Andy Warhol

3 Giugno 2012

Riga, una collana che avvicina ai grandi innovatori del Novecento

 

Riga è nata nel luglio del 1991 senza nessun particolare programma. Volevamo piuttosto fare la rivista «che ci sarebbe piaciuto leggere». Una rivista dedicata al contemporaneo, ad autori e temi che ci sembravano rilevanti nel corso dell’ultimo secolo, ma non solo. Una rivista che conservasse la memoria del passato, e insieme che si protendesse sul futuro.

 

Marco Belpoliti, Elio Grazioli

 


 

Per dirla in un modo che scimmiotta un poco Warhol stesso: non c’è più grande sconosciuto dell’uomo famoso. La fama è una maschera, sotto la quale sta non solo l’uomo ma la sua stessa opera. Chi è dunque veramente Andy Warhol? Quale il significato della sua opera?

 

Tutti lo conoscono, la stragrande maggioranza lo identifica con le icone della cultura pop: i divi cinematografici, il cibo in scatola, le personalità famose; molti conoscono anche i suoi “Incidenti”, più drammatici e controversi; i cultori della musica pop ricordano le sue copertine di dischi, dai Velvet Underground ai Rolling Stones a Aretha Franklin; molti hanno anche visto o sentito parlare dei suoi film, spesso immobili o, al contrario, troppo incasinati.

Chi non ha sentito le sue famose battute sul voler essere una macchina, sui quindici minuti di fama per tutti, sulla superficie dietro cui non c’è niente? Ma come sta insieme tutto questo e molto altro ancora di meno noto della sua attività? Pop, dandy, camp, Warhol solleva discussioni e interpretazioni anche opposte fin da quando ha iniziato la sua attività artistica.


Il presente volume ricostruisce e arricchisce questo dibattito, raccogliendo testi e interviste inedite di Warhol e testi sulla sua figura e opera, da quelli che tutti citano ma ancora non erano a disposizione in traduzione italiana, a vari altri: affettuose rievocazioni del personaggio, accese discussioni sui temi e gli aspetti più difficili della sua opera: il tema della morte innanzitutto, perché mostra un aspetto del carattere di Warhol e della sua opera francamente poco pop, tanto da scardinarne l’immagine di specchiante indifferenza e aprire l’interpretazione di una possibile posizione politica attiva (vedi Thomas E. Crow, che ha aperto il dibattito, seguito da Hal Foster); quello dell’ombra (ripercorso con imprevisti rimandi da Victor Stoichita); quello del travestitismo (nello storico testo di Pasolini) e dell’omosessualità (preso finalmente di petto dai gender studies, di cui qui è acuto portavoce Jonathan Flatley) e quello del mimetismo (rilanciato da Yve-Alain Bois); l’interpretazione “traumatica” o quella postmoderna, quella gender e quella puramente pop; non solo quelle dei critici e storici dell’arte, ma anche le osservazioni sempre così originali e fuori dagli schemi usuali degli scrittori, da Alberto Arbasino e Pasolini a James Ballard.


E davvero Sleep è un film di sei ore composto da un’inquadratura unica come ancora molti credono? Qualcuno ha mai visto per tutte le otto ore Empire, quello sì di una sola inquadratura? O altri ancora più lunghi, fino a 24 ore? Lo storico testo di Adriano Aprà e Enzo Ungaro sul cinema di Warhol è ancora assolutamente attuale, l’acume di quello di Branden Joseph colpisce nel cuore ancora pulsante dell’interpretazione di Warhol, il ruolo cioè della ripetizione.
D’altro canto, questi suoi film dimostrano in maniera lampante che Warhol non era un artista così scanzonato e facile, così grafico e pubblicitario, così alla caccia del successo ad ogni costo.   Anche, non solo; cioè da interpretare, non da prendere tale e quale. E allora ecco altri testi che aprono altre prospettive: dai testi di Benjamin Buchloh che rivelano uno sguardo analitico e formalista che non si immaginava di poter applicare a opere come quelle di Warhol, a Rosalind Krauss sui quadri con i test di Rorschach.


Due ulteriori interpretazioni sono poi ormai diventate storiche: quella di Arthur Danto e del suo shock di fronte alle Brillo Boxes, qui discusso criticamente da Betrand Rougé, che sposta la chiave di lettura dal ready-made al trompe-l’œil, mentre di Danto stesso si propone il testo sulla serie delle Falci e martello, una “natura morta politica”, come si leggerà. L’altra interpretazione ormai arcifamosa è poi quella di Jean Baudrillard, che resta a tutt’oggi la più radicale e problematica, di cui diamo perciò la versione ultima, quella dello “snobismo macchinale”.
E altro ancora: chi ricorda l’acutissima analisi di Maurizio Fagiolo, dimostrazione della tempestività dell’approccio warholiano in Italia? E chi ha mai considerato analiticamente gli allestimenti che Warhol ha voluto delle sue mostre, altro capitolo che mostra come questo artista se lusingava da un lato, dall’altro provocava, metteva alla prova, sperimentava perfino? Ce lo ricorda Mark Francis.


I contributi nuovi spaziano anch’essi su aspetti diversi: Andrea Mecacci rivela i possibili lati “neoclassici” dell’estetica pop, Luca Scarlini rilancia il “personaggio” Warhol attraverso le sue apparizioni come attore, Riccardo Venturi ricostruisce la storia dell’opera Gli uomini più ricercati d’America, Elio Grazioli affronta la questione della fotografia in e di Warhol.


Non si dimentichi che i volumi di «Riga» si aprono e si chiudono con speciali interventi di artisti. Qui apre lo scrittore Mario Fortunato, che racconta come ha deciso di mettere uno Warhol sulla copertina di un suo romanzo, e chiudono due artisti visivi, Luca Pancrazzi e Carlo Fei, che a modo loro reinterpretano due temi, l’uno le ombre, l’altro il tempo, in chiave personale.

 

Indice

 

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