Dalla statua citofonica ad Amazon Echo

14 Maggio 2024

In Atlas of AI, la studiosa dei media Kate Crawford (tradotta in Italia dal Mulino) analizza le infrastrutture materiali, geologiche, politiche ed economiche che stanno dietro un oggetto levigato e apparentemente innocuo come Echo, l’altoparlante domestico e “smart” prodotto da Amazon. Echo, ci dice Krawford, non è altro che un “orecchio” domestico: un agente di ascolto disincarnato che non mostra mai le sue profonde connessioni con i sistemi remoti che lo alimentano. Secondo Krawford però, Echo è tutt’altro che innocuo, e la sua esistenza è strettamente legata alle reti globali di estrazione di terre rare, alla emergente economia dei dati personali digitali e alla storia dei dispositivi di sorveglianza al servizio del potere.

Kate Crawford traccia una genealogia di Amazon Echo che mette in evidenza non solo il modello economico di tipo estrattivista che sta dietro la sua filiera produttiva (estrattivista perché si appropria gratuitamente o quasi di dati personali e materie prime come il litio), ma lo connette a dispositivi del passato di cui Echo sembra essere l’erede. A questo proposito Crawford racconta la storia del gesuita Athanasius Kircher, che nel 1673 inventò la “statua citofonica”. Kircher fu uno straordinario studioso e inventore interdisciplinare. La sua statua parlante era un sistema di sorveglianza basato sul suono: essenzialmente un microfono ricavato da un enorme tubo a spirale, che poteva trasmettere le conversazioni catturate da una piazza pubblica e farle salire attraverso il tubo, per poi passare attraverso la bocca di una statua conservata nelle stanze private di un aristocratico. Come scrisse Kircher: “Se l'apertura del tubo a forma di spirale si trova in corrispondenza di uno spazio pubblico aperto, tutte le parole umane pronunciate, concentrate nel condotto, verrebbero riprodotte attraverso la bocca della statua”. Il sistema di ascolto progettato da Kircher poteva origliare le conversazioni quotidiane della piazza e trasmetterle agli oligarchi italiani del XVII secolo. La statua parlante di Kircher era una prima forma di estrazione di informazioni per le élite: le persone che parlavano per strada non erano a conoscenza del fatto che le loro conversazioni venissero incanalate verso coloro che avrebbero sfruttato quella conoscenza per il proprio potere, intrattenimento e ricchezza. L'obiettivo era quello di oscurare il funzionamento del sistema: una statua elegante era tutto ciò che potevano vedere. Prima ancora che venisse inventato il microfono elettrico o i primi dispositivi per la registrazione del suono, esistevano già diversi tentativi, come quello di Kircher, di costruire “nuove tecnologie” per l’ascolto a distanza. Questi dispositivi, come la statua citofonica, ci ricorda Crawford, nascevano non per migliorare la vita della collettività, ma avevano a che fare con il potere, la classe e la segretezza. 

In fondo, Amazon Echo non è molto diverso dalla statua citofonica di Kircher: anch’esso cattura le nostre conversazioni, le trasforma in dati che verranno ascoltati da qualcuno, o che potrebbero essere ascoltati da qualcuno con molto più potere di noi. Così come le funzionalità di sorveglianza e origliamento della statua di Kircher erano per lo più invisibili, anche ciò che c’è dietro Echo rimane a noi abbastanza opaco: non sappiamo dove finiscono i nostri dati, chi li lavora, a cosa serviranno. Sappiamo solo che verranno sfruttati economicamente da Amazon, che ha piazzato nelle nostre case una pompa di dati basata sul suono, che apre diversi scenari distopici. Ad esempio, la rivista americana Wired ha rivelato che alcuni hacker hanno scoperto come trasformare Echo in uno strumento di sorveglianza a loro vantaggio. Oppure, Bloomberg aveva scoperto che i lavoratori di Amazon ascoltano ciò che Alexa ed Echo catturano, per migliorare il prodotto.

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Sembra il racconto di un film di fantascienza distopico, o un episodio della serie Black Mirror, invece è la nostra realtà quotidiana.

Questo futuro/presente distopico è al centro di un bellissimo film sonoro del collettivo di artisti ALMARE e prodotto da Radio Papesse – Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. (2024), proiettato il 15 maggio (18.30) da Careof alla Fabbrica del Vapore di Milano, oltre che già in altre città come Bolzano (Museion), Roma (AuditoriumArte) e Torino (Cinema Massimo) nelle scorse settimane.

Il lungometraggio trae spunto dalle teorie pseudo-scientifiche sviluppate nel XIX secolo contestualmente alla nascita delle tecnologie di registrazione, e in particolare dall’archeoacustica, una disciplina che ipotizzava la cattura di voci e suoni del passato rimasti "incisi" nella materia.

Il film è ambientato in un retro-futuro immaginario, come un mondo alternativo al nostro, ma molto simile, dove i protagonisti parlano una strana neo-lingua italiana, poetica, arcaica e piena di neologismi allo stesso tempo, che in alcuni tratti assomiglia alla neolingua del protagonista di Arancia Meccanica e presenta alterazioni intenzionali di estratti di saggi e romanzi tra cui Dissipatio HG (1977) di Guido Morselli, Pasto Nudo (1959) di William S. Burroughs o Il suono come arma (2012) di Juliette Volkler. 

Perché parlo di questo film come di un immaginario distopico che tematizza il modello estrattivista di Amazon Echo? Perché il film racconta le avventure della ricercatrice Dorothea Ïesj e le sue peripezie nell'estrarre (e rivendere illegalmente) suoni del passato grazie a una nuova e potentissima tecnologia chiamata ECHO, sviluppata dal suo laboratorio universitario e capace di ripristinare qualsiasi onda sonora incisa nei secoli su ogni superficie. ECHO restituisce le tracce audio impresse nella materia, permettendo di recuperare qualsiasi suono accaduto in un passato remoto, o soltanto ieri. Capite da soli le potenzialità di questa ECHO immaginaria. I suoni del passato ripristinati da ECHO fuoriescono dal confine del laboratorio universitario, e danno vita a un mercato clandestino di reperti sonori (chiamati “pargoli” nel gergo del film) pagati a caro prezzo da uno strano circo di collezionisti di diverse provenienze sociali. Dorothea, la protagonista del film, spinta dalla sua precaria situazione economica, entra in questo traffico illegale di sono-reperti: prende vita così una rete di contrabbando gestita assieme agli amici e colleghi Juliette, Tancred e alla sig.na Lowenhaupt. Grazie a loro Dorothea riceve una borsa di studio finanziata dall’industria bellica e dalla potente confraternita universitaria S.P.U., Societas Paleoacusticæ Universalis, per studiare tracce sonore di azioni militari. Durante le sue ricerche Dorothea estrae una sequenza di fischi, colpi di cannone e sirene navali sovietiche. Questa scoperta suscita l’interesse di improbabili compratori, collezionisti senza nome, professori corrotti, disposti a tutto pur di entrare in possesso di quelle «reliquie parlanti»

Questa, in breve, è la trama. Il film (non ci sono quasi immagini, ma solo parole in sovraimpressione sullo schermo) è un viaggio sonoro notevole per montaggio, sceneggiatura e invenzione, ma è per me interessante soprattutto per i temi di cui si fa metafora, come quelli del modello estrattivista delle attuali forme di intelligenza artificiale, anche sonora, e come quelli del rapporto tra ricerca scientifica e apparato militar-industriale.

La Echo del film è ancora più potente della Echo di Amazon, perché cattura anche i suoni del passato. Ma ben presto, anche Amazon avrà a disposizione un archivio dei suoni del passato catturati in milioni di case dei suoi clienti. Anche se Amazon dice di non archiviare i dati delle conversazioni ascoltate da Echo, molti giornalisti hanno messo in dubbio queste affermazioni, e non è chiaro come questo enorme corpus di dati acustici vengano o verranno utilizzati da Amazon, anche solo per addestrare future intelligenze artificiali. Di fatto, la Echo di Amazon sembra a tutti gli effetti l’Echo del film fuoriuscita dai laboratori universitari dove lavorava Dorothea. E qui si apre la seconda metafora rilevante del film, ovvero il rapporto tra ricerca e comparto militar-industriale. La ricerca della precaria Dorothea è finanziata, come spesso accade, dall’industria militare, interessata alle sue possibili applicazioni nell’ambito di una lunga tradizione militare che vede il suono usato come arma (di riferimento il testo di Steve Goodman, Sonic Warfare, del 2012).

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Inoltre, come spesso accaduto alle tecnologie elettroniche del passato, dalla radio a internet, gli investimenti militari hanno anche finanziato l’apertura di un mercato “civile” per queste tecnologie. Nel finale del film, senza spoilerare nulla, si scopre che Echo diventerà infine un prodotto commerciale. 

Ascoltando il film, ci chiediamo: chi beneficia di questa tecnologia? L’industria militare? Un circuito illegale di collezionisti? E, infine, grandi aziende tecnologiche? È questo il fine della ricerca scientifica? Produrre tecnologie usate come armi o come avamposti del bio-capitalismo? Di per sé, non scopriamo niente di nuovo: la ricerca scientifica è sempre stata ambivalente, al servizio del potere e, a volte, anche della società. È contro questa visione della ricerca scientifica che gli studenti californiani si scagliavano nel 1968 ed è di nuovo contro questo intreccio tra ricerca e comparto militar-commercial-industriale che si scagliano gli studenti americani e globali in queste settimane, per criticare i legami che la ricerca delle loro università ha con istituzioni universitarie e private israeliane al servizio del sistema dell’apartheid e del tentativo di genocidio esercitato da Israele sul popolo palestinese.

Tutti questi temi, in particolare i modelli attuali di utilizzo di dati sonori digitali per finalità di sorveglianza e controllo sociale, sono al centro di WHAT DO SOUNDS WANT?, un podcast in 4 episodi che accompagna Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U., prodotto da Radio Papesse e ALMARE e distribuito dall’editore NERO.

Questi 4 episodi, che definirei del genere degli audio essays, approfondiscono i temi immaginati dalla fiction cinematica – il nuovo capitalismo basato sui dati personali, la dataficazione costante dei nostri corpi, l’utilizzo dei suoni come arma, ma anche le pratiche di deep listening e ascolto critico – attraverso conversazioni con critici e ricercatori come Brandon La Belle, Juliette Volkler, Steve Goodman (aka Kode9), la sociologa Deborah Lupton (autrice di Quantified Self e Data Selves), la ricercatrice della Columbia, Audrey Amsellem, e il musicologo Holger Shulze.

A volte, una science fiction e un podcast narrativo possono essere più utili di tanta ricerca scientifica, o meglio, possono contribuire a ispirare nuove domande di ricerca e rendere più consapevoli noi ordinari utenti digitali. Ma al di là della sua “pedagogia critica” il film e i podcast vanno ascoltati perché sono delle creazioni sonore originali e inusuali, dotate di una voce e di una lingua uniche. 

 

Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. (2024), sarà proiettato il 15 maggio (18.30) da Careof alla Fabbrica del Vapore di Milano

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