Truffaut alla Cinémathèque
In occasione del trentesimo anniversario della morte di Truffaut (21 ottobre 1984), la Cinémathèque Française, diretta da Serge Toubiana, si è fatta carico di organizzare una rete di eventi in memoria del cineasta francese, scomparso prematuramente all’età di cinquantadue anni.
L’8 ottobre 2014 è stata inaugurata una grande mostra, accompagnata da una retrospettiva completa e da dibattiti e incontri attorno alla figura di Truffaut: quasi ogni giorno, da ottobre a gennaio, sarà possibile partecipare ad un evento legato al regista – dalla programmazione dei suoi film agli atéliers di scrittura creativa fino alla proiezione in sala di una filmografia più recente, discutibilmente considerata “”truffauldienne”: sulla discutibilità, sono da vedere i commenti del pubblico registrati sui blogs e sulle pagine della stessa Cinémathèque a proposito dei supposti eredi di Truffaut, come il Christophe Honoré di Dans Paris (2006) o il più recente Tonnerre di Guillaume Brac (2012), con l’attivissimo Vincent Macaigne: l’eco virtuale ripete, in modi diversi ma concorde, cosa c’entrano questi cineasti con Truffaut?
Ad ogni modo, Truffaut è a Parigi – il suo viso ora nascosto ora sorridente fa capolino da un’affiche buffa, quella della mostra, in molte stazioni del métro – e i parigini ne sono più che contenti: sin dai primi giorni di apertura la mostra ha registrato un grande afflusso di pubblico ed è forse la cosa più commovente, entrando nelle sale dell’exposition François Truffaut, ascoltare chi recita le battute dei suoi film di fronte alle immagini che scorrono sugli schermi disposti quasi in ogni sala.
(“Tua madre, tua madre, che le è successo ancora?” “È morta”, da Les 400 coups)
Ragazzi e adulti recitano a memoria, ridono e anticipano le battute dei personaggi in quella che è una cinefilia “grand publique”, da grande pubblico: Truffaut è una gloria francese e i francesi sono bravi a ricostituire le proprie memorie in percorsi che le raccontano e le spiegano in maniera didattica anche a chi non ne sa niente – anche quando non è il caso, come dimostrano i fruitori della mostra.
Il percorso espositivo segue tre linee direttive: la gioventù da monello “au piquet”, perennemente in punizione, cinefilo e lettore vorace; il lavoro di critico cinematografico, al quale approda con un immediato riconoscimento “lì dove erano finiti ‘i 400 colpi’” (F. Truffaut, “Adieux à André Bazin”, Arts, 19-11-1958); e infine il cinema, dietro e davanti alla macchina da presa, dagli anni della Nouvelle Vague alla continua mescolanza di cinema e scrittura, con la redazione del best-seller mondiale su Hitchcock e la partecipazione, in veste di attore, al film di Spielberg Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977).
La cinefilia, il cinema amato da Truffaut fanno da collegamento tra questi momenti della sua vita: dai memorabilia del regista bambino – i quaderni con le liste dei film visti o da vedere, qualche copia dell’amato Balzac, le lettere all’amico Lachenay, ma soprattutto programmi di ciné-clubs parigini – agli articoli del critico per Arts o per i Cahiers du Cinéma, sembra di entrare, una sala dopo l’altra, nella (o nelle) Wunderkammer di un cinefilo che acquista, anno dopo anno, sempre più consapevolezza ma soprattutto i mezzi per soddisfare la propria voracità.
In un percorso del genere, la vita del regista si confonde presto con le immagini del film Les 400 coups (1959): le lettere degli assistenti sociali alla famiglia e agli amici, qualche foto scattata in prigione (la prima volta, ancora minorenne, Truffaut vi fu portato dal padre dopo aver fondato un ciné-club la cui vasta programmazione non poté essere assicurata: non potendo rimborsare il pubblico, al regista toccò la prigione), gli scambi col critico cinematografico, mentore e padre d’elezione André Bazin, al quale il regista dedicò i suoi Les 400 coups.
L’espressione in francese è sinonimo di una vita disordinata, caotica: ed è soprattutto sulla falsariga del film, che resta uno dei più noti al pubblico, e in questo spirito che il regista viene ricordato. Le scene dei suoi film, che accompagnano il pubblico da una sala all’altra, sembrano ripercorrere cronologicamente le tappe della vita di un uomo inquieto, che si è affrettato ad imparare come affrancarsi dall’infanzia per realizzare al più presto i propri fantasmi: un adulto che ha conservato ben vivo il ricordo delle punizioni subite (anche da grande: è il caso dell’interdizione a partecipare al Festival di Cannes 1958, testimoniata da una lettera degli organizzatori: il critico cinematografico aveva presto conquistato la fama di enfant terrible) e il desiderio, infinito, di rappresentare le storie dei sentimenti più difficili da raccontare, gli “amours purs”, l’amore e basta.
Accanto a questa immagine del regista se ne profila un’altra, ed è quella che rimandano i pezzi esposti, di proprietà del fondo Truffaut della Cinémathèque: sono, meticolose e ordinate, le cartelle del regista, le note del critico, gli scambi con i registi e con le case di produzione. L’attenzione per i dettagli e per i propri attori, che emerge dalle foto di scena con l’alter ego e amico Jean-Pierre Léaud, Marie Dubois, da poco scomparsa, Jacqueline Bisset (bellissima la foto del regista che le “sistema” le mani, sul set de La nuit américaine), Catherine Deneuve, Jeanne Moreau… l’altra immagine, più silenziosa, di Truffaut, è quella dell’attenzione per il proprio mestiere ed è testimoniata dalla scrittura: dai numerosissimi scambi epistolari alle riscritture di una scena, la scrittura testimonia il lavoro che sta dietro ai film che il regista voleva “dessero l’impressione di essere stati girati con 40 gradi di febbre”.
Il rapporto con gli altri esponenti della Nouvelle Vague, meno pacifico di come è raccontato, un poco frettolosamente, nella sala dove scorrono le immagini di À bout de souffle o di Cléo de 5 à 7, avrebbe forse contribuito a gettare una luce maggiore sul metodo del regista – del tutto assente, ed è un peccato, la corrispondenza che Truffaut intrattenne con Godard, fino alla lite e al distacco degli Anni Settanta (pubblicata in italiano da Einaudi: F. Truffaut, Autoritratto. Lettere 1958-1984, a cura di S. Toffetti, 1989).
Dall’infanzia a rotta di collo all’amore – e poi la morte, che appare presto anche nella riflessione del regista (L’homme qui aimait les femmes, 1977, La chambre verte, 1978), la mostra si chiude su un documentario-testimonianza che ha come protagonisti i nuovi volti del cinema francese (generazione ’83-‘85) nell’atto di interrogarsi su cosa significa essere “truffauldien”, eredi di Truffaut oggi. Dopo qualche tentativo (“Romantique”, abbozza Vincent Macaigne, “Mélancolique?”, Vincent Lacoste), i quattordici attori, sette ragazze e sette ragazzi, si mettono a recitare…
La mostra “François Truffaut" è a Parigi alla Cinémathèque Française fino al 25 gennaio 2015