L'esordio narrativo di Giulia Baldelli / L’estate che resta

3 Aprile 2022

L’estate che resta, esordio narrativo di Giulia Baldelli (Guanda, 2022), inizia e si chiude con una fine, con un congedo che sembra anche una resa, il tentativo di chiudere un cerchio e lasciare andare una storia segnata da un’ossessione. Nel mezzo c’è il resoconto delle forme che quell’ossessione assume lungo un’intera vita, quella della protagonista, e che ha all’epicentro un piccolo paese nella campagna marchigiana, un borgo di vicoli, boschi e campi bruciati nella provincia abbandonata dei primi anni Novanta.

 

Giulia vede Cristi per la prima volta nella cucina di una casa della città vecchia, con l’intonaco sbriciolato e un coniglio scuoiato nel lavello. Cristi ha sette anni e quella è la prima estate che passerà a casa di nonna Ida, nella punta diroccata del paese che sembra sbriciolarsi lentamente, e a Giulia, che ha tre anni più di lei, viene chiesto di tenerla d’occhio, di farle, suo malgrado, da sorella.

Quel giorno Giulia impara che la pelle può avere un suo profumo, una sua identità e che Cristi non somiglia a nessun’altra persona, Cristi abbandonata lì da una madre che non la vuole intorno, Cristi che non parla, e mangia pesche con la buccia e ne conserva i noccioli in tasca, che ha gli occhi circondati da cerchi violetti e, anche trascurata e scomposta, è insopportabilmente bella.

 

Giulia se la trascina dietro per un’estate, sentendosi crescere dentro una fascinazione e un turbamento di cui non riesce a darsi ragione e a poco a poco si accorge con sgomento che è Cristi con i suoi silenzi, le sue corse sull’argine del fiume, i tuffi dagli scogli vertiginosi e il suo essere così libera e così indifesa, a trascinarla verso di sé oscurando tutto il resto.

Fino al giorno in cui Cristi se ne va, come se ne va l’estate, sua madre se la riporta a Bologna senza lasciare un recapito, un indirizzo da immaginare o la promessa di un ritorno.

Giulia passa l’inverno a scriverle lettere, anche se Cristi ancora non sa leggere e lei non sa dove spedirle, finché con i primi caldi Cristi ritorna, ancora bellissima e fragile, e rompe gli equilibri, le amicizie, le abitudini. Giulia sente di doverla proteggere e di doversi difendere da lei, si scopre catturata dalla sua orbita, impigliata in quel sorriso che la fa sentire “poco portata per le corse, piena di lentiggini e leggermente grassa”, ma anche capace di qualsiasi cosa. 

 

Giulia e Cristi passano l’estate vicinissime, sdraiate sulle rive del torrente o a giocare lungo i bordi dei boschi, finché un lancio storto spedisce il pallone in un fosso e un bambino che sembra già un ragazzo, sbucato dal nulla, si immerge nella melma fino al mento per recuperare il pallone e restituirlo a Cristi. I due si fissano e sembrano riconoscersi e Giulia realizza in quell’istante che da quello sguardo sarà per sempre esclusa, che non saranno mai più solo Giulia e Cristi, che sono appena nati anche Cristi e Mattia, biondi, spericolati, selvatici, e che lei sarà costretta a essere spettatrice di quella bellezza dolorosa e naturale, che li accomuna lasciandola fuori.

 

Cristi e Mattia non la escludono dai loro giochi, ma lei arranca, si sente affannata e in allarme, tormentata dalla gelosia e angosciata dall’insicurezza e dal terrore di perdere quell’amicizia speciale; si affatica a difendere un’intimità minacciata, a custodire uno spazio segreto ed esclusivo in cui Mattia non possa entrare.

Le estati seguenti trascorrono nell’ambiguità di questa triangolazione, mentre Giulia cresce, si diploma, fa progetti per il futuro e tutto intorno a lei comincia a tremare: la cassa integrazione del padre e il suo chiudersi in un silenzio straziato e distante, le mura della sua casa che diventano fragili come la sua famiglia, squassata dalle prime scosse di un terremoto destinato a travolgerla. Giulia soffre e si fa da parte, mentre Cristi e Mattia saltano, corrono, nuotano, e le “insegnano per primi che forma sorda ha il dolore quando i sentimenti non si possono cambiare”. 

 

Cristi è sola, segnata dall’abbandono, sembra muoversi nel mondo sperduta, senza direzione, e se Giulia arranca per starle sta dietro, Mattia sembra saperle camminare accanto, l’accompagna e la guida, attraversano insieme l’estate bruciata come randagi. Con Mattia Cristi scopre la pozza nascosta nel bosco dove inzupparsi tra gli aghi di pino e il canto dei grilli, per poi asciugarsi al sole, addormentandosi uno addosso all’altra come cani; è lui che le insegna a leggere, snidando le lettere dell’alfabeto tra i rami e le pietre “perché le parole sono libere, le dice, come te e me. Come Cristi e Mattia. I libri non c’entrano, non servono. Le lettere sono ovunque, nei bastoni incrociati dei ponti di legno, sulla punta dei cipressi sotto casa di Ida, nelle zolle di terra sull’argine del fiume. La campagna senza orari e limiti è l’alfabeto del loro amore”.

 

 

Con la fine delle estati dell’infanzia Giulia inizia a perdere ciò che la lega al paese, la casa di famiglia, le vecchie amicizie, e anche Cristi, che è svanita nella nebbia del piacentino dove si è trasferita con la madre e il suo nuovo compagno. Giulia si diploma, inizia l’università, macina esami di giurisprudenza studiando in un minuscolo appartamento a Bologna, cerca indizi di Cristi nei racconti in paese, ricuce brandelli di informazioni per ricostruire un indirizzo a cui scriverle e da cui ricevere lettere telegrafiche, che non bastano a consolare la mancanza e né ad attenuare la fatica di dimenticarla. Finché Cristi non torna, e di nuovo a Giulia viene assegnato il compito di aiutarla, di prendersene cura, e di nuovo lei la accoglie, di nuovo controvoglia, di nuovo scivola nella sua orbita ne viene risucchiata. E quando le è più vicina di quanto non sia mai stata, così vicino da temere di perdersi in lei, si dice che qualunque cosa accadrà lei non si lascerà annientare, che anche se Cristi l’abbandonerà di nuovo, se sparirà ancora nella nebbia della pianura padana, o in qualunque altro luogo del mondo, lei continuerà a vivere, a studiare, a darsi da fare. Lo promette al suo riflesso spaventato nello specchio del bagno dopo la prima notte insieme, prima che torni anche Mattia. 

 

Cristi è smarrita, c’è un vuoto dentro di lei che funziona come un buco nero e trascina verso di sé con un senso di vertigine e paura. Cristi è ferita, è cresciuta dentro un abbandono e abbandonare è l’unico modo che conosce di amare. Se Giulia per lei è la terra ferma, Mattia è il suo mare ed entrambi sembrano fatti più per abbandonarsi alle ondate e alle maree che per fermarsi e costruire, come fa Giulia.

Cristi cerca disperatamente una direzione, alimentata dalla passione e dalla rabbia, segue Mattia e i suoi ideali anarchici, rincorre una vaga utopia di riscatto, un pretesto per sfogare il risentimento, liberarsi dalla paura e vendicare tutte le ingiustizie, soprattutto quelle vissute sulla propria pelle. 

Giulia invece ha obiettivi precisi, lei vuole tutto: il lavoro per cui ha studiato, la casa che le è stata portata via, la sua famiglia com’era prima di disfarsi e Cristi, solo per lei.

 

Le due strade si separano, trascinate da aspirazioni divergenti: una scivola verso una scrivania nello studio di un importante avvocato e una relazione stabile e tranquilla, l’altra precipita in una detonazione, nell’esplosione di una bomba lanciata per rancore, vendetta e disperazione.

Ma le loro vite, insieme a quella di Mattia, sono destinate a intersecarsi, a scontrarsi, a franare l’una sull’altra, e alla fine convergono di nuovo in paese, tra le pietre sbriciolate della città vecchia.

 

Il romanzo è diviso in cinque parti, che coincidono con le diverse fasi della vita di Giulia. È sua la voce narrante che ne ricostruisce il percorso a partire dal primo incontro con Cristi, perché lì c’è l’origine dell’ossessione e dell’amore, che per Giulia diventano due facce di un sentimento totalizzante e distruttivo, un’idea di amore infantile, assoluta, morbosa, che ha il profumo della pelle di Cristi e il disordine dei suoi capelli biondi e della sua vita, e apre la voragine di un mistero dentro cui si corre il rischio di finire annichiliti.

Per Giulia, come per Mattia, a dispetto del percorso di crescita e di emancipazione dalle gelosie, dalle promesse e dagli amori infantili, Cristi rimane come una spina nelle loro vite, che ferisce tanto nell’assenza quanto nel provare a starle vicini.

Cristi fugge e ritorna, perché non sa restare, è una luce nel buio che attrae Giulia e Mattia come falene accecate, incapace di farsi raggiungere senza bruciare. 

 

Per sopravvivere all’abbandono bisogna imparare a lasciare andare e il romanzo racconta il tentativo della protagonista di farlo, fino all’ultimo momento. Giulia per vivere deve lasciare che Cristi se ne vada, raccogliere ciò che resta e ricostruire, e dovrà continuare a farlo, fino alla fine. Il romanzo si apre e si chiude con una confessione, o forse una lettera d’addio, perché bisogna saper lasciare andare ciò che lega e trattiene per vivere, ma anche per morire. E alla fine non resta che riconoscere e accogliere l’assenza un’ultima volta e offrire in sacrificio tutto ciò che è stato, tutte le parole per dire l’amore, l’ossessione, la resa, deporle intorno a una pozza segreta, in mezzo al bosco, nel silenzio e nel buio.

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