Donne ganze

13 Gennaio 2016

Era il 1971 quando il nero americano Melvin Van Peebles scrisse, produsse, diresse, musicò e interpretò Sweet Sweetback’s Baadasssss Song, il primo film americano in cui un nero la fa gloriosamente in barba alla polizia e alla giustizia dei bianchi. La battuta finale, pronunciata dal protagonista ormai al sicuro dall’altra parte del confine con il Messico, è “tornerò a riscuotere quello che mi spetta”. Una promessa o un giuramento che, a seconda dei punti di vista e dello status social-razziale, rappresenta una minaccia e la materializzazione di un incubo oppure un gesto di trionfo e un lieto fine. All’epoca l’America era impegnata nella Guerra del Vietnam, da cui sarebbe uscita sconfitta nel 1975. Il paese era in guerra anche al suo interno: il 21 febbraio 1965 muore assassinato Malcolm X, leader radicale africano-americano; nel 1966 nasce il Black Panther Party, il primo partito nero che non si accontenta di negoziare qualche diritto e non si riconosce nelle posizioni non violente e integrazioniste del pastore protestante Martin Luther King; il 4 aprile 1968 Martin Luther King viene assassinato. In quegli anni la società americana vede apparire un nuovo femminismo, che non si limita a rivendicare parità e diritti all’interno della struttura di potere esistente e mette a tema l’esistenza e la definizione di altri soggetti, tra cui quelli femminili, incompatibili con un sistema sociale e di valori costruito su bisogni e realizzazioni maschili e bianchi.

 

Piccola digressione preventiva per presentarvi badass women alert, un account twitter  che del film di Melvin Van Peebles (e della sua storia?) ha ripreso – pur senza urlarlo e mi auguro non inconsapevolmente – l’aggettivo chiave, badass. L’account nasce infatti “celebrating badass women doing great things”, per celebrare, onorare, rendere omaggio alle donne badass che fanno grandi cose. Badass – secondo wordreference.com – significa “tosto, duro, ganzo, aggressivo, violento, prepotente, strafottente, fico, fichissimo, fantastico”. Secondo altri, e più informali, dizionari vuol dire anche “cazzuto, cool, pericoloso, spaccaculi”. L’etimologia del termine è incerta: bad significa cattivo, e fin qui tutto bene, ma ass può significare tanto culo quanto asino. A rigor di logica, vista l’esistenza di una serie di espressioni analoghe fiorite negli States durante gli anni cinquanta del secolo scorso (big-ass, candy-ass, crazy-ass, dumb-ass, half-ass, jive-ass, lazy-ass, smart-ass) verrebbe da propendere per il culo, ma tant’è. A voi la scelta.

 

Per arrivare a noi, di questo account twitter la nostra “Repubblica” nazionale si deve essere, con impudico slancio e qualche strumentalità, davvero invaghita. Tanto da affidare alle sue scelte, solo lievemente ritoccate e adattate ai patri suoli, la rappresentazione del “nuovo soggetto femminile universale 2015”. Se chi legge vorrà prendersi la briga di scorrere le immagini e le didascalie presenti sulla seguente pagina web, scoprirà quali sono “Le 25 donne più toste del 2015”.

          

Per chi non ne avesse abbastanza e volesse scoprire anche qual è – in questo caso solo secondo “Repubblica” – il “modello femminile universale 2016”, una rapida surfatina sul sito permetterà di scoprire quali saranno, oltre a “Hillary e Jennifer, le donne che guideranno il 2016”. Chi ha creato questa soave e si suppone incoraggiante galleria “dalla parte delle donne”, o si è divertito a titolarla, deve aver pensato bene che i cognomi sono, per le donne, una variabile indipendente. In fondo chi, nel traffico contrattuale da figlia a moglie, cede o non cede il cognome del padre per assumere o non assumere quello del marito, forse un cognome proprio non l’ha mai veramente avuto, dunque meglio chiamarle familiarmente per nome, così le sentiremo perfino più nostre, più vicine, più imitabili.

 

Ma torniamo alle donne-modello dell’ormai storico 2015. Intanto, come scrive Vera Prada, innocente cronista o trascrittrice di “Repubblica”, le donne badass sono “Persone in realtà comuni, come potremmo essere tutte noi, che però sono riuscite a fare la differenza sul posto di lavoro, nel quartiere in cui vivono e nella società in generale, dimostrando che in diverse parti del mondo ci vuole del coraggio per essere donne. Grazie a questo nuovo modo di parlare al femminile, ripreso anche dal Calendario Pirelli di quest’anno che speriamo faccia scuola per aver preferito storie di vita ad icone di bellezza, abbiamo conosciuto tante storie, volti e progetti in cui sono coinvolte o di cui, più spesso, queste donne sono fondatrici”.

 

Sul riferimento entusiastico al calendario Pirelli 2016 (affidato quest’anno alla fotografa nordamericana Annie Leibovitz) e alla sua funzione edificante si potrebbe aprire un piccolo capitolo a parte, ma accontentiamoci di dire che nessun pubblicitario che si rispetti sceglie di urtare il potenziale consumatore. Se oggi nel mondo va la donna “tosta” e le consumatrici più voraci sono over 60, va da sé che il flessibile, anzi pneumatico Pirelli, non se le voglia inimicare, anzi si premuri di rincorrerle. E va bene così, però non chiamiamola emancipazione e, per carità, non definiamolo un “nuovo modo di parlare al femminile”. La pubblicità si adegua, il mercato no. I corpi cambiano, il target no. O optiamo per una beata cecità?

 

Nella “gallery” di Badass Woman Alert figurano, tra le altre: un’astronauta italiana; la prima giornalista americana a comparire in tv con l’hijab; una pilota afghana; un gruppo di “ragazze diversamente abili che hanno coronato il loro sogno di sfilare in passerella” (sic! Consola pensare che almeno il loro sogno è ugualmente idiota); “donne saudite che votano per la prima volta sabato 12 dicembre 2015”; “le studentesse che, rapite dai guerriglieri di Boko Haram in Nigeria, sono riuscite a fuggire dall’incubo e sono tornate a scuola”; “le ragazze che hanno chiesto alla Marvel di fare giocattoli anche sui supereroi donna” (sì, avete letto bene); “le Black Mambas, ranger sudafricane che difendono i rinoceronti e gli altri animali selvatici dai bracconieri”; la donna “che ha preso il suo dottorato di ricerca a 102 anni perché il primo le fu impedito dal regime nazista”; “le migliaia di donne e ragazze che hanno manifestato contro il femminicidio in Argentina”; “la politica argentina che ha allattato la figlia durante una seduta parlamentare”; “le giovanissime calciatrici siriane che continuano a giocare nei campi profughi nonostante la guerra”; “il primo team russo composto esclusivamente da scienziate donne”.

 

Noi, cinguetta con supponenza dettata da un laico e incoercibile senso di superiorità politica e sessuale “Repubblica”, “abbiamo aggiunto le nostre personalissime donne badass tra cui tre italiane: dalla cooperativa tutta al femminile di Carrara che ha dato un posto di lavoro ad un gruppo di pescatrici donne (sic, nel caso non si fosse capito bene), alle ragazze di Torino che scrivendo sul proprio corpo nudo combattono gli stereotipi sull’ “omossessualità” (sic! sapete com’è, sesso e dintorni son pieni di curve, tanto vale metterci una S in più, e poi il sesso, etero o omo che sia, non è forse un’ossessione?) femminile, e tante altre storie di cui speriamo di sentir sempre più parlare”.

 

E cosa ci si prospetta di bello ‘al femminile’ per il 2016, secondo la “Gallery” di “D di Repubblica” del 28 dicembre? Ecco qua: “ll probabile futuro presidente degli Stati Uniti. La regina del crossfit. La pioniera dell’intelligenza emotiva. Una manciata di attrici famose e impegnate. Una giornalista siriana. [… ] Sono figure femminili che daranno forma e contenuti all’anno che sta iniziando”. Tra loro anche “Valeria Solesin, 28 anni, persona dell’anno per l’Espresso, è l’unica italiana tra le vittime degli attacchi del 13 novembre al Bataclan di Parigi. Aveva una laurea con lode in Sociologia a Trento e una specializzazione alla Sorbona di Parigi, dove abitava con il fidanzato Andrea. Con uno spiccato senso di giustizia sociale, studiava i sistemi di welfare per le donne. Anche per questo non smetteremo di ispirarci a lei”. Perché qui, è inevitabile domandarsi, e non nella “Gallery” del 2015? Forse perché ciò che l’ha fatta uscire dall’anonimato non appartiene agli atti, alle caratteristiche, ai talenti individuali che fanno di una donna una donna tosta, in talune circostanze quasi un uomo?

 

Per finire propongo alle lettrici e ai lettori di doppiozero un quiz in tre fasi:

  1. 1.     Che cosa hanno in comune le donne “toste” (2015) secondo “Repubblica”?
  2. 2.     Che cosa hanno in comune le donne “cui ispirarci” (2016) secondo “Repubblica”?
  3. 3.     Che cosa abbiamo in comune noi, donne e uomini, con le une e con le altre?

 

E vi prego di non rispondere in modo retorico o politicamente corretto, magari citando il Presidente Mattarella, che nel discorso di fine anno, ha fatto di ogni donna un essenzialistico fascio, proclamandoci “degne di riconoscenza”, perché le donne “fanno fronte a impegni molteplici e tanti compiti, e devono fare ancora i conti con pregiudizi e arretratezze. Con una parità di diritti enunciata ma non sempre assicurata; a volte persino con soprusi o con violenze”.

 

 

(Milano, 4 gennaio 2016)

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