Quando il presente vacilla
Nel gennaio del 1856 una madre, una schiava fuggitiva di nome Margaret Garner, uccise la figlia di pochi anni per non vederla riportata in schiavitù. Una legge prorogata nel 1850 prevedeva infatti la possibilità di reclamare la proprietà degli schiavi fuggitivi, anche qualora questi si trovassero già in stati liberi. Prende le mosse da questo tragico evento, storicamente documentato, il celebre romanzo di Toni Morrison Amatissima (1987), tra i capolavori della letteratura contemporanea per la sua capacità di raccontare il trauma che segnò gli anni della ricostruzione che seguirono la guerra civile americana e l’abolizione della schiavitù. Amatissima è anche una storia di fantasmi, in quanto tratta della storia non come un insieme di fatti consegnati ad epoche più o meno remote, ma come un “passato che non passa”.
Il libro racconta di un fantasma – la figlia Amata che riappare anni dopo infestando la casa e la vita di un paese che pena a fare i conti con l’abolizione – che perseguita e ossessiona il presente, ma che è esso stesso perseguitato. La vicenda di Sethe e di sua figlia Amata parla di una perdita che è la condizione stessa dell’istituzione della schiavitù (i sessanta e passa milioni a cui Morrison dedica il romanzo) e di conseguenza anche dell’emancipazione e della libertà.
Che cosa ci dicono i fantasmi dei rapporti sociali in cui sono avviluppate le nostre vite? In che modo possono essere considerati come attori decisivi della vita sociale, proprio perché segni di un passato, disconosciuto e conflittuale, con cui il presente rifiuta di fare i conti? In Cose di fantasmi (pubblicato per la prima volta nel 1997, e ora finalmente disponibile in traduzione italiana), Avery Gordon affronta queste domande e si interroga sul modo in cui le nostre vite e relazioni sono perseguitate da presenze fantasmatiche. Se il motivo del fantasma è solitamente relegato ad ambiti minori della cultura – il cinema horror in particolare – Gordon propone invece di prendere in considerazione la materia fantasmatica di cui è fatta la vita sociale ponendo questioni cruciali che riguardano la soggettività e la nostra concezione della storia e delle scienze sociali, ambito dal quale proviene l’autrice (professoressa di sociologia presso la University of California, Santa Barbara).
Cose di fantasmi è diventato in poco tempo un classico della sociologia contemporanea proprio perché pone questioni urgenti che riguardano la complessità della vita sociale e l’inadeguatezza delle scienze umane e sociali a fornire strumenti adatti a comprendere il modo in cui istituzioni e persone sono infestate, o meglio, “haunted” (termine difficile da rendere in italiano in tutta la sua complessità e che infatti i due traduttori propongono di mantenere in inglese). Invece di basare la sua indagine su ricerche etnografiche, inchieste statistiche o altri metodi convenzionali delle scienze sociali, Gordon volge il suo sguardo verso gli ambiti della letteratura, della teoria critica e della psicanalisi, perché “è qui” scrive che “le scienze umane sono più disponibili a ospitare storie di fantasmi” (p. 69).
Un sapere empirico fondato sull’idea, ancora dominante, che la realtà sociale sia qualcosa di osservabile, di misurabile e interpretabile, proiettando sui propri oggetti quell’illusione di trasparenza tipica delle scienze moderne, appare infatti inadeguato a cogliere la complessità dei meccanismi di assoggettamento e ribellione che costituiscono la vita sociale. La semplice affermazione con cui si apre il libro, che “la vita è complicata”, rimanda in questo senso a un progetto la cui portata è sia epistemologica che politica; se da un lato il libro propone un’articolata critica delle forme istituzionali del sapere (dalla psicanalisi alle scienze sociali), dall’altro indica nel fantasma una via d’ingresso verso una comprensione dei meccanismi di potere che ci aiuti a “sviluppare una visione più accurata e sensibile della vita come viene vissuta, in tutta la sua complessa intimità, in condizioni di invivibilità” (p. 11).
Non è un caso se Cose di fantasmi dedichi ad Amatissima un denso e illuminante capitolo. La vicenda raccontata da Morrison parla infatti della dimensione al contempo sociale, soggettiva e fantasmatica della violenza razziale mettendo al centro un fantasma, proprio in quanto questo “non è semplicemente una persona morta o scomparsa, ma una figura sociale, e investigarlo può condurre fino al luogo denso in cui storia e soggettività plasmano la vita sociale” (p. 33). Amatissima ci dice che la schiavitù continua a vivere dopo la sua abolizione, non soltanto nelle memorie e nei vissuti personali, ma anche come rapporto sociale che definisce drammaticamente le vite delle persone di ascendenza africana e il cui fantasma continua a perseguitare il presente nel quale Morrison ha scritto il suo romanzo. La letteratura occupa un ruolo centrale nell’indagine di Avery Gordon proprio perché, al contrario delle scienze sociali, che per definizione ripudiano la finzione, non è assoggettata alle stesse norme e permette di accedere a un sapere che si colloca al di là di una separazione netta tra la realtà e la finzione.
È qui, nella finzione, che le cose non riconosciute si rendono manifeste prendendo la forma di tracce contraddittorie e irrisolte che si intromettono nella produzione di conoscenza che affidiamo all’oggettività delle scienze. Invece di sviluppare una teoria degli spettri, come il titolo potrebbe erroneamente fare pensare, l’autrice si addentra in quelle che chiama le “strutture del sentire”, prendendo a prestito un’espressione di Raymond Williams che indica la possibilità di cogliere l’esperienza sociale come qualcosa di vissuto e sentito attivamente, e non come un mero dato oggettivo da cui derivare una rappresentazione astratta.
Uno dei fili che attraversano la lettura di Cose di fantasmi è quello della psicanalisi, forse l’unico ambito del sapere che con più determinazione si è storicamente occupato di fantasmi. Avery Gordon rivolge alla scienza dell’inconscio uno sguardo critico, attento alle dinamiche di potere interne alla sua pratica, in particolare quando queste riguardano la dimensione del genere. Il secondo capitolo del libro prende le mosse da un’assenza nella fotografia che ritrae i partecipanti al congresso di psicanalisi di Weimar del 1911, quella di Sabina Spielrein, paziente di Jung poi divenuta psicanalista, che introdusse per prima il concetto di pulsione di morte, ma la cui rimozione continua a perseguitare la storia della psicanalisi, nella quale Spielrein assume, precisamente, le sembianze di un fantasma.
Tuttavia, la disanima delle strutture sessuate inerenti alla psicanalisi e al modo in cui viene raccontata la sua storia (la strutturale esclusione delle donne e i ruoli ai quali vengono assegnate) non è il tema principale dell’analisi proposta da Gordon. Ciò che il libro vuole mettere in evidenza è soprattutto un problema di metodo che riguarda il modo in cui rappresentiamo la storia e le sue assenze o rimozioni. Se infatti la psicanalisi può fornire una serie di strumenti utili per analizzare il funzionamento dell’haunting, il suo concentrarsi sull’esperienza individuale a discapito della dimensione sociale la rende inadeguata a cogliere i nessi tra la soggettività e il potere che definiscono i rapporti sociali.
Oltre al denso capitolo dedicato ad Amatissima, Cose di fantasmi si concentra su un altro oggetto letterario, Como en la guerra di Luisa Valenzuela (di cui non esiste ancora una traduzione italiana), che mette al centro proprio le impasse di una pratica che si ostina a pensare la dimensione psichica della soggettività al di fuori di un’analisi dei meccanismi del potere. La novella, incentrata sul terrore di stato e sulle sparizioni che hanno caratterizzato la dittatura in Argentina, è stata scritta nel 1977, nel pieno dell’orrore. Racconta la vicenda di uno psicanalista lacaniano e di una paziente scomparsa, in una Buenos Aires perbene incapace di vedere le sparizioni e la violenza politica della dittatura, fino al punto da rimanervi impigliata.
Al di là della trama narrativa, il racconto mette a tema proprio la disastrosa inadeguatezza della psicanalisi di fronte alla violenza politica, “ci avvisa che una delle borghesie più psicanaliticamente sofisticate al mondo è stata cieca al terrore di massa, al ‘sistema nervoso’ che consumava e reprimeva l’intera società” (p. 250). La vicenda dei desaparecidos argentini è segnata dall’haunting in quanto la feroce dittatura di Videla creava una società letteralmente infestata dalle persone scomparse.
Cose di fantasmi non è un testo di teoria femminista, anche se quest’ultima è perfettamente integrata al progetto dell’autrice. Tuttavia, colpisce come l’indagine si concentri su autrici (Morrison, Valenzuela) e vicende (Spielrein) incentrate su personaggi femminili, che incarnano forse meglio di altri ciò che la modernità ha reso fantasmatico: una soggettività rimossa, resa inudibile e costantemente delegittimata. Nel concentrarsi su vicende in cui il potere si intreccia con l’esperienza soggettiva, il passato con il presente, Cose di fantasmi indica infatti che interessarsi a storie fatte di esclusione, rimozione e marginalizzazione significa raccontare storie di fantasmi. È questo forse uno dei punti più importanti affrontati da Avery Gordon, che ha a che vedere con il problema di come rendere conto della storia vissuta “da chi è privo di un nome da ricordare, di una ‘ragione visibile’ per trovarsi in un archivio” (p. 198). In un dialogo stringente con autori come Walter Benjamin, Michel Foucault o Gayatri C. Spivak, il libro pone la questione strutturale di come sia possibile percepire i soggetti perduti della storia – i vinti, gli uomini “infami” o le subalterne – volgendo lo sguardo non al passato, ma al presente.
La necessità di riconoscere i fantasmi che infestano i rapporti sociali del nostro presente ricopre infatti secondo l’autrice un significato sia individuale che politico. La strada aperta dall’haunting mostra che scrivere la storia al presente – non è forse questo il compito delle scienze sociali? – significa fare i conti con le rimozioni, la marginalità e l’invisibilità che costituiscono il sostrato dei rapporti sociali. Nell’interrompere ogni separazione tra passato, presente e futuro, l’haunting fa vacillare il presente e rende possibile l’incontro con ciò che è stato rimosso. È anche per questo che, come afferma Gordon nella conclusione del libro, riconoscere il fantasma, invece di scacciarlo via come ci impone la razionalità moderna, apre la possibilità di pensare il sapere non come conoscenza distaccata e impersonale, ma come un groviglio complesso nel quale le nostre vite sono inevitabilmente coinvolte.
Avery Gordon, Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica, ed. it. e traduzione a cura di Stefania Consigliere e Federico Rahola, Roma, Derive Approdi 2022.