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Elias Canetti: una vita con Kafka

28 Ottobre 2024

Biographical fallacy, così sicuramente gli esponenti del New Criticism avrebbero bollato il libro di Elias Canetti L'altro Processo. Le lettere di Kafka a Felice, uscito nel 1968 e ora ripubblicato da Adelphi, accompagnato però da una nutrita serie di appunti preparatori (1967-1968) e da altri appunti ancora, sempre su Kafka, che vanno dal 1946 al 1994, anno della morte di Canetti (titolo attuale: Processi. Su Franz Kafka). È inoltre incluso nel volume un saggio sul rapporto intrattenuto da Kafka, Joyce e Proust con le rispettive famiglie, e un discorso sul legame tra Kafka, ancora, e Hebel. Le traduzioni sono di Renata Colorni (uscita, questa, già nel 1984 all'interno di La coscienza delle parole, dove al sesto posto compariva per l'appunto L'altro Processo) e Ada Vigliani.

Benedetto Croce invece e i suoi zelanti discepoli avrebbero storto il naso accusando Canetti di privilegiare elementi “allotri” e non strettamente letterari.

Perché la tesi fondamentale del testo dello scrittore di Rustschuk è che Il Processo rifletta immediatamente il contenuto emotivo di due fatti biografici estremamente circostanziati: il primo capitolo, l’“arresto”, non sarebbe altro che la fedele trasposizione della cerimonia di fidanzamento di Kafka con Felice Bauer, svoltasi il primo giugno 1914; mentre la rottura del fidanzamento, avvenuta sei settimane dopo, il 12 luglio 1914, all'Askanischer Hof di Berlino, si rispecchierebbe nel capitolo finale dell'opera, quello dell'esecuzione.

L'autore praghese, secondo Canetti, non nutriva per le vicende private che si svolgevano nel suo intimo quel disprezzo che è tipico degli scribacchini e li distingue dai veri scrittori. D'altronde, egli aggiunge, chi ritiene di poter separare il proprio mondo interiore dal mondo esteriore, è chiaro che non possiede un mondo interiore da cui alcunché possa essere separato.

Nell'appunto preparatorio del 22 febbraio 1968 è detto con assoluta chiarezza che esiste un legame strettissimo tra la scrittura delle lettere a Felice e quella delle creazioni letterarie. Le due forme procedono di pari passo e si potenziano a vicenda crescendo l'una sull'altra.

Seguiamo allora, sulle tracce di Canetti, questo intrecciarsi di percorsi, quello biografico, privato e quello della letteratura.

Franz conobbe Felice Bauer il 13 agosto del 1912 in casa di Max Brod. Non fu certo colpito dalla sua avvenenza, che non esisteva, né dalla sua genialità, che non appariva, bensì dalla sua solidità e praticità. A lui, eterno irresoluto, Felice sembrò una donna decisa e forte, a cui affidarsi, su cui poter davvero contare. 

Lei era la donna che avrebbe potuto trasformarlo in un essere finalmente capace di compiere le cose normali, quelle che fanno tutti, e che a lui riuscivano invece così ostiche e sideralmente incomprensibili.

Ma, soprattutto, era una donna lontana, lontana in modo stabile. Dunque una donna che era lì per lui senza chiedergli altro che parole. L'ideale per un uomo che viveva letteralmente di parole.

E quelle, parole a non finire, lui le diede. Valanghe di lettere partirono da Praga per Berlino, nei cinque anni in cui durò la corrispondenza tra i due. (Si sa che le lettere di lei non sono state conservate).

In sostanza Kafka condusse, attraverso di lei, un serratissimo dialogo con se stesso e proiettò, su di lei, un'immagine che, con lei, non aveva dopo tutto molto a che fare.

Sono tre le fasi salienti di questo rapporto epistolare dal ritmo discontinuo (inframmezzato da rarissimi incontri reali) e queste tre fasi corrispondono ad altrettanti significativi momenti di produzione di testi letterari.

La prima fase è quella che potremmo chiamare della felicità inaugurale, benché Kafka abbia usato questa parola rarissimamente, forse solo una volta, a Zürau, nel 1917. Le prime lettere a Felice nutrono anche la sua scrittura. Due notti dopo aver scritto la prima lettera, il 20 settembre 1912, scrive La condanna, il suo vero atto di nascita come scrittore. (Le prose precedenti, tra cui quelle di Meditazione, il volume che preparò e decise proprio la sera in cui Felice era a casa di Max Brod, sembrano quasi di autore diverso). Nel corso dei primi tre mesi della fittissima corrispondenza con lei nascono inoltre un capolavoro assoluto come La metamorfosi, il Fuochista e altri cinque capitoli di America.

Il paradiso non poteva durare. Ben presto Kafka si rende conto che Felice, ragazza in fondo semplice e di gusti tradizionali, non apprezzava quello che lui scriveva. Felice, dal canto suo, non sapeva chi stava nutrendo. Non era in grado di valutare colui che, mediante le sue lettere, si alimentava di lei.

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Elias Canetti.

Inoltre Franz comincia a percepirla addirittura come un pericolo. Una minaccia alla propria irrinunciabile solitudine di scrittore. Lei, e siamo nel febbraio del 1913, gli chiede quali progetti abbia per il futuro, quali prospettive... Kafka subodora una proposta di matrimonio, un legame stabile incombente, una presenza continua di lei. Sarebbe la fine della scrittura. Ossia, per lui, la fine della vita.

Egli ha una concezione assai particolare della “torre d'avorio”. Per lui la torre d'avorio è uno scantinato. Immagina di vivere là, completamente solo, Felice, al massimo, potrà portargli i pasti, metterli davanti alla porta dello scantinato. Non di più. Lui, chiuso là dentro, continuerà a scrivere, protetto da quell'isolamento e da quel silenzio assoluto.

Per il resto, nelle lettere successive, sono continue lamentazioni e continue dichiarazioni d'inettitudine, d'incapacità: non si può proprio convivere con uno come lui, lei, se lo facesse, sarebbe condannata all'infelicità. Franz, nel futuro, può tutt'al più “inciampare”, non certo immaginarselo, il futuro, e tanto meno immaginarselo comune con lei.

A questo punto interviene una cara amica di lei, Grete Bloch. Ha il ruolo di mediatrice. Deve cercare di mettere pace tra i due, di normalizzare la situazione. Come spesso accade nei testi kafkiani il mediatore si rivela in realtà un complicatore. Kafka s'innamora di Grete. Grete userà le parole delle lettere appassionate che lui le scrive contro di lui, e ciò accadrà il 12 luglio del 1914 all'Askanischer Hof, dove il fidanzamento di sei settimane prima verrà sciolto. Nei suoi diari Franz descrive la scena come quella di “un tribunale”.

E qui, dopo la rottura, si assiste alla seconda fase della creatività kafkiana. Nell'agosto del 1914 scrive infatti il Processo, inizia il racconto sulla ferrovia di Kalda, che non finirà, quello sulla Colonia penale che porterà a termine e prosegue America che però rimarrà incompiuto. La produzione procede per altri cinque mesi e Canetti non esita a definire questa come la “seconda grande stagione creativa” della sua carriera.

Nel 1916, tra Franz e Felice c'è un riavvicinamento, non solo e non tanto epistolare, quanto, eccezionalmente, fisico. I due trascorrono alcuni giorni insieme a Marienbad, nel luglio di quell'anno. Dal 3 al 13, in un gradevole albergo. Cinque di questi giorni sono addirittura gioiosi. Franz riesce a cogliere la serenità degli occhi di Felice e il “dischiudersi della profondità femminile”. Egli pare aver superato “la paura della realtà di una donna” che fino a quel momento conosceva quasi esclusivamente per lettera. Capisce che le donne si possono “tener legate” anche senza servirsi necessariamente della “parola scritta”.

Ma l'idillio ben presto s'interrompe. Un secondo incontro, a Monaco, qualche mese dopo, si risolse in un disastro. Ci fu una lite furibonda in “un’orribile pasticceria”. Parallelamente la lettura pubblica della Colonia penale, sempre lì a Monaco, fu un fiasco totale, con il pubblico che si allontanava alla chetichella e un paio di signore che svennero ascoltando la crudezza dei dettagli di quella raccapricciante narrazione.

Eppure, il fallimento della relazione con Felice, che, di lì a poco, nonostante un secondo fidanzamento, naufragò del tutto e l'insuccesso letterario diedero la stura a quella che Canetti indica come la terza fase della creatività di Franz, dove nacquero molti dei suoi racconti più belli, tra cui Il cacciatore Gracco e quelli poi inseriti nel Medico condotto. (Incidentalmente ricordiamo che questa raccolta, Ein Landartz, uscita poi nel 1920, ebbe un'unica recensione, e per di più collettiva, una “Sammelbesprechung”, in un foglio locale, di Praga, a significare che la fama di Kafka è davvero tutta postuma).

La rottura definitiva, si sa, fu dovuta alla malattia, che irruppe nella vita di Franz con lo sbocco di sangue del 10 agosto 1917. Fu la tisi che lo “salvò” dal matrimonio.

La lettura biografica di Canetti non riguarda solo Kafka, ma anche, e forse più, se stesso. Egli sovrappone di continuo fatti della sua propria biografia a quelli dell'autore ammirato. Ad esempio, sul preciso modello kafkiano, segue le oscillazioni della sua attività scrittoria in presenza o meno dell'amata seconda moglie Hera Buschor: non necessariamente, a differenza di Kafka, egli è impedito nell'opera dalla vicinanza fisica della donna; anzi, a volte, ne è addirittura favorito.

Questa sovrapposizione autobiografica pare investire anche quello che Canetti ritiene il nucleo dell'intera opera di Kafka. Per lui, che lungo l'intera sua vita non ha fatto che indagare il mistero del potere, anche Kafka non ha fatto altro: è il potere il suo tema centrale. Solo che, mentre Canetti a forza di studiarlo ha finito con il familiarizzarsi con esso, è divenuto in un certo senso un uomo di potere anche lui, Kafka questo potere l'ha sempre rifiutato. Kafka si è sempre sottratto al potere, tramite le forme più varie dell'ascesi: la magrezza, la perseguita metamorfosi nel piccolo, nell'insignificante; persino tramite la contrazione del proprio nome e cognome, prima, come nel Processo, in Joseph K., poi, come nel Castello, solo K.

Allo stesso modo, mentre Canetti, è assurto alla massima fama, con il Nobel del 1981 (definito in un appunto del 1982 “la sceneggiata”), Kafka, come Kleist, come Hölderlin, come Lenz, come Walser è appartenuto al “novero di quelli che nessuno notò finché erano in vita”. 

Un altro punto di differenza tra i due, sottolineato in un appunto del settembre del 1968, è quello che concerne i rumori. Mentre Kafka detestava i rumori, non li sopportava e cercava avidamente il silenzio, un silenzio edenico come dopo la cacciata di Adamo ed Eva, Canetti apprezza la “saggezza del rumore”, il brusio infinito delle voci e rifugge la “purezza del silenzio”, che è una purezza che finisce per identificarsi con il nulla.

È dunque un Kafka “canettizzato”, questo. Cosa che non stupisce affatto. Noi conosciamo bene il Dante “pascolizzato” dei ponderosi volumi di esegesi dantesca di Pascoli; così come conosciamo il Pascoli “pasolinizzato” in Passione e ideologia. Del resto a sua volta Pasolini è stato oggetto del “coinvolgimento biografico dall'andamento carsico” di Walter Siti, descritto nel corpo a corpo di Quindici riprese.

Il metodo biografico e l'appropriazione autobiografica o, come scrive Canetti stesso, il farsi parassita dell'autore amato, sono in fondo riconducibili non a un atto di superbia o delirante narcisismo. Tutt'altro, sono espressione di una forma d'invincibile umiltà: la forma è in sé e per sé inattingibile e inesplicabile, si può però parlare dei processi che portano alla forma. Ed è ciò che ha fatto Canetti, per Kafka, nel corso di una vita intera, la sua.

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