Speciale
Alfabeto Pasolini / Pasolini e il suo doppio
Mi si perdonerà il gioco di parole: ma credo di poter dire che il cuore di questo bel libro di Marco Belpoliti appena uscito per Guanda, Pasolini e il suo doppio, è proprio il capitolo Avere un cuore, il quinto dell'opera.
Esso è dedicato agli Scritti corsari e alle Lettere luterane, ossia ai volumi che raccolgono gli articoli che Pasolini venne scrivendo negli ultimi due anni della sua vita per le pagine del “Corriere della Sera” e del “Mondo”, più una parte delle recensioni che redasse per il settimanale “Tempo” (le altre essendo state edite nel volume del 1979, Descrizioni di descrizioni, per Belpoliti uno dei vertici della scrittura pasoliniana, così in Settanta, Einaudi 2001, p.67).
Nel Pasolini corsaro e luterano ciò che spicca è il metodo semiologico-visivo. Egli decifra la realtà basandosi su quello che vede: volti, mimica, taglio di capelli, modi di vestire, posture, gesti. Questo è quello che conta, non tanto quello che viene detto, dato che ormai la lingua è passata tutta dal livello espressivo di un tempo a quello elementarmente e banalmente comunicativo attuale. Ecco perché il primo articolo apparso sul “Corriere” detiene un autentico valore inaugurale: il celebre discorso sui capelli lunghi, un tempo appannaggio dei giovani di sinistra e contestatori e poi passato indifferentemente a quelli di destra, è un indice visivo dell'avvenuta omologazione del reale. Sono scomparse le belle nuche rasate di un tempo, i fieri ciuffi sul capo dei ragazzi del mondo di ieri; ciò che fa nascere (recensione a Un po' di febbre di Sandro Penna, a sua volta primo testo della seconda parte di Scritti corsari) addirittura uno “scandaloso rimpianto”: quello per l'Italia fascista, dove i valori del bene e del male erano almeno nettamente divisi.
Anche Belpoliti sembra far proprio il metodo pasoliniano e lo applica a ciò che vede: a una serie di fotografie scattate nel corso degli anni al poeta bolognese.
I fotografi sono, nell'ordine, Elio Ciol, Federico Garolla, Paolo di Paolo, Mario Dondero, Ugo Mulas e Dino Pedriali.
Secondo Roland Barthes la foto ci parla di ciò che è stato. Secondo John Berger una foto veicola in genere due messaggi: uno è l'evento fotografico, l'altro che “attiene invece alla discontinuità”, detto altrimenti: tra il momento registrato dalla macchina e il momento in cui si osserva il prodotto dello scatto si apre un abisso.
O, ancora: noi sappiamo com'è andata a finire con Pasolini, non ignoriamo quanto avvenuto in seguito, anni e anni dopo che le sue immagini sono state fermate.
Se osserviamo la foto di Ciol che ritrae il Pasolini professorino, confuso tra i suoi poveri scolari friulani dell'immediato dopoguerra, non ignoriamo che, poco dopo, egli, dal Friuli fu costretto a fuggire come un ladro sotto il peso infamante dell'espulsione dalla scuola e dal partito comunista.
Se ci fermiamo a scrutare il gesto atletico dello scrittore che, in giacca e cravatta, insegue un pallone in mezzo a torme di ragazzini su un pezzo di spelacchiato prato di Centocelle (foto Garolla), non ignoriamo che il suo cadavere fu rinvenuto nei pressi di un analogo campetto all'Idroscalo di Ostia. E non possiamo, inoltre, non pensare al famoso o famigerato pratone della Casilina, dell'appunto 55 di Petrolio, dove si celebra l'orgia sacra di Carlo, trasformato in donna, con venti aitanti giovanotti (veramente nove, in effetti).
Ecco, ci stiamo servendo del tema del PRATO, per trattare del tema del DOPPIO ch'è fondamentale per Belpoliti. È un modo sghembo, lo riconosco, ma è in armonia con il procedere stilistico del libro, che ama insinuare i suoi argomenti a volte in questo modo laterale, apparentemente divagante e per approssimazioni successive, ma sempre tenacemente indirizzate verso la meta.
Così come c'è un prato-campo da calcio che si configura come il luogo dell'agàpe, ossia della passione pedagogica omosessuale allusa ma non praticata, c'è poi anche il prato, come luogo dell'eros, dell'amore fisico vero e proprio, e ciò fin dai tempi di Ramuscello, frazione del comune di Sesto al Reghena, nei pressi di Casarsa, teatro del primo scandalo sessuale (1949) che ebbe per protagonista Pasolini, accusato di corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico.
Questo decisivo argomento del Doppio ha anch'esso il suo momento inaugurale, e quale! Si tratta nientemeno che della prima recensione in assoluto che segnalò l'esistenza di Pier Paolo Pasolini poeta. La firmò per il “Corriere del Ticino” Gianfranco Contini il 24 aprile 1943. Le Poesie a Casarsa del ventenne poeta non potevano venir recensite su “Primato”, in quanto poesia dialettale, e quindi l'articolo di Contini uscì sulla sede svizzera. (parentesi: e come mai allora, proprio su “Primato” del 1 luglio 1943 uscì la recensione di Antonio Russi? Qualcosa non quadra in questa leggenda pasoliniana, ma è una questione di dettaglio).
Il testo di Contini (mai più ripubblicato in volume da Contini stesso, Pasolini vivo) si rivelava divinatorio: da un lato annunciava lo “scandalo” di quella poesia dello sconosciuto friulano dal cognome ravennate, perché non più poesia a rimorchio di quella in lingua e ritardataria, ma invece perfettamente contemporanea e moderna, quanto dire ermetica; dall'altro lato insisteva sul “narcissismo”, termine ripetuto per ben tre volte (esso o suoi derivati).
Accanto a Narciso però, nei testi del periodo friulano (quelli poi compresi nell'Usignolo della Chiesa cattolica), c'è, altrettanto importante, il tema del Cristo crocifisso: un Cristo-Narciso, dunque, o Narciso-Cristo che specchia nell'acqua il proprio corpo sacrificato.
Pasolini, che considerò Contini (assieme a Longhi) come il proprio maestro indiscusso (a parte un breve periodo di crisi relazionale tra 1968 e 1972) fece subito sue, come gli accadrà anche dopo per altre definizioni di sé (per esempio quelle di Fortini), quelle caratterizzazioni della sua personalità. In una lettera a Vittorio Sereni del 5 dicembre 1953, così si esprime: “il mio caso – ti parlo clinicamente – di fissazione narcissica: che mi faceva sempre vivere legato a quella che un'antica religione chiama “il Doppio”.”
Per Belpoliti tutto Pasolini va letto e interpretato alla luce della categoria del Doppio: c'è il Pasolini razionale, borghese e quello invece, a lui contrapposto (ma in lui compresente) dedito alla conoscenza dei corpi. Quello in luce, e quello delle buie viscere – esattamente come nei celeberrimi versi delle Ceneri di Gramsci (poemetto eponimo).
Quello che, in una foto di Paolo di Paolo, scattata a Testaccio, guarda come trasognato verso un ragazzo che pare passare di lì per caso, e invece è probabilmente una conoscenza del poeta (così come di Pelosi si fu incerti se fosse un volto noto per Pasolini o uno incontrato la prima volta là, in Piazza dei Cinquecento, quella fatidica notte di novembre).
Quello che in una foto di Mulas guarda in macchina con un'aria disarmata e dolce e quello che, in un'altra foto dello stesso Mulas, è una scura silhouette, ombra che pare la “realizzazione suprema del suo niente” (e vengono alla memoria i versi, in Poesia in forma di rosa, sull’“ossessa idea di un nulla lucente”).
La schisi tra i due aspetti di PPP resta il suo stigma fino alla fine, ed anche oltre, insiste Belpoliti.
Nella foto di Dondero, che con la sua “fotografia umana” pare smentire sia le tesi di Barthes che quelle di Berger, dato che Pasolini ritratto accanto alla madre, lui un po' più avanti, lei subito dietro lievemente sfocata, pare presente, sottratto al flusso temporale – beh anche in questa foto così singolare (e che nel libro si trova non a caso in copertina) la trama del Doppio affiora: il poeta sembra il doppio di sua madre, e viceversa: stesso sorriso arreso, stessi occhi limpidi.
Sulle foto di Pedriali, che dovevano (o non dovevano, è incerto) figurare come inserto scandaloso in Petrolio, il tema in questione celebra il suo trionfo.
Siamo negli anni in cui Pasolini sta scrivendo il suo romanzo fiume incompiuto, tutto giocato sul tema dello sdoppiamento, tra Carlo di Polis e Carlo di Tetis; siamo negli anni in cui Pasolini, scrivendo pubblicamente a Calvino, incorre in un clamoroso lapsus calami, e confonde dottor Jekyll e mister Hyde, coniando un inedito dottor Hyde; non ci si può stupire di trovare, negli scatti di Pedriali, una evidente scissione tra il corpo di Pasolini a Sabaudia e quello di Pasolini a Chia.
Il corpo nudo e asciutto del poeta nel suo castello decameronico appare, a sua volta, letteralmente “disappropriato” (Agamben): è lui e non è lui; è innocente e non è innocente; è naturale ed è atteggiato in una consapevole messinscena, che però non deve parer tale.
Dal canto suo Pedriali risulta il perfetto interprete di questo voyeurismo di Pasolini su stesso, attraverso la sua opera di fotografo che soggiace a una fascinazione cui non si può sfuggire.
Rimarrebbe da esaminare l'ultimo capitolo del libro, Pasolini in salsa piccante. Il quale capitolo parrebbe estemporaneo e slegato dal resto. Ma non è così.
Si tratta di una confutazione delle teorie complottistiche: quelle secondo le quali PPP sarebbe stato ucciso per ciò che sapeva intorno alla fine di Mattei, e all'intervento in questa macchinazione di chi a Mattei successe alla guida dell'Eni, ossia Cefis.
Belpoliti smonta queste tesi: basta leggere il commento a Petrolio dell'edizione a cura di Silvia De Laude, con le note dovute anche a Iolanda Romualdi e ci si accorge che Pasolini sapeva ciò che sapevano tutti, dato che traeva le sue informazioni da organi di stampa diffusissimi.
Ma non è questo il punto.
Ciò che conta per Belpoliti è la rimozione del tema omosessuale dalla morte di Pasolini. E invece questo tema è decisivo. Anche negli Scritti corsari esso è determinante; tutti i ragionamenti di Pasolini partivano, pure là, dalla tematica della bellezza (o della bruttezza) dei ragazzi; è l'aspetto estetico che muove tutti gli altri; la linea va dall'estetica all'etica. Anche nelle polemiche sull'aborto PPP in realtà non parlava propriamente di quello, ma dell'omosessualità, era quello il punto rilevante, ciò che capì, tra i pochissimi, Parise, ma in scritti inediti, pubblicati solo postumanamente.
L'omosessualità ha sempre avuto per PPP un valore conoscitivo, come nel romanzo di Forster, Maurice, o nell'Ernesto di Saba, dove vale a infrangere le barriere di classe.
Togliere l'omosessualità dal momento supremo della vita di PPP, ossia la sua morte, significa vietarsi la comprensione di PPP medesimo, in quello che gli era più peculiare.
Bisogna avere il coraggio di essere con Pasolini, senza Pasolini.
Bisogna dimenticarlo, per ricordarlo davvero.
In occasione della pubblicazione di Pasolini e il suo doppio (Guanda) e di Pasolini. Il fantasma dell’Origine (Feltrinelli), Marco Belpoliti e Massimo Recalcati ne discutono martedì 3 maggio alle ore 21,00 presso il teatro Franco Parenti, in via Pier Lombardo, 14, Milano.