#5 / Perché Freud è ancora necessario
Un sintomo che non guarisce
Sergio Benvenuto
Foucault scrisse: "il marxismo sta nel pensiero del XIX secolo come un pesce sta nell’acqua; e cessa di respirare in qualsiasi altro luogo”. Anche Freud stava come un pesce nell’acqua del XX secolo, e non respira più nel XXI?
Freud e psicoanalisi restano temi più che mai controversi nella nostra epoca: chi considera Freud un ciarlatano – “la psicoanalisi è spalmarsi miti greci sui genitali” (Nabokov) – e chi gli dedica un culto acritico di massimo genio della modernità. Credo che l’importante di Freud non siano le teorie “freudiane” – l’Edipo, l’eziologia sessuale, la scena primaria, ecc. – ma il setting analitico, una certa relazione tra due persone, uno speciale “gioco linguistico” che la nostra epoca ha inventato e di cui le è molto difficile disfarsi. Dopo Freud abbiamo avuto tante altre ‘chiavi’ psicoanalitiche, e non-psicoanalitiche, ma lui ha fatto il colpo gobbo: il “terzo orecchio” con cui si ascoltano le persone. Non importa che cosa si ascolti con il terzo orecchio – ogni scuola sente cose diverse – l’importante è che faccia capolino l’orecchio in più. Che ci sia un ascolto speciale. Fin quando esisterà il bisogno di questo ascolto (quel che chiamiamo inconscio) ci saranno sempre degli psicoanalisti. Spesso squilla l’annuncio della morte della psicoanalisi, che in realtà è un augurio: si ripete che la psicoanalisi è inefficace, mentre le terapie cognitive, invece, farebbero faville… Ma non è vero. Si attacca la psicoanalisi perché invece è molto efficace. La psicoanalisi – disse Lacan – è il sintomo della nostra epoca, e i sintomi, come è noto, sono sempre molto efficaci.
Sergio Benvenuto, psicoanalista e filosofo, è direttore dell’European Journal of Psychoanalysis e presidente dell’Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi.
In suo nome viviamo vite diverse
Vittorio Lingiardi
Perché il cammino della psicoanalisi è fatto di errori e revisioni, di perdite e filiazioni, di confutazioni, contaminazioni e infedeltà. Dunque Freud è il primo riferimento e al tempo stesso il primo errore. Da lì siamo partiti per imparare ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. Per questo dico: “La psicoanalisi è morta. Viva la psicoanalisi”. Freud è necessario proprio perché senza le revisioni della sua teoria e della sua tecnica, senza la sua “fine”, la psicoanalisi non avrebbe futuro. C’è forse qualcosa di freudiano nel nostro modo di pensare il setting, la sessualità e l’inconscio? No. Eppure Freud continua ad accompagnare la nostra crescita. Per questo amo la poesia che Auden ha scritto per la sua morte, perché ne cattura l’assenza come presenza. Freud, dice Auden, usava la memoria come i vecchi e, come i bambini, diceva la verità, ha cambiato per sempre il mondo «semplicemente guardando indietro senza falsi rimpianti». Sbagliava spesso e «a volte era assurdo», ma «in suo nome viviamo vite diverse». Capisco le ragioni dell’evidence based e pratico da più di trent’anni l’esercizio certosino della ricerca empirica sulle variabili del trattamento, ma questo non mi impedisce di pensare, anzi mi spinge a pensare, che la nostra mente, e ancor più la nostra esperienza della cura, non possono vivere senza conflitti e difese, senza simboli e rappresentazioni, senza la complessità, talora insondabile, dei significati e la centralità della relazione. All’interpretazione preferisco il something more del Boston Group, eppure non posso non dirmi “freudiano”.
Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoanalista, professore ordinario di Psicologia dinamica presso la Sapienza Università di Roma
Un insolito viaggiatore
Fabio Madeddu
“Si comporti, per fare un esempio, come un viaggiatore che segga al finestrino di una carrozza ferroviaria e descriva a coloro che si trovano all’interno il mutare del panorama dinanzi ai suoi occhi”. Mi piace partire da questo passo di Freud che ha un suo incedere lento e ottocentesco – fra Proust e Svevo – da incipit romanzesco. Lascia il lettore in attesa di qualcosa che accadrà di drammatico, strano, favoloso. Fa pensare all’Orient Express, con signori eleganti e signore educate che viaggiano verso Budapest e poi via, verso Istanbul. Il consiglio freudiano è un punto di partenza di grande fascino per la psicoanalisi, fissa infatti quella che poi diverrà la regola fondamentale: uno che ascolta mentre l’altro racconta. Si precisa la cornice, si pongono le basi per tutte le esplorazioni che verranno. Senza questo movimento non vi sarebbero gli sviluppi successivi: è da queste parti che Freud diviene qualcosa d’altro nel nostro pensiero occidentale, poiché fa del racconto libero un metodo.
Un modo dunque apparentemente non così dissimile dallo Jung degli esperimenti associativi, solo che in Freud l’apparato ‘sperimentale’ è dilatato in modo creativo e innovativo. Raccontare l’inconscio guardando da un finestrino non è cosa affatto semplice. “Di tanto in tanto ci imbattiamo in persone che si comportano come se la regola se la fossero data da sé. Altre peccano contro di essa sin dall’inizio.” Ma – nella fantastica carrozza freudiana – vi sono altre persone in viaggio. Coinvolte o annoiate? Hanno desideri e sono desiderabili? Ci possiamo fidare o scenderanno alla prima stazione? Nel mondo interno si agitano fantasmi che ci impediscono di guardare tranquilli, non solo per ciò che temiamo di vedere, ma anche per la presenza stessa degli ascoltatori. Quello che accade in questi tre movimenti – guardare fuori, vedere solo a tratti e solo alcune cose, l’influenza dell’ascoltatore – segnerà tecniche e teorie successive. Il viaggio nell’inconscio cesserà rapidamente di seguire il lento e rassicurante incedere del treno. Ma qualcuno doveva creare quel modo di procedere.
Fabio Madeddu, psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista, professore ordinario di Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
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