Noi e il male

14 Luglio 2011

A rileggere oggi le cronache letterarie degli anni Novanta si resta basiti di fronte a categorie che – pure – tennero banco per anni. Per esempio ai “cattivi”, che sarebbero stati i “Cannibali”, venivano allora contrapposti scrittori “buoni” – fra i quali Giulio Mozzi. Coi suoi primi due libri, Questo è il giardino del ’93 e La felicità terrena del ’96, Mozzi s’era rivelato, oltre che un virtuoso della forma racconto, una sorta di palombaro morale: sprofondato in ambiguità e conflitti di tenore filosofico (o teologico), da far tremare i polsi. Così buonista che nel ’98 il suo terzo libro, Il male naturale uscito da Mondadori, poté essere accusato in Parlamento, dal leghista Oreste Rossi, di inneggiare alla pedofilia. Ma il “nero” di questo libro (che sparì di libreria ed è ora riproposto dalla nuova sigla Laurana, con postfazione di Demetrio Paolin e la cronistoria delle sue vicende narrata dallo stesso autore, pp. 216, € 15,50) – insistito, ossessivo, non solo stilisticamente inquietante – non era che il rovescio esplicito di una violenza, prima, solo dissimulata.

 

Dopo Il male naturale Mozzi non ha più sondato questi abissi. E non sarà stato casuale il silenzio narrativo iniziato tre anni dopo e interrotto solo, nel 2009, con gli intelligenti (ma ben più esili) apologhi di Sono l’ultimo a scendere, ricavati dal suo (imperdibile) blog Vibrisse e di nuovo usciti da Mondadori. Nel frattempo Mozzi ha riempito questo vuoto (apparente) con una straordinaria attività di editor di testi altrui, prima in privato poi per case editrici come Sironi (rivelando alcuni dei nostri migliori talenti di oggi, da Laura Pugno a Franco Arminio e Giorgio Falco) e, ora, Stile Libero. Chissà che l’essersi deciso a riportare alla luce questa “parte maledetta” di sé non preluda a un suo sprofondamento ancora più radicale. Non si sa se augurarselo o temerlo. All’incontro con Mozzi mi reco con una certa apprensione: ho appena richiuso Il male naturale. (Neanche fossi l’agente Starling nel Silenzio degli innocenti – e lui Hannibal, appunto, the Cannibal.) Parlare di letteratura con lui, lo so, significa sprofondare in una dimensione che inquieta per intimità e radicalità (non a caso un suo libro di “saggi” s’intitola Parole private dette in pubblico). Mi inoltro con juicio.

 

AC      Demetrio Paolin nella postfazione al Male naturale parla di allegoria. A me pare piuttosto un’emblematica. Certe situazioni “estreme” perturbano (all’opposto che nello splatter “cannibale”, manifestamente di cartapesta) per il loro apparente “realismo”. Ma, così tornite e ritagliate, si stagliano con nettezza innaturale.

 

GM     Forse sono allegorie imperfette. Mancando uno dei termini, non funzionano del tutto.

 

AC      A proposito di Kafka, Benjamin parlava di “allegorie vuote”…

 

GM     Pensa alla Colonia penale. È terribile ma resta una splendida barzelletta ebraica. La macchina descritta dal racconto, e il racconto stesso, sono macchine ironiche. Così come, nella loro terribilità, le Operette morali di Leopardi.

 

AC      In uno dei racconti più belli si legge: “La letteratura non vale niente […] in quanto letteratura, in quanto arte, in quanto oggetto di commercio da parte dell’industria editoriale e così via: la letteratura vale come cosa umana […], il raccontare storie vale per la sua capacità di redimere le persone e le cose”. Vale ancora, per te?

 

GM     Allora come oggi, scrivere per me è avere a che fare con qualcuno. Il mio primo racconto era una lettera che scrissi alla mia amica Laura Pugno. Poi scoprii che quanto scrivevo veniva trovato interessante, c’era persino chi voleva pubblicarlo. Ma questa cosa non mi ha mai lasciato tranquillo. Nel ’92 ero da Theoria a firmare il mio primo contratto, e Paolo Repetti non capiva perché fossi tanto infuriato. Se mai ho dato l’impressione di essere fuori di testa, è stato quel giorno. Ancora oggi è così: dopo aver ceduto alle insistenze di Gabriele Dadati di Laurana, ho continuato a opporre resistenza alla riedizione del Male naturale.

 

AC      Non è curioso che tu abbia finito per occuparti, oltre che dei tuoi testi, anche di quelli altrui?

 

GM     Se trovi una cosa bella che fai, la nascondi? Penso a quando da ragazzo, in piedi in libreria, lessi Europa cavalca un toro nero di Antonio Porta. Quella lettura mi formò in un istante. Se una lettura ti consegna qualche cosa, hai il dovere di trasmetterla a qualcun altro.

 

AC      Siamo abbastanza d’accordo che Il male naturale sia Bello. Ma è anche Bene?

 

GM     Non lo so. Devo prendere atto che c’è chi sostiene che la lettura di questo libro gli abbia fatto bene. Strano che facciano questo effetto storie tanto disturbanti, scritte oltretutto in un modo così ossessivo.

 

AC      Tradizionalmente, la meditazione sul male si chiede da dove provenga: unde malum? Qui invece si dà un postulato: l’unica “sostanza” del soggetto, unica sua certezza, è l’essere Male. Etimologicamente, si afferma che “il diavolo è la divisione”. Da Dio o dagli Altri?

 

GM     “Male” è pensarsi come soggetto indipendente dalle relazioni.

 

AC      Ma in altri racconti la scissione si produce all’interno del soggetto. Un po’ come l’Androgino del Simposio platonico, ci si sente una metà privata del proprio complemento; e sono infatti frequenti le situazioni di bisessualità, transessualità e simili. È la scissione del lògos occidentale, che ogni tradizione interpreta a modo suo – luce e buio, anima e corpo, Sé ed Es, appunto Bene e Male?

 

GM     Quando mi sforzo di pensarmi come entità in relazione, mi scontro con la circostanza di non essere altri corpi che il mio. Il male che sento nascendo, la solitudine e lo spavento di quel momento, mi accompagnerà sino alla fine della mia vita. Questa contraddizione ingenera immaginazioni diverse, fra loro forse inconciliabili.

 

AC      È per questo che i tuoi sono racconti invece che un romanzo?

 

GM     È per questo che la mia è narrativa anziché filosofia. Io non sono capace di pensare, posso soltanto immaginare. Per esempio posso rappresentare un soggetto che pensa.

 

AC      Nel congedo al libro dici che non scriverai più racconti. Ma in seguito hai continuato a pubblicarne – mentre un testo in forma di romanzo, finora, no. Cos’è successo poi?

 

GM     È successo che dopo Il male naturale, e Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, mi sono spaventato a morte. E ho fatto un passo indietro. Ho pubblicato libri carini e futili, coi quali io non c’entro nulla. È normale che, quando le cose vere diventano problematiche, ci si sostenga con la tecnica.

 

AC      Ma questo “passo indietro” coincide anche con anni di involuzione dell’editoria e (dunque) della narrativa. Quella stessa “tecnica” l’hai messa al servizio di altri – e hai finito col farne una professione.

 

GM     Andare in cerca di testi è un’attività che non affronto sotto il profilo industriale. Non sono un funzionario all’interno di una casa editrice, preferisco restare un consulente che campa di contratti annuali e mille attività collaterali. E che, in sostanza, fa quello che vuole.

 

AC      Negli ultimi mesi sono stati ripubblicati diversi libri importanti degli anni Novanta: oltre al tuo, Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio (che ha riproposto minimum fax) e Lezioni di tenebra di Helena Janeczek (riuscito da Guanda). Alcuni erano usciti da Mondadori ma ora vengono riproposti da altri editori, spesso piccoli. Mi pare evidente che allora gli spazi fossero ben diversi da quelli di adesso.

 

GM     Che sia cambiato qualcosa lo sanno tutti, ci sono libri che lo spiegano. Basta vedere come, con sempre più titoli pubblicati, se ne vendano bene sempre di meno. Comunque sono ostile a ragionamenti ipotetici del tipo “oggi Kafka non lo pubblicherebbe nessuno”. La tua impressione verrebbe confermata ove avessi proposto a Mondadori di ripubblicare Il male naturale e loro non avessero voluto; ma non è andata così.

 

AC      A parte questo, allora, tu oggi un libro come Il male naturale potresti scriverlo?

 

GM     “Non son chi fui; perì di noi gran parte”. Ma le storielle di Sono l’ultimo a scendere sono dedicate a disfunzioni relazionali; il saggetto Corpo morto e corpo vivo. Eluana Englaro e Silvio Berlusconi, uscito da Trans Europa, torna a rimuginare sul corpo e sulla morte; e da poco ho pubblicato per le edizioni :duepunti di Palermo un racconto che s’intitola La stanza degli animali, che sento molto vicino al Male naturale. Nel ’99 mi misi a scrivere una cosa che s’intitolava Introduzione ai comportamenti vili. Ne feci leggere delle pagine, in Mondadori, e una persona mi disse che una cosa così atroce non poteva essere pubblicata. Questa persona me ne parlava con le lacrime agli occhi, per la sofferenza che le aveva procurato quella lettura. Il romanzo a cui lavoro, Discorso intorno a un sentimento nascente, utilizza alcune cose di quel testo ma con maggiore lucidità. Quello che scrivevo allora, oggi me ne rendo conto, era patologico. Era giusto non pubblicarlo.

 

AC      Se il soggetto è il Male, il suo modo di esprimersi non può che essere patologico…

 

GM     Per raccontare una cosa, però, bisogna mantenere un certo grado di differenza da essa. Io allora non ce l’avevo; adesso, mi auguro di sì.

 

 

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