RADIOGENIE / Le vite di chi ama la radio

24 Novembre 2019

Continua "Radiogenie", una nuova rubrica a cura di Tiziano Bonini e Rodolfo Sacchettini, uno spazio dedicato alla cultura dell'ascolto, ai suoi autori, alla rinascita dei contenuti sonori e dei generi radiofonici su altri supporti (smartphone, podcasting). Qui il primo contributo.

 

“Stimati invisibili…”

Iniziava così le sue trasmissioni radiofoniche Walter Benjamin, che nutriva un profondo rispetto per gli ascoltatori e sul rapporto tra radio e ascoltatori ha scritto una serie di riflessioni radicali (che riportavo nel 2011 in questo articolo di Doppiozero).

Il DNA della radio sta tutto nella sua invisibilità. Invisibili i conduttori, che parlano di fronte al vetro della regia e si vedono restituire la propria immagine riflessa, mentre il pubblico è solo una presenza evocata, fantasmatica. Invisibile l’ascoltatore, che invia messaggi, chiama al telefono, scrive su Facebook, ma non si materializza mai nello studio.

È questo doppio statuto di invisibilità – del conduttore e dell’ascoltatore – che alimenta la curiosità di chi ascolta, sia al microfono che al ricevitore radio. 

 

Senza l’invisibilità, la radio perde i suoi superpoteri ma diventa anche più umana, si fa intermediario di relazioni faccia a faccia, che a volte durano oltre l’ascolto. Ecco allora che ogni radio ha creato il suo festival, i suoi appuntamenti dal vivo, per far partecipare gli ascoltatori, materializzarli di fronte a chi parla, farli conoscere tra loro. In quel momento crolla la magia della radio (“sai, ti facevo più giovane”) ma ad essa si sostituisce una relazione vera, incarnata e non più solo immaginata o idealizzata. Ascoltatori e conduttori si parlano dal vivo, pur nell’asimmetria della relazione di potere costruita al microfono. 

Questa è la natura di Ascoltatori (add Editore) libro di Susanna Tartaro, storica curatrice di Fahrenheit a Radio3, entrata in Rai a Via Asiago quando ancora si montavano le trasmissioni coi nastri. 

La Tartaro intraprende un viaggio solitario e umile, al di fuori degli studi di Via Asiago, la sede di Radio Rai a Roma, per andare ad incontrare alcuni ascoltatori di Radio3 che ha conosciuto al telefono o incontrato nei festival da cui la radio ha trasmesso dal vivo.

Fa una cosa che raramente fanno coloro che lavorano alla radio: smette di parlare e si mette ad ascoltare gli ascoltatori, per capire chi sono, da quali parabole di vita provengono, perché sono così tanto motivati all’ascolto.

 

Quello che esce fuori è un ritratto sorprendente del pubblico di Radio3 Rai. Dove ti aspetti ascoltatori che lavorano nelle industrie culturali, ex professori e maestre, artisti e musicisti, trovi invece operai disoccupati amanti della musica classica, pastori innamorati di vecchi film e Hollywood Party, ex preti divenuti portieri di condominio, pet terapiste, un giocatore di scacchi… ognuno con una storia di vita che potrebbe diventare un podcast per Tre Soldi (il contenitore di documentari di Radio3). 

Perché quando si fa lo sforzo di avvicinarsi agli ascoltatori invisibili e si smette di guardarli da lontano, soppesandoli come vacche al mercato dell’audience, si scopre, come sosteneva Raymond Williams, che “non esistono le masse. Esistono solo modi di vedere le persone come masse” (da Resources of Hope: Culture, Democracy, Socialism, 1989).

 

 

Se si sgrana quella “massa” di più di un milione di persone che ogni giorno passa qualche minuto o qualche ora insieme alle voci di Radio3, quel che rimane nello scolapasta a maglia fine che la Tartaro usa come dispositivo narrativo, sono le storie di vita di Armando, Stefano, Valeria, Paola, distribuite da Roma ad Andria, da Vittorio Veneto a Levico Terme. Il viaggio della Tartaro è umile perché non incontra soltanto queste persone, ma entra anche in casa loro, si siede a pranzo insieme, consuma un pasto insieme agli ascoltatori e alle loro famiglie e invece di raccontare, ascolta. Colpiscono le descrizioni minuziose degli interni delle case, dei dialoghi tra le persone delle famiglie incontrate, lo stile da reportage radiofonico, come se la scrittura fosse un registratore che raccoglie voci, senza interferire.

Sembra il libro di un’antropologa della radio, più che di una produttrice radiofonica del servizio pubblico. È un’etnografia dell’ascolto, quella che compie Susanna Tartaro. Si dice che la radio entra nelle case, qui invece è una persona che fa la radio da anni a entrare davvero nelle case, letteralmente, non virtualmente. Seduti allo stesso tavolo, produttore e ascoltatore non sono mai stati così vicini: “Pandispagna, crema e panna, tutto fatto io. Poco zucchero, poco latte, cacao poco, buono per dieta!”, dice Aurelia, compagna rumena di Adriano, che con Radio3 impara l’Italiano. 

 

Quello che rende questo libro bello da leggere e scoprire non sono tanto i motivi che spingono all’ascolto della radio, che emergono nelle conversazioni con i protagonisti, quanto le storie di vita che stanno dietro l’ascolto. I motivi per cui si ascolta la radio sono ormai stati indagati e scandagliati in tutte le forme, da centinaia di sociologi. Solitudine, voglia di imparare quello che nella vita non si è potuto imparare per tempo, un semplice ritmo per suddividere la giornata, un po’ di intimità virtuale, desiderio di piacere estetico per i più colti. Non c’è molto da dire ormai, su questo fronte. Quello che invece sorprende è la vita che corre dietro il vetro della radio, le traiettorie di ognuno dei singoli protagonisti del libro, traiettorie fatte di parecchie difficoltà e cambi di direzione improvvisi, vite che non vanno quasi mai come previsto e che trovano nella radio un modo per raddrizzare la propria traiettoria, o renderla più significativa, una sorta di “realtà aumentata”. 

 

Quando si parla di servizio pubblico, invece di misurare il numero degli ascolti, il tempo e le fasce demografiche, si dovrebbe leggere questo libro, per capire in quanti modi invisibili e intangibili il servizio pubblico di Radio3 entra nelle vite di persone comuni e contribuisce a rendere la loro vita più ricca e significativa. 

La radio è come una rete da pesca: tra le sue maglie, a fine giornata, ritroviamo tante piccole storie di vita. Tutte insieme non sono che granelli, ma ad uno sguardo più ravvicinato, quello che gli dedica Susanna Tartaro, dentro quei granelli ci sono mondi che raccontano l’Italia di oggi e quella di ieri. Era con questo spirito che per qualche anno, insieme a Matteo Caccia che lo conduceva (e a Mauro Pescio, Giulia Laura Ferrari, Luca Micheli) abbiamo fatto Pascal su Radio2, per esempio: perché le vite degli ascoltatori hanno molto da raccontare, se ti avvicini ad ascoltare.

Rendere visibile l’invisibile è il compito della radio. E la riuscita di questo libro.

 

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