertà, quindi negano la responsabilità, che è uno dei pilastri del nostro vivere in società: non solo le religioni più diffuse ma anche le legislazioni di (quasi) tutti i Paesi postulano il libero arbitrio, quindi la responsabilità e la punibilità rispettivamente del peccato o del reato. Inoltre la percezione soggettiva del libero arbitrio, almeno in molte situazioni, è inoppugnabile e fornisce un indizio importante del legame tra libertà, responsabilità, etica e coscienza.
Etica, coscienza e morale
Non è male perché è vietato dalla legge,
ma è vietato dalla legge perché è male
Sant’Agostino
Si potrebbe, in questo senso, sostenere che solo le creature dotate di coscienza posseggono il libero arbitrio e sono in grado di agire in modo etico. Il problema, quindi, si complica ancora di più, stante la confusione che regna a proposito della coscienza.
Non è certo un caso che siano in corso ricerche per dotare i robot di una coscienza artificiale, CA, la cui definizione operativa potrebbe essere: un robot è dotato di CA se si comporta in modi che, negli umani, richiedono coscienza (è una definizione in un certo senso analoga a quella dell’intelligenza artificiale, IA). Come si possa introdurre la CA in un robot resta molto oscuro, anche perché non abbiamo un’idea precisa di che cosa sia la nostra coscienza, di come sia nata e della sua funzione. Si potrebbe concepire uno speranzoso procedimento basato sull’emergenza: costruendo un artefatto che sia abbastanza complesso e che abbia con l’ambiente un’interazione abbastanza articolata e composita, si può forse immaginare che a un certo punto in esso si accenda la scintilla della coscienza... Ma queste sono speculazioni.
Resta il fatto che postulando un legame tra etica e coscienza, si porrebbero molti limiti all’eticità dell’agire animale: di fatto molti negano che gli animali siano in grado di valutare le proprie azioni, attribuendo loro significato etico, e distinguono quindi tra azione e sua valutazione. Le azioni di per sé non sarebbero etiche, solo le valutazioni lo sarebbero. Invece la definizione di etica che ho dato sopra prescinde tendenzialmente dalla valutazione: etico è ciò che fa bene al sistema complessivo, dove “far bene” significa “mantenere le condizioni di equilibrio dinamico”, cioè mantenere il sistema complessivo sano ed equilibrato, cioè capace di continuare a sussistere, a “vivere”.
Consideriamo la vita: in primo luogo la vita si mantiene in vita. L’indefessa e continua attività degli organismi viventi è rivolta a mantenere le condizioni in cui quell’attività può continuare a svolgersi (si tratta di una definizione di sapore tautologico, ma fuori dalla logica, cioè nel suo svolgimento temporale, la tautologia è tutt’altro che banale). Ciò che mantiene la vita, dunque, è etico. Per sottolineare il carattere “naturalistico” dei principi etici da me postulati, li si può far discendere da un’istanza primigenia di conservazione della vita (nel senso più generale), sia individuale sia collettiva sia sistemica. La conservazione della vita sistemica comporta la percezione e poi l’esplicitazione di un’etica ambientale, di cui ormai da tempo si parla.
L’etica tradizionale è più ristretta di quella proposta qui, poiché si limita a considerare i rapporti tra esseri umani. In questo senso le religioni hanno costruito etiche codificate (le morali) basate sul rapporto con la divinità o sui rapporti interpersonali, anch’essi mediati o imposti dalla divinità, in cui trovano luogo i concetti di bene e di male in quanto dettati dalle leggi divine, eterne e immutabili. È anche interessante notare che l’attenzione quasi esclusiva che la morale religiosa ha per gli umani ha portato col tempo e con progressive dosi di desacralizzazione, al concetto di persona, all’idea di dignità dell’uomo, e alla formulazione di vari codici o statuti dei diritti dell’umanità (che magari non sono rispettati sempre e ovunque).
Non voglio affatto sminuire la portata di queste conquiste, anzi se ci si limitasse all’impostazione naturalistico-evolutiva da me proposta forse non si riuscirebbe a fare il salto qualitativo compiuto a partire dalla morale religiosa e incorporato nella legislazione di molti Paesi. Tuttavia, come ho detto, l’attenzione per l’uomo è oggi affiancata da una crescente attenzione per alterità non umane, per esempio per gli animali e per l’ambiente, attenzione che, pur tra molte resistenze, recupera in parte la radice naturalistico-evolutiva dell’etica.
È in questo quadro allargato che si può immaginare di elaborare un’etica che comprenda anche i rapporti tra uomo e robot, oggi in sede speculativa, ma tra pochissimo tempo anche in pratica.
Infatti l’equilibrio del sistema complessivo, di cui facciamo parte, e che sta alla base della mia definizione di etica e di estetica, è dinamico, non certo statico: perciò etica ed estetica sono storiche ed evolutive e dipendono anche dagli oggetti artificiali che l’uomo costruisce e che sempre più concorrono a formare l’ambiente in cui viviamo.
Di questo ambiente cominciano a far parte anche i robot, quindi è inevitabile che essi influiscano sulle nostre percezioni estetiche e sui nostri valori etici, dunque sul complesso dei nostri comportamenti.