Speciale

Milano mai vista

8 Marzo 2015

Le città portano le stigmate del passare del tempo, occasionalmente le promesse delle epoche future

Marguerite Yourcenar

 

Milano si prepara all’Expo. La sovraesposizione mediatica a cui da mesi è sottoposta ha riportato all’ordine del giorno il problema della sua identità. Come presentarsi al mondo? Quale faccia mostrare? Quale idea di città? Ciò che è diventata riflette la sua vera anima? Costruita sull’assunto che «il cambiamento è virtù che in alcuni passaggi l’ha resa grande», la mostra appena conclusa “Milano Mai Vista” (Triennale, 27 gennaio – 22 febbraio 2015), presentata come «indagine sull’inconscio architettonico e urbanistico di Milano, capace di far affiorare un “rimosso” pieno di opportunità e di offrirlo alla reinterpretazione con gli occhi del presente e le richieste del futuro», ha cercato – pioniera tra le iniziative culturali – di dare una risposta ai quesiti iniziali riflettendo sulle trasformazioni della città, reali o immaginate.

 

Una grande "M" rossa segna l’accesso. Allusione all’iconografia della metropolitana, soglia tra la Milano che è e quella «che avrebbe potuto essere, se le porte scorrevoli della storia si fossero aperte o chiuse con un tempo diverso». Dentro, in uno spazio minore della Triennale allestito con una ventina di sedie colorate, scorrono, proiettate su uno schermo concavo di qualche metro, immagini di grandi disegni di architettura. È la mostra “Milano mai vista”, «un omaggio alla città – scrive Fulvio Irace nelle pagine del catalogo –, alla sua capacità di reinventarsi ogni volta nel pensiero creativo dei suoi artefici dimenticati»: non – come si poteva immaginare – un’esposizione di disegni d’architettura ma una videoinstallazione. Che racconta, attraverso una compressione spaziotemporale ardita – tutto avviene sullo schermo –, un secolo e mezzo di progetti e visioni per la città. Un loop di 15 minuti in cui si alternano riproduzioni digitali di progetti per Milano e riprese video della città odierna.

 

Giuseppe Pestagalli, Progetto per piazza del Duomo, 1862

 

L’operazione è interessante e per certi versi provocatoria: costruita sulla potenza visionaria ed evocativa dei disegni manca, per scelta, di apparati critici a supporto dei progetti selezionati. Si scardina volutamente uno schema consolidato e un modo di riflettere sull’architettura più argomentativo. Non si pone la questione della legittimità delle scelte. Una visione parziale che diventa totalizzante. Inframmezzate da panoramiche sulla città contemporanea, scorrono le immagini dei progetti per Piazza del Duomo (G. Pestagalli, 1862; I. Gardella, Torre Littoria, 1934; E. Mari, 1984; R. Piano e C. Abbado, 90.000 alberi a Milano, 2010), San Babila (A. Andreani, Assicurazioni Toro, metà anni Trenta; L. Baldessari, 1936-37), Brera (L. Figini, P. Lingeri, G. Pollini, E. Mariani, nuova sede dell’Accademia, 1935), Foro Bonaparte (G. A. Antolini, 1801), Stazione Centrale/Piazzale Fiume (A. Sant’Elia, 1913; G. Minoletti, 1959; R. Zavanella e L. Fontana, Monumento alla Vittoria d’Africa, 1937), Garibaldi/Repubblica (A. Rossi, Palazzo dei Congressi, 1982; L. Baldessari, Fontana del Risparmio, 1961-62), Area Fiera/Sempione (F. Albini, I. Gardella, G. Minoletti, G. Pagano, G. Palanti, G. Predaval, G. Romano, “Milano verde”, 1938; RPBW (con M. Corajoud), 2003-04), Porta Vittoria (S. Holl, 1986; Bolles+Wilson, Alterstudio Partners, AHW Degenhardt, Biblioteca di Informazione e Cultura – BEIC, 2001).

 

«Dalla fine dell’Ottocento ad oggi – ci ricorda la voce fuoricampo –, Milano è cambiata radicalmente almeno tre volte. A ogni cambiamento ha corrisposto un salto di scala: un’aspirazione a farsi più grande, ma soprattutto la volontà di aderire a quei più minuti ma pervicaci mutamenti di ideali e stili di vita che le cronache, di volta in volta, registrano col vago termine di “modernità”». Una struttura narrativa basata su temi e luoghi (“le torri”, “la fiera variabile”, “la biblioteca fantasma”) che però non abbandona completamente l’impianto cronologico (e una prospettiva vagamente agiografica) per organizzare sottotraccia i materiali. Scelta che condiziona la lettura complessiva, impedendo, anche a causa di un avvicendamento delle immagini abbastanza (forse troppo) veloce, di far emergere la potenza espressiva del singolo fotogramma.

Tutto sembra convergere sull’oggi. Il rischio (o la pretesa) è quello di promuovere, attraverso una selezione significativa ma comunque arbitraria, un’idea univoca e un po’ acritica di Milano, città dinamica, sempre in evoluzione, incurante del passato, smaniosa di rinnovarsi, che fisiologicamente produce scarti di visioni non perseguite. Utilizzando a tal fine ciò che non è stato (i progetti abortiti, «una storia di fallimenti o di pentimenti, si potrebbe dire, se non fosse che di tali impalpabili macerie son fatte sempre le città: mostrano la loro faccia visibile, lasciando in ombra le radici lontane») a supporto di quello che è.

 

Concorso per il piano regolatore e di ampliamento di Milano (1926-27), Piero Portaluppi e Marco Semenza, Progetto Ciò per amor. La nuova sistemazione della città monumentale: dal Duomo a Porta Romana

 

Ma forse proporre oggi un’idea di Milano non è così rilevante. Non è interessante utilizzare la qualità di ciò che non è stato per promuovere e nobilitare un presente problematico e irrisolto. Il racconto di Milano può essere affrontato come opera aperta, rinunciando all’obiettivo di restituire una visione compiuta e costruendo una narrazione la cui efficacia stia proprio nella consapevolezza della sua parzialità. Viste così allora le tavole e i disegni di progetto proiettati, liberati da un intento didascalico, tornano ad assumere la potenza visionaria che li ha generati, senza bisogno di un confronto (tra la città reale e quella rimasta sulla carta) che gli restituisca significato: spazio “altro”, oscillante tra il “semplice” adattamento dell’esistente ai nuovi stilemi del potere dominante e una nuova idea di città, tra l’ipotesi di ricucire le “ferite” di trasformazioni tumultuose e ristabilire un ordine smarrito (la Milano «perduta alle leggi vitali dell’armonia» di Gadda) e il pensare secondo nuovi paradigmi. Prefigurazioni che, in momenti di particolare sensibilità, sono riuscite a scardinare il percorso di adattamento di Milano alla modernità innescando una trasformazione radicale in grado di rispondere al salto di scala richiesto dalla storia.

 

Il merito maggiore della mostra resta senza dubbio l’intuizione di una narrazione di Milano per differenza, «una Milano sognata o solo auspicata» che, nonostante tutto, ha saputo dare spazio a sogni e utopie. Una contro-storia costruita sulla forza della dimensione visionaria di progetti che spesso «contenevano in nuce la consapevolezza della loro irrealizzabilità». «Talora – ci ricorda ancora Irace – le trasformazioni sono solo realizzazioni differite e impoverite. Strade e piazze possono essere il cimitero di intenzioni impresse in fogli di carta dimenticati dal tempo». Farsi trasportare dalle atmosfere di queste visioni è sicuramente più suggestivo che non rintracciare nella città (realizzata) di oggi una loro versione deteriore. In questo senso l’utilizzo delle immagini in movimento (modalità ormai consolidata per raccontare l’architettura) offre una prospettiva ambivalente che, esaltando solo la parte comunicativa di disegni spesso molto elaborati, porta con sé il rischio di annullare tutto su uno stesso piano (il piano di proiezione) e di far perdere il contatto con la loro dimensione fortemente materica e fisica: sfumature capaci esse stesse di raccontare la storia.

 

Steven Holl, Porta Vittoria Park and Botanical Gardens, 1986

 

Colpisce infine che i luoghi raccontati dalla “Milano mai vista” non si trovino mai fuori dal confine della circonvallazione “delle regioni” concepita dal piano Beruto (1884-1889) e che vengano esclusi dal racconto molti dei progetti che hanno immaginato per Milano una dimensione metropolitana. Quella che oggi, in prospettiva Expo, si pretende che la città abbia acquisito e che in realtà è più un esito “spontaneo” di dinamiche territoriali che non una consapevolezza o un progetto di sé.

 

 

 

MILANO MAI VISTA

Triennale di Milano, 27 gennaio – 22 febbraio 2015

 

A cura di: Fulvio Irace e Gabriele Neri

Video: Francesca Molteni MUSE

Progetto di allestimento: MUSE con Studio Due Effe

Realizzazione allestimento: Mario Flandoli

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