Esistono colori allegri?

14 Febbraio 2016

Perché alcuni colori sono allegri? perché, come ebbe a dire Wertheimer, il nero è lugubre prima di essere nero? Invero non si sa se lo psicologo della Gestalt abbia formulato proprio così questa domanda, d'altra parte non sono nemmeno convinta che il nero sia sempre lugubre, ma il senso della domanda rimane.

 

Matthias Grünewald, Resurrezione, Altare di Isenheim, 1515 (particolare)

 

Per definire questa particolare caratteristica della percezione gli psicologi della Gestalt hanno utilizzato il termine 'qualità terziarie' e per capirne il significato possiamo leggere un capitolo dedicato a queste qualità in Fisica ingenua dello psicologo-fenomenologo Paolo Bozzi (Garzanti, Milano 1990). Si tratta di un libro molto particolare, che si colloca un po' in disparte nell'ambito della cultura italiana; vi confluiscono i risultati di una rigorosa formazione filosofica e logica, la capacità di raccontare, l'amore per la poesia e per la musica, l'osservazione minuta e la creatività dello sperimentatore in laboratorio. L'esito è una scrittura con un registro altissimo che si ispira alla grande tradizione della letteratura scientifica e che, insieme, sa divertire per la satira antiaccademica e l'uso a sorpresa di espressioni dialettali triestine e friulane. Peccato che il libro sia ormai introvabile.

 

Paolo Bozzi descrive dunque queste qualità terziarie come qualità che siamo portati ad attribuire alle cose conferendo loro un carattere di allegria o di tristezza, di dolcezza o di asperità o di amaritudine. Nel caso del colore affermiamo che il rosso è vivace, che la vista di un grande albero verde è riposante e distensiva, ma non lo è semplicemente per associazione ripetuta; come scrive Bozzi, sono caratteristiche, «brividi di significato» che percorrono le cose, che tagliano di traverso la distinzione di soggettivo e oggettivo. La forza espressiva del colore non è una proiezione soggettiva e arbitraria, dipendente dal nostro umore del momento, ma è legata alla capacità del colore di aderire alle cose: come scriveva molto tempo prima, in un libro del 1910, un altro importante fenomenologo, Wilhelm Schapp, noi non vediamo le cose come un insieme di macchie colorate, ma percepiamo le cose con le loro proprietà in un mondo colorato; con le mani in tasca vediamo le cose lisce o ruvide, liquide o solide grazie proprio al colore delle superfici (Beiträge zur Phenomenologie der Wahrnehmung, B. Heymann, Wiesbaden 1976). Questo ci permette di rilevare nei colori del mondo che ci circonda tratti festosi e amichevoli, femminili o virili, di vedere colori allegri e colori tristi, ammiccanti o ripugnanti; addirittura di vedere – come scrive Bozzi – un rosso più allegro di un rosso meno carico.

 

Robert Delaunay, Contrasti Simultanei, Sole, Luna, 1913

 

Il termine 'qualità terziarie' risale addirittura a John Locke. La sua classificazione parte dalle qualità primarie, le qualità inseparabili dai corpi: la solidità, l'estensione, la figura, il numero, il movimento e la quiete; esse sono calcolabili, oggettive e rendono possibile la scienza matematica della natura, la fisica di Galileo e Newton. Le qualità secondarie sono invece quelle percepibili da un solo organo di senso: il sapore, l'odore e, appunto, il colore; sono soggettive e quindi escluse dalla trattazione scientifica, a meno che non se ne trovi un aspetto misurabile. Il che in effetti avvenne con l'esperimento newtoniano della scomposizione della luce attraverso lo spettro, ciò che permise a Newton di legare i diversi colori alla diversa velocità delle particelle che la compongono.

 

A questi due tipi di qualità il filosofo inglese aveva aggiunto le qualità terziarie che aveva definito come qualità che producono modificazioni in un altro corpo: l'esempio era la capacità del fuoco di modificare il colore di alcune cose oppure di modificare la consistenza della cera o dell'argilla. Quando noi troviamo però l'espressione 'qualità terziarie' nella letteratura psicologica, dobbiamo pensare a qualcosa di più semplice e, nello stesso tempo, più complesso: il termine è stato introdotto per indicare quelle caratteristiche dell'esperienza estremamente soggettive che sembrano appartenere al mondo reale ancor meno dei colori, dei suoni, degli odori. Si tratta di qualità come la maestosità, la dolcezza, la tristezza, la vivacità che, come ci spiega Giulia Parovel, possiamo anche chiamare 'qualità espressive'. Questo termine ha poi il privilegio di raggruppare tutta una serie di qualità delle cose, oggetto di attenzione e di studio nella psicologia contemporanea, come le qualità fisiognomiche, le affordancies, gli effetti di animazione, di animacy, qualità che hanno significati simili, ma non sovrapponibili (Le qualità espressive. Fenomenologia sperimentale e percezione visiva, Mimesis, Milano 2012). Sono queste qualità che la pittura e la poesia hanno cercato di catturare fin dal loro sorgere.

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