Essere terroristi | Jan Hoet
Che i sintomi dell’amore siano gli stessi del colera, Jan Hoet lo sa bene senza scomodare García Márquez. Il suo amore per l’arte, irrimediabile, è nei suoi occhi febbricitanti. In quella spalla che si muove nervosamente di tanto in tanto, con uno scatto. Nel nervosismo e nell’ira. Nella ferocia che gli morde lo stomaco.
È pieno volo. Piena passione. È un’inquietudine, sorda, che non ascolta tregua o cedimento.
Un uomo così rabbioso e sanguigno, non può evitare di darsi e di dare tormento. Il suo progetto, non può che essere sovversivo. Poco importa qui ricordare un elenco delle sue mostre. Meno ancora calcolare il numero preciso degli artisti di Documenta IX e le sedi deputate all’esposizione. Sarebbe gioco troppo facile mettere insieme un memoriale. Per far questo basta entrare nel bookshop del Museo S.M.A.K. a Gent e sfogliare qualche catalogo. Accanto alla famosa Chambres D’Amis e ai tre volumi del catalogo di Documenta, comparirà un mondo di satelliti solo all’apparenza minori, da Rendez (-) Vous a Yellow, da Over The Edges a Open Mind-Closed Circuits, da Kunst in Europa na ’68 a Ponton Temse. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Non distraiamoci. Quel che importa, è che Jan sia un terrorista. È un uomo che spinge, esercita pressione, resiste, sconquassa.
Jan Hoet | Laurens De Keyzer, Rony Heirman, Jan Hoet-LXV, Ludion, Ghent-Amsterdam 2001
Dal 1975 Jan Hoet è direttore del Museum van Hedendaagse Kunst, ma, in sostanza, è direttore di un museo inesistente. È come incoronarsi re di un regno troppo piccolo. O di nessun regno. Una scommessa persa in partenza. Ma non per lui.
Le sale del cosiddetto museo consistono solamente in due stanze e in un corridoio e alloggiano nel Museum voor Shone Kunsten? Niente paura. Vorrà dire che sarà il museo stesso che dovrà cambiare, essere considerato come un limite di cui osservare i bordi, da cui partire per una messa in tensione, per una ridefinizione. Se il museo ne uscirà vivo o morto, si vedrà. Probabilmente si ritroverà, meno presuntuoso, rinnovato, negli spazi dove la gente abita. Chambres d’Amis ha a che fare anche con questo.
Cosa si può fare se si resta per due anni a secco di budget? C’è in ballo una mostra con un preventivo di 10 milioni di franchi, che sale in modo così incontrollato da imporre la dichiarazione di una cifra ufficiosa ben lontana da quella reale.
Si può solo insistere. E Jan lo sa fare. Mette alle strette il borgomastro arrivando ad avere un minimo finanziamento, rischia il tutto per tutto stanziando per una sola mostra il budget destinato all’intero settore musei per quattro anni, chiede un aiuto finanziario alla famiglia e, quando si ritrova tra le mani più o meno la metà della somma necessaria, si dice “Voilà! Io comincio!”. E convince i fornitori a lavorare gratuitamente, l’architetto di fiducia ad investire a sue spese per la costruzione di un’opera di Buren, gli assistenti a mettersi sulle tracce di partner e sponsor. Fino a disturbare Dunhill.
Jan Hoet | video still | Jef Cornelis, De Langste Dag, BRT 2, 21.06.1986
La sua furia travolge tutto. Non lascia al sicuro gli artisti. Con loro combatte fino allo sfinimento. Fianco a fianco, ma anche corpo a corpo. Sa bene che potrebbe optare per delle mostre di integrazione assoluta. Di quelle che soddisfano tutti e si dimenticano come le prediche appena fuori dalla messa. Potrebbe accontentarsi di riempire le case, così come i musei, di “pezzi” pregevoli, sostituendo magari un anonimo paesaggio di dubbio gusto con una perla di pittura di Van Gogh. Ma a cosa servirebbe l’arte? Come decoro? Cambierebbe in qualche modo la mentalità della gente? No. Non è questa la strada. Bisogna provocare. Per avere una reazione. Suscitare qualcosa, altrimenti la gente non cambia per niente! Gli artisti non devono deluderlo. “Non ho paura che di una cosa” – dice loro con fermezza. E ribadisce: “L’opera d’arte deve sempre deregolarizzare. Oserei imporvi la parola terrorismo … vorrei che foste dei terroristi.”
Mentre sto qui, e scrivo questo testo, i miei pensieri corrono alle mostre. Sono loro il testo. Perché è l’arte ad essere fondamentale. Non è solo questione di gusto. È questione di scelta. E l’arte ammala. Costringe alla lotta continua. Meglio dotarsi di due guantoni da boxer. Da appendere davanti alla scrivania, bene in vista.
I riferimenti presenti nel testo sono tratti da alcune conversazioni tra l’autore e Jan Hoet, Jo Coucke, Luciano Fabro, Edilbert Haentjens, e da Chambres D’Amis. Gent 21 Juni - 21 September 1986 Museum van Hedendaagse Kunst, Museum van Hedendaagse Kunst, Gent 1986; S.Carrayrou (a cura di), Entretien avec Jan Hoet (Museum Van Hedendaagse-Gent “Gand”, 24 Juin 1987) “Chambres d’Amis”, “Point d’orgue de tout ce que j’ai voulu démontrer dans le musée”; Jan Hoet, An introduction, in Documenta IX, Edition Cantz, Stuttgart, Kassel 1992.