Il grigio di Sloterdijk

17 Giugno 2023

Peter Sloterdijk ci invita a pensare il grigio: Wer noch kein Grau gedacht hat: Eine Farbenlehre, così il titolo nell’originale tedesco che nella traduzione italiana diventa: Grigio. Il colore della contemporaneità, uscito ora per Marsilio nella collana “Nodi” (trad. it. di Gianluca Bonaiuti e Matteo Caparrini). La suggestione di Paul Cézanne, che in un colloquio con il suo giovane amico Joachim Gasquet afferma: «finché non si è dipinto un grigio, non si è davvero un pittore», diventa in Sloterdijk: «finché non si è pensato il grigio non si è filosofi». Lasciamo un attimo in sospeso cosa intendesse Cézanne con questa strana affermazione, lasciamo momentaneamente anche da parte i dubbi sulla pertinenza dell’analogia e seguiamo l’argomentazione del filosofo tedesco che ama presentarsi come pensatore iperbolico e gradirebbe la definizione di filosofo cinico, cinico all’antica, come il provocatore Diogene (cfr. il suo libro Critica della ragione cinica, esaminato qui da Antonio Lucci). 

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La storia filosofica del grigio prende le mosse dalle ombre che si muovono sulla parete della caverna di Platone riproducendo in modo impreciso, per la rugosità della pietra e il tremolio della sorgente luminosa, la forma dell’oggetto; l’essenza delle cose rimane nascosta, gli uomini vedono solo le ombre, «cascami grigio scuro della visibilità» (p. 35), determinazione ironica, secondo l’autore, del primo gradino del conoscere che riduce il mondo della nostra esperienza alla possibilità di cogliere soltanto le silhouettes del vero. Con questo, tanto per restare in tema, Platone getta la sua ombra su tutta la storia del pensiero.

La seconda importante figura del grigio viene indicata da Sloterdijk nei Lineamenti della filosofia del diritto di Hegel il quale, dopo aver costruito il suo sistema totalizzante racchiudendovi momenti di attenta descrizione fenomenologica accanto a forzature inusitate, mostra la consapevolezza dei limiti della sua filosofia – limiti che estende alla filosofia stessa – nella notazione: «quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio (Grau in Grau), allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio (mit Grau in Grau) essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto [ri]conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo». La filosofia, scrive Sloterdijk, non prende il grigio dall’esterno, produce da sé il suo grigio, inteso come predicato notturno, retrospettivo, autoriflettente, che ha tante cose alle spalle, insomma semplicemente: vecchio. Il grigio è il colore della mediazione, delle infinite oggettivazioni prodotte dalla storia che non possono essere riviste né superate: «d’altronde – conclude – chi si aspetterebbe che la filosofia spiani le rughe delle cose?» (p. 41).

Altra decisiva disamina del grigio è individuata nel pensiero di Heidegger, interprete filosofico fondamentale, secondo l’autore, delle sfumature di grigio, anche se non pronuncia espressamente il termine che ne indica il colore: egli ha stravolto il tradizionale rapporto tra soggetto e mondo, togliendo al soggetto il carattere di osservatore disinteressato e al mondo la consistenza di «una cosa che si ha davanti come il pane, di cui si taglia una fetta» (p. 49); ha interpretato l’esistenza come l’essere immersi e gettati in una sorta di nebbia grigia che ci avvolge nell’ansia e nella noia, nella quale non si riesce a distinguere vivere e sapere, prassi e contemplazione, quotidiano e teoria.

Queste osservazioni filosofiche si intrecciano con letture letterarie, notazioni storiche ed etimologiche. Grigia è l’eminenza grigia, così anche la burocrazia che forse risale all’intelaiatura delle scrivanie da ufficio coperte da una bure, un tessuto grezzo di lana o lino di colore grigio scuro o bruno. Grigi sono i cristiani a cui si rivolge papa Francesco che li richiama a essere figli della luce. Grigie sono le automobili metallizzate che girano per le autostrade della Germania. Grigio metafisico è il Purgatorio dantesco. Grigi gli arredamenti alla moda. Grigia nelle varie sfumature la fotografia “in bianco e nero”. Delle scorribande nella letteratura, nella religione e nel mito, forse perché il colore ha qui il sopravvento sul grigio, cito soltanto la narrazione messicana sull’origine dei colori.  Vi si racconta che gli dèi, annoiati della monotonia del bianco del giorno, del nero della notte e del grigio del crepuscolo, decisero di dipingere le cose, ma, stanchi, si addormentarono; i vasi che contenevano i pigmenti, lasciati incustoditi, si rovesciarono e i colori si riversarono sul mondo.

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Oleg Vasil’ev, Litografia, 1991. 

Didascalia: L’autore, nato a Mosca nel 1931 e morto nel 2013 a Saint Paul negli Stati Uniti, è uno dei più importanti artisti russi non conformisti della sua generazione. In alcune sue opere reinterpreta momenti della storia e della memoria del suo paese di origine; in questa litografia lo slogan, attribuito a Lenin, afferma che ogni cuoca deve essere in grado di governare uno Stato, ma sul piedestallo è scritto: dittatura.

 

È nella politica che si manifesta più chiaramente il grigio nell’ingrigirsi dei partiti che, nel corso del Novecento, dal rosso del comunismo e dal nero del fascismo e del nazismo virano sempre più verso il grigio: grigio radicale era già Stalin, grigia la DDR, grigia, dice, anche la Merkel. Lo stesso avviene a livello più alto nel rapporto tra gli Stati che lasciano alcune zone grigie, dove permangono conflitti mai sedati né risolti. Ma è su questo piano che il grigio assume per Sloterdijk una diversa tonalità che recupera il concetto stoico degli “adiafora”, di ciò che non è né bene né male ed è quindi al di fuori della morale e dell’etica; questo grigio dell’indifferenza dovrebbe diventare una proposta moderna, liberale e tollerante. In questo rovesciamento, che ricorda le mosse ambigue di alcuni passaggi della dialettica hegeliana, il grigio, nel richiamo a non prender posizione, a non essere partigiani, a rinunciare alle ideologie estremistiche, dovrebbe assumere lo stesso valore positivo del grigio di cui parlava Cézanne. Ma il grigio che Cézanne riteneva necessario dipingere (anche ammettendo la correttezza filologica dei colloqui con Gasquet) non era certo fatto di un misto sporco di bianco e di nero se poco dopo egli afferma che Veronese copriva le sue tele con il grigio e vi modellava sopra i piani e le forme con i colori e le velature, oppure quando accenna alle ombre delle nuvole sulla montagna di Saincte-Victoire, ombre non concave, ma convesse, che partecipano dell’azzurro che le circonda; era dunque il grigio che il pittore ricava dalla mescolanza di più colori e che forse smentisce l’affermazione di Wittgenstein che il grigio non può essere luminoso.

Per rimanere nella metafora del grigio proposta dall’autore e che pare funzionare per alcune suggestioni filosofiche e letterarie, il grigio politico inteso come proposta, come progetto, sembra davvero poco convincente: il passaggio dalla ragione cinica a quella stoica sembra decisamente inadatto alla politica che oggi richiede più impegno che indifferenza.

In copertina, Marc Rothko, Senza titolo (nero su grigio), New York, Solomon R. Guggenheim Museum

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