Diario 3 / Andiamo a sballarci di Maalox!

22 Febbraio 2022

Lunedì 14

 

A monito dei giovani sposi, che a volte affrontano impreparati le turbolenze del matrimonio, Carlo Collodi ha scritto che spesso la curiosità è causa di pericolosi malanni. Lo si può leggere nella breve postilla a Barbablù, la fiaba di Perrault tradotta proprio dall’autore di Pinocchio, uno dei capolavori della letteratura ottocentesca, ho detto in classe alla prima ora, mentre ancora sbadigliavano.

Quindi ho riassunto la fiaba, che fornisce un buon esempio di quanto sostiene Kierkegaard riguardo alla figura di Adamo, cioè che il senso della libertà è risvegliato proprio dal divieto, il celebre divieto di attingere dall’albero della conoscenza. È il divieto, la legge, a scatenare il desiderio, come riconosce San Paolo: non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto “non concupire”.

E Barbablù cosa fa? Allunga alla moglie la chiave della stanza dove ci sono i cadaveri delle mogli precedenti e dice: ecco, tieni…, è la chiave di quella stanzetta sempre chiusa…, ti do anche questa, ma non usarla mai, altrimenti… Poi parte sapendo bene che la moglie farà proprio quello che lui le ha appena detto di non fare.

 

Il desiderio del proibito è irresistibile. Ed è naturale che il frutto dell’albero cresciuto in mezzo al giardino, l’unico che Adamo ed Eva non devono toccare, appaia ancora più delizioso. La volontà è presa da vertigini. Il divieto è un eccitante, stimola.

Lo sanno bene i giovani consumatori di erba, che sarebbero meno interessati all’erba se fosse annoverata fra le altre piante officinali. La cannabis come il timo o la maggiorana, ad esempio. O classificata al rango di un gastroprotettore da banco. Scatterebbe l’interesse? Io almeno non conosco nessuno che abbia mai detto: andiamo a farci una compressa di Maalox!

Ecco perché i giovani che si ritrovano ai giardinetti con l’erba e le cartine dovrebbero ringraziare la Consulta. Non ha ammesso il referendum dei radicali? È per tutelare il desiderio.

E forse, allo stesso principio, dovrebbero ispirarsi gli estensori dei regolamenti scolastici, introducendo ferrei divieti e severità prussiana nel farli rispettare. Ad esempio che si vietino le opere di letteratura. Ammessi solo schemi e riassunti. 

 

Lettura diretta della Divina commedia? Neanche per sogno. Proibita. Seneca? Divieto assoluto, stessa cosa per il Simposio di Platone e per i Ricordi di Marco Aurelio. 

Divieti tassativi, categorici, accompagnati da rigorose e implacabili sanzioni. E chi fosse trovato in possesso di qualche verso tratto dal Gelsomino notturno? Punito immediatamente, anche solo per una modica quantità: grave inosservanza delle regole, comportamento irresponsabile, condotta sconsiderata che preclude l’ammissione all’esame di stato. 

Le conseguenze sono facilmente prevedibili. Fiorirebbe un improvviso slancio per la letteratura. Le poesie verrebbero imparate a memoria, spontaneamente. I bagni delle scuole diventerebbero luoghi di spaccio. Circolerebbero copie clandestine della Signorina Felicita, trascritte a mano. Dalle pareti scomparirebbero simboli osceni e farebbero la loro comparsa epigrammi e carmi. Vivamus mea Lesbia, atque Amemus

Fiorirebbe il contrabbando. Sorgerebbero gruppi di cospiratori per ricopiare Il passero solitario e San Martino. Trascrizioni ovunque, anche sugli Scottex. Qualcuno ha un fazzoletto? Direbbero così, in classe, ma intanto sarebbe spacciata un’altra copia della Pioggia nel pineto

 

Perfino le poesie di Marinetti troverebbero degli appassionati, perché l’ebrezza della proibizione sospinge le ali al desiderio e strappa dal morso della noia. 

Un desiderio irrefrenabile per la cultura umanistica invaderebbe la scuola, compresi Istituti tecnici e professionali. E se fosse previsto il riformatorio, per chi nascondesse nello zaino delle copie manoscritte dei Promessi Sposi, esploderebbe l’entusiasmo per Manzoni.

 

Martedì 15

 

La sveglia suona alle 5,30. È una fatica alzarsi. Avanzo brancolando verso il bagno ma dopo cinque minuti di doccia bollente mi riprendo. Quando scendo a far colazione trovo in cucina mia figlia. È quasi pronta e poco prima delle sei usciamo di casa. Dobbiamo andare a Padova, ma appena fuori scopriamo che c’è la neve e per un momento rimango incerto sul da farsi. Se non te la senti rimando l’esame, dice lei. Ma no, male che vada torniamo indietro. E così ci mettiamo in strada. 

È bellissimo guidare sulla neve, la guida in condizioni difficili mi ha sempre appassionato. Mette alla prova. Ci vuole orecchio per i giri del motore, sensibilità sul pedale del freno, e soprattutto un’intuizione rivolta allo spazio circostante perché basta un niente per slittare Ma oggi non c’è da mettere alla prova nessuna abilità, le strade sono ancora deserte e il manto bianco ha lo spessore di pochi centimetri, anche se i fiocchi arrivano sul parabrezza come fossero grossi stracci. 

Fino al casello dell’autostrada procedo lentamente e dopo si fa tutto più scorrevole grazie al traffico intenso dei camion. Sull’A1 vanno e vengono giorno e notte, per di più, dopo Modena, la neve si trasforma in pioggia. Quasi mi dispiace.

 

Allo svincolo per Padova c’è ancora buio, sono le 6,50 e mi sintonizzo su Radio3 Mondo, da dove Luigi Spinola annuncia alcuni segnali di distensione sulla crisi ucraina. Ascolto, ma soprattutto sto attento ai bestioni su ruota che ho sulla mia destra, camion incolonnati come interminabili colonna militari. Sento citare il New York Times, sento citare Le Monde, sento dire che la Russia sarebbe disponibile a trattare e dal canto suo Zelensky, il primo ministro ucraino, anche lui è pronto a un passo indietro sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Potrebbe rimanere solo un sogno, ha detto Zelensky. 

Ascolto, ma ho davanti un furgoncino che sta superando i camion e rallenta il mio sorpasso. Forse domani non inizia la guerra, anche se domani sarebbe la data di invasione russa dell’Ucraina prevista dagli Stati Uniti. Poi sento dire che la Russia potrebbe anche non attaccare mai. Ammassano truppe e minacciano un attacco che non arriverà. Può darsi che abbiano letto Il deserto dei tartari.

E se tutto questo poderoso dispositivo militare, di cui vediamo le immagini in televisione, fosse una colossale messa in scena? Uno spettacolo teatrale con migliaia e migliaia di comparse? Un allestimento faraonico fatto per svagare i telespettatori di tutto il mondo. Potrebbero aver pensato che dopo due anni di pandemia è il caso di cambiare tema. 

 

I russi hanno un talento teatrale, potrebbero aver commissionato l’allestimento al Bol'šoj. Mezzi corazzati fatti di latta, con l’alluminio ricavato dalle confezioni di birra, cannoni di cartapesta, come al carnevale di Viareggio, e sagome di legno verniciato che figurano come fucili mitragliatori. 

Comunque – dice Luigi Spinola – la stampa russa ha ripreso una vecchia dichiarazione di Gromyko: centro giorni di trattative sono meglio di un giorno di guerra e Putin potrebbe aver deciso che non ci sarà né pace né guerra. Forse un controcanto a Tolstoj. 

 

 

Ormai arrivo a Ferrara Sud. Comincia ad albeggiare e dopo Ferrara Nord è quasi giorno, anche se non del tutto. Luce livida, metallica, che ha qualcosa di lugubre mentre ascolto le notizie dall’Ucraina. 

Alle otto e mezzo lascio mia figlia in zona universitaria, giusto in tempo per l’esame. Poi vado prendere un cappuccino in un bar dove ormai sono di casa, Al Trombon, dietro le torri della Provincia di Padova. Quando il titolare mi chiede il Green Pass lo fa scusandosi. Sa che ce l’ho, ma è obbligato a verificare un’altra volta. Forse è proprio vero che i veneti sono già più tedeschi degli emiliani.

 

Mercoledì 16

 

Due anni fa, in pieno lockdown, ci davamo appuntamento su Meet al di fuori dell’orario scolastico per parlare di scrittura. Poteva servire ad attenuare l’urto della quarantena e dell’improvvisa interruzione dei rapporti sociali. Chiuse le scuole, le palestre, le discoteche, confinati in casa, davanti a un altro schermo che si aggiungeva a quello del cellulare. Una condizione da reclusi.

Chissà che non abbiano voglia di scrivere, avevo pensato. Io, alla loro età, non so come avrei reagito all’isolamento. Ero sempre in giro con i miei amici, a sedici anni. 

Per di più, prima della pandemia, nei mesi d’insegnamento trascorsi in presenza, mi ero trovato bene, entravo nella loro classe in uno stato di contentezza, che è sempre un viatico all’attività didattica. Era una terza, il primo anno in cui si studia filosofia, e per far lievitare le aspettative senza correre il rischio di bruciarle è meglio garantire un clima disteso. 

Ma dopo la chiusura di febbraio, a marzo ormai inoltrato, dopo aver sperimentato qualche settimana di zona rossa, rimanere chiusi in casa cominciava a gravare. Tramontata ormai la sorpresa di un’inaspettata vacanza, stava subentrando una fase ripetitiva, più apatica. 

 

Io non avevo nessuna idea di cosa potessero scrivere. Quello che volete, ho detto una domenica pomeriggio durante uno di questi incontri a distanza su Meet. Le scritture fanno bene alla salute, però prendetevi cura delle frasi e cercate il ritmo. 

Alla fine alcuni di loro lo hanno trovato, scoprendo che perfino l’isolamento può avere dei benefici, ad esempio restituisce al tempo interno, scriveva Francesca. “Iniziamo a percepire qualcosa dentro. Qualcosa che sentiamo di aver messo a tacere per troppo tempo. Prima della quarantena, il tempo esterno scorreva irrefrenabile, mentre il tempo interno, quello intimo presente in ognuno di noi, era schiacciato, talvolta annullato dalle nostre stesse vite”. 

 

Il tempo è uno dei temi più ardui della filosofica, e loro lo stavano affrontando, anche se non in forma di concetto. Non si basavano su premesse e conseguenze, ma ascoltavano quello che scaturiva dall’essere presenti nel mondo. Partivano da un’apertura immediata, che è sempre un buon tirocinio alla filosofia.

Qualcuno aveva colto anche un altro dei tratti tipici che segnano l’esistenza. “Mentre cerco di capire il motivo di questa stranezza – ha scritto Giovanni – mi rendo conto che mi sento a disagio, come se qualcosa non fosse al suo posto. Ma cosa? Il mio cervello comincia ad analizzare ossessivamente tutti i possibili motivi, finché non arriva alla conclusione: non sto fumando per gusto o per bisogno fisiologico, sto fumando per noia”.

Alla fine avevo chiesto a un mio amico giornalista se gli interessavano alcuni pezzi, ed erano usciti tutti insieme sulla Gazzetta di Reggio del 16 maggio 2020.

 

Giovedì 17

 

Qualche giorno fa, un mio studente di quinta ha detto che lui non ha nessuna intenzione di avere dei figli. Alla larga un’idea del genere, i bambini non gli piacciono, anzi li odia. Opinione diffusa, su cui non ci sarebbe da soffermarsi se non fosse che nel modo in cui s’è espresso m’ha fatto tornare in mente quello che dicevo io più di trent’anni fa. 

Non che odiassi i bambini, questo no, anzi, ma non avevo nessuna intenzione di fare dei figli, come si suol dire, e mentre questo mio studente esponeva il suo punto di vista, mi è riapparsa una scena lontana, di quando ero stato invitato a cena da una coppia di amici che stavano facendo di tutto proprio per avere dei figli, s’impegnavano giorno e notte, misuravano la temperatura basale, calcolavano quando avere dei rapporti, e li consumavano in tutte le posizioni pur di favorire la fecondazione. Me lo diceva Fabrizio, che era stremato. 

 

 

Quella sera, non appena ci eravamo trasferiti dalla cucina nella loro sala da pranzo, lei, la Marisa, aveva assunto un’espressione di amarezza perché nonostante gli sforzi il figlio non arrivava, e così, all’improvviso, in quel confortevole appartamento dal quale si vedeva un meraviglioso scorcio del centro storico, era scesa una coltre di mestizia.

E proprio allora, con la tipica arroganza che avevo in quegli anni, a me era venuto da dire che forse era meglio, in fondo assecondare la volontà riproduttiva era pur sempre un atto egoistico. E mi ero anche appoggiato all’autorità di Schopenhauer, che leggevo accanitamente, in quegli anni, come altrettanto accanitamente leggevo Thomas Bernhard, non a caso anche lui lettore di Schopenhauer. 

Ma poi, pochi mesi dopo, mi era capitato d’incontrare proprio quella ragazza che in seguito sarebbe diventata mia moglie, e benché io continuassi a leggere Schopenhauer anche dopo averla conosciuta, proprio mentre in me cresceva il prepotente bisogno di stringere sempre di più il rapporto con lei, loro, Fabrizio e Marisa, cominciavano a demordere nello sforzo riproduttivo, e dopo tanto accanimento si andava allentando il legame che li univa, come spesso accade quando la volontà rimbalza contro il muro dell’infertilità. 

 

E in seguito, questa mia imprevedibile disponibilità alla relazione stabile, di tipo matrimoniale, è culminata proprio nella procreazione, in ciò che rende immortali i mortali, dice Platone. 

Quindi, mentre parlava questo mio studente di quinta, io ho rivisto un sacco di cose e lo guardavo pensando che proprio lui potrebbe essere destinato a percorrere la mia stessa strada, almeno stando alle occhiate che lancia spesso a una sua compagna di classe, e nonostante lui abbia l’aria di essere cresciuto in un ambiente familiare poco propizio alla generazione, esattamente com’era successo a me, potrebbe ricredersi sul conto dei figli, e ricredersi anche presto, considerato il modo in cui la sua compagna di classe ricambia le sue occhiate.

 

Venerdì 18

 

Questa mattina, un radioascoltatore intervenuto a Prima Pagina, la trasmissione che va in onda su Radio 3 dalle 7,15 alle 8,45, ha chiesto come mai non vengano fornite delle tabelle comparative fra i vari paesi europei riguardo ai costi dell’energia. In questo caso potremmo fare dei confronti e trarre delle conclusioni, ha detto in polemica con un certo modo di fare informazione, capiremmo se l’aumento che c’è stato in Italia è davvero giustificato, l’aumento dei prezzi del gas metano, del gas propano liquido, del gasolio, della benzina e della corrente elettrica. 

Non è la prima volta che per radio si sentono interventi di tale buon senso, e a volte mi viene da pensare che forse, la cosa migliore per risollevare le sorti dell’Italia sarebbe di fare come nell’Atene del V secolo a C. Però proporrei che le cariche pubbliche fossero estratte a sorte fra gli ascoltatori di Prima Pagina.

Comunque, la relazione tra Marisa e Fabrizio era poi finita senza tragedie. Lei aveva trovato un altro. Lui ha sofferto per almeno un anno, poi anche lui ha trovato un’altra. Lo dico perché non sempre va così bene. Ad esempio, a Zerbinati è andata molto peggio, il meccanico da biciclette dove portavo ad aggiustare quella che rompeva mio figlio.

 

Ogni due o tre mesi dovevo passare da lui. Mio figlio andava a pedalare su e giù lungo gli argini del Crostolo, con i suoi amici, e ogni tanto, anziché tornare in sella alla bicicletta, tornava a casa a piedi. Allora andavo a caricare la bicicletta e la portavo da Zerbinati, che era sempre contento di vedermi a causa della passione che aveva per i libri.

A volte avevo fretta ma lui insisteva perché rimanessi mentre faceva il lavoro. Aveva la bottega in una laterale di Via Tassoni, verso Albinea, e nel cortile antistante c’era pieno rottami di tutti i tipi. Non buttava via niente. Poi mio figlio è cresciuto, io ci sono andato sempre meno, e quando mio figlio è passato alla moto ho smesso di andarci.

Ma sei mesi fa ho avuto bisogno di riparare la mia bicicletta e mi faceva piacere passare da lui anche per rivederlo. Mi ero anche preso del tempo per fermarmi, solo che avevo trovato chiusa la sua bottega, e per di più, nel piazzale, al posto delle ferraglie era tutto ordinato, tutto ripulito, nemmeno un copertone per terra.

 

Allora sono andato in un forno che c’è poco più avanti. Entro, compro un pezzo di gnocco e ne approfitto per chiedere qualcosa. Ma non lo sa? – dice la fornaia. Io naturalmente non sapevo nulla e sto lì a guardarla con una faccia da ebete mentre lei per un istante rimane incerta, indecisa se parlare o no. Guardi che Zerbinati è il mio meccanico, vado da lui da tanti anni. Be’ d’ora in poi dovrà cambiare meccanico, dice lei, è successo sei mesi fa, dopo che la moglie lo ha lasciato. 

E così ho scoperto che Zerbinati, una sera, ha legato una corda alla trave della bottega, è salito su una sedia, si è infilato il cappio al collo e ha scalciato via la sedia.

 

 Sabato 19

 

Lei, professore – dice una studentessa di quarta – scrive che non le piace interrogare però è da una settimana che sta interrogando. Ragazza intelligente, dovrei rispondere che sono stato cresciuto con uno spiccato senso del dovere, ma dopo una battuta in risposta inizio a interrogare. 

Quando esco ci sono i quindici minuti del primo intervallo e me ne vado a mangiare qualcosa in aula docenti. Abbiamo due poltroncine comodissime, in fondo a sinistra, e mi affretto per occupare quella libera. Mi siedo, tiro fuori un pezzo di gnocco e prima di addentarlo ne offro un po’ alla Cristina, che insegna storia dell’arte e sta seduta sull’altra poltrona. 

Poco più in là c’è la Carlotta, mia collega di materia. Sta sbucciando un mandarino e io le rivolgo un segno di apprezzamento con un gesto della mano. Alludo al modo in cui si nutre. Ho notato che ricorre spesso alla frutta, ma lei si avvicina e dice che in realtà mangia anche i ciccioli. 

 

 

Donna spiritosa, scherziamo spesso, e allora allungo l’indice verso di lei. Ma tu lo sai come si fanno i ciccioli? Viene da Bologna, origini cittadine, forse aristocratiche, e non ha certo l’aria di una che abbia mai zappato per terra. In cuor mio scommetterei che non ha nessuna idea di come siano fatti, i ciccioli, che tra l’altro non so neanche se siano conosciuti al di fuori di Reggio Emilia. Infatti lei non lo sa e vorrebbe saperlo.

Così inizio a dire qualcosa ma ho subito l’impressione che non gradisca più di tanto. Ha una certa aria schifata, e siccome non vorrei che il mandarino le rimanesse sullo stomaco ci vado cauto. Ma in quel momento sopraggiunge un nostro collega, un severissimo professore di italiano e latino, appassionato ciclista, uno che come me ha origini contadine. 

 

Solo che lui non ci va tanto per il sottile, anzi, tutto compiaciuto di poter esibire le sue conoscenze sulla civiltà materiale, comincia a raccontare con dovizia di dettagli come si fa a scannare il maiale, dalla cui giugulare si raccoglie il sangue per fare i sanguinacci, poi continua sul taglio dei quarti di grasso da mettere a bollire, per fare appunto i ciccioli, e va avanti: come si fa a tirare il collo alla gallina, i vari metodi, compreso quello di appoggiare un manico di scopa sul collo della gallina. E precisa che mentre uno appoggia i piedi sulle due estremità del manico un altro la deve tirare per le zampe. 

Insomma è un pozzo di scienza, solo che la Carlotta aggrotta sempre più la fronte e la Cristina si stringe nelle spalle. Sembrano inorridite, ma lui, il Ciclista, è ormai in volata, non c’è modo di fermarlo, si sofferma su come si accoppa il coniglio, cioè sollevandolo per le zampe posteriori e dandogli una botta sulla nuca, un colpo deciso con la mano, di taglio, e fa anche il gesto. 

Chissà dove altro sarebbe arrivato, se a quel punto non fosse suonata la campana e non avessimo avuto l’obbligo di tornare in classe. 

 

Domenica 20

 

Ecco, se posso premettermi un confronto letterario, direi che il Ciclista ha un talento paragonabile a quello di Matt Bondurant. Vorrei dare un assaggio: “Si inginocchiò davanti alla scrofa e mirò al grugno. Premette di nuovo il grilletto – crack – e l’animale si sollevò un poco sulle tozze zampe posteriori. Sulla sua fronte comparve un altro frammento di osso scheggiato, mentre il sangue scuro inondava l’occhio rosa”. 

Con questa differenza però, che noi abbiamo alle spalle la civiltà contadina dell’Emilia occidentale, mentre Matt Bondurant scriveva della contea di Franklin, in Virginia, la regione più fradicia degli Stati Uniti, la regione in cui l’alcol scorreva a fiumi, durante e dopo il Proibizionismo, come ha raccontato Sherwood Anderson.

 

Ma io non voglio lasciare il lettore con queste scene che grondano sangue e allora vorrei formulare un quesito logico che un giorno o l’altro proporrò ai miei studenti. 

C’è un condominio abitato da dodici famiglie e nel cortile di proprietà condominiale ci sono dieci posti auto. Quante macchine al massimo si possono parcheggiare per famiglia dentro il cortile? 

Dirò a mia moglie di proporre il quesito ai suoi alunni di seconda elementare. Sono curioso di sapere se sanno risolverlo. Di certo mia nonna, che veniva dalla civiltà contadina dell’Emilia occidentale, già in seconda elementare lo avrebbe risolto. 

Invece, nonostante l’elevato titolo di studio, alcuni miei vicini di casa ancora adesso non riescono a risolverlo.

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