Diritto all'abitare

16 Gennaio 2015

I colori delle bombolette spray vivacizzano gli striscioni dei cortei dello sciopero sociale del 14 novembre: su uno campeggia la scritta “diritto all’abitare”, con qualche hashtag qua e là, come #scioperosociale. Se un corteo cammina per strada si può parlare di diritto all’abitare? Allo sciopero sociale si poteva aderire in tanti modi: con il blocco del traffico, ad esempio, in cui lo scorrere delle auto che abita le carreggiate delle nostre città viene per una volta interrotto. Il #14novembre si reclamavano: il diritto all’abitare, contro il piano casa e il caro affitti; il diritto ad abitare la strada, camminandovi; il diritto ad abitare la scuola e il lavoro, contro l’aumento delle tasse, contro i tagli all’istruzione, contro la disoccupazione e la precarietà.

 

La giornata si è svolta più o meno in maniera liscia; nondimeno foto, video e commenti insistono di preferenza sui pochi scontri. Cosa si intende esattamente per scontro di piazza? Uno se lo può immaginare: il corteo, la polizia, il casino. Solitamente un numero rilevante di persone sfila dietro a striscioni in maniera più o meno ordinata, incanalato dalla strada come un fiume, mentre intona slogan e diffonde musica e parole, protetto da caschi colorati e scudi improvvisati, artigianali. A un certo punto il caos: volti contratti, manganelli per aria e botte, i botti dei petardi, il fumo acre del lacrimogeno. Poi arriva la notizia al tg: “violenti scontri oggi a [nomecittà], si contano i feriti delle cariche in seguito alle proteste del giorno, tante le persone scese in piazza contro il [nomegoverno]...”. In piazza contro una vita precaria, di tagli, divisa fra tante situazioni verso la fine del mese.

 

Uno stipendio precario è tagliato perché destinato a tante spese (gestione della vita, tasse scolastiche, tasse sanitarie), per non parlare del dividersi del tempo: tra lavoretti e piccole commissioni, i cari, la famiglia, gli affetti. Precarietà vuol dire frammentazione. Il precario perfetto dovrebbe essere, allo stesso tempo, flessibile a dividersi ma bloccato nel farlo; flessibile e pronto a ogni tipo di impiego, da incastrare con il lavoro. Bloccato da una vita ingestibile, dal lavoro che non c’è, dalla disoccupazione e dalle spese. Il diktat riguarda anche l’umore: in tempi di precarietà austerità e rigore.

 

Un corteo, invece, non per forza blocca o invade la strada: un corteo cammina. Un corteo abita le strade in maniera differente rispetto a quanto succede solitamente, e se talvolta al suo camminare si contrappongono alcuni ostacoli, come strade troppo strette, mostra una sorprendente flessibilità e capacità di adattamento. Un corteo che cammina appare fluido e rettilineo, perfettamente adeguato ai luoghi che attraversa. Il vero impedimento sembra costituito dagli scontri di piazza, che segnano come un punto rosso nella città. Una zona rossa appare chiusa e circoscritta, molto spesso coincide con una piazza, può essere vicina a luoghi di interesse o a sedi istituzionali. Allo stesso tempo funziona un po’ come un [testosegnaposto]: a Genova, nel 2001 era la zona rossa, quando recintarono una parte di città per presidiare il summit del G8, punto di interesse per gli obiettivi del corteo. Recentemente, a Bologna, un cordone di polizia presidiava e chiudeva via Castiglione, sbarrando il flusso di un corteo contrario alla lectio magistralis di Vincenzo Visco, altro presunto obiettivo del corteo. Ma obiettivi in vista di cosa? Il 14 novembre Piazza Fontana si è comportata come zona rossa; nei pressi del suo imbocco le forze dell’ordine schierate hanno impedito al corteo di sfociare: una diga contro un fiume protetto da uno scudo-striscione in legno e tessuto e da caschetti antinfortunistici.

 

Quando si dice “scontro di piazza” due parti si toccano. La testa del corteo preme e tocca gli scudi dei poliziotti, che resistono. Entrambi si sospingono. Manciate di minuti e parte la carica: si alzano i manganelli, una serie di tocchi morbidi e sordi si frammezza alle urla, il cuore batte, si sentono dei botti. Nel migliore dei casi lo scontro si esaurisce in venti minuti, mentre il corteo si disperde. Lentamente, nel fumo che impedisce di capire e orientarsi, i due schieramenti si separano.

 

A Milano i manifestanti sostengono di aver avuto l’autorizzazione della questura a passare in piazza. Sul momento nessuno ha saputo dare spiegazione sulle ragioni di non percorribilità del luogo. Una voce conclude “la questura dirà che Piazza Fontana non era gestibile, peccato che noi non volevamo fare nulla in Piazza Fontana, ci dovevamo solo arrivare”. La zona rossa è un luogo di impraticabilità: non è accessibile, non si percorre, non si sa cosa succede e cosa potrebbe succedervi. Questo sapere è negato più o meno a tutti: sia a chi va in piazza che a chi rimane a casa, sia a chi dà l’ordine di proteggerla che a chi lo esegue. Cosa sarebbe successo se i manifestanti a Genova fossero riusciti a penetrare le recinzioni o se a Milano fossero arrivati in piazza Fontana?

 

Il flusso di un corteo è simile a un fiume: segue il suo letto, procede in maniera ordinata, sino a sfociare, a patto che non incontri dighe. Il corteo, come un fiume, ha bisogno di un percorso preciso, che viene prima deciso, poi comunicato e, quindi, approvato in questura. Le carreggiate e i marciapiedi sono i suoi argini forti. Sbarramenti solidi non sembrano necessari. Come non è ineluttabile uno scontro di piazza. Dopo di esso un corteo si disperde, si ferma solo perché non è più corteo. Quando un corteo sfocia, spesso rallenta, sino a che si siede. Di solito se c’è una zona rossa, c’è anche uno scontro, e le reazioni disperdono e coprono le voci del corteo. Se la zona rossa non c’è, è difficile che ci sia lo scontro, ma i commenti e le reazioni stentano a raggiungere una certa visibilità. Spesso un corteo rimane inascoltato; eppure quando si è in città il corteo si vede; quando intona gli slogan, si sente. Negli ultimi anni, in seguito a episodi quali quelli del 29 ottobre 2008 o del 15 ottobre 2011, sono stati varati provvedimenti che dichiarano impraticabili alcuni luoghi della città (senza contare le numerose ordinanze comunali in materia). Si può dire che essi funzionino da norme precise, argini forti e sbarramenti solidi, visto che fanno poco per evitare lo scontro, e anzi talvolta lo favoriscono? Come leggere realmente la portata di un corteo-fiume? La riflessione sul modo in cui un corteo abita o vorrebbe abitare resta spesso sospesa, le risposte impraticabili come altrettante zone rosse.

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