Un libro di Maddalena Mazzocut-Mis / Teatro, mito e conflitto

5 Agosto 2021

Il volume di Maddalena Mazzocut-Mis Teatro da leggere. Mito e conflitto (Le Monnier, 2020), come dice il titolo, è teatro senza scena, senza attori e senza pubblico. Sembrerebbe una contraddizione. Si sa, la parola teatrale – almeno quella che nasce come un sogno letterario nell’intimità di una stanza – aspira a diventare realtà nelle voci e nei gesti delle persone in carne e ossa che si esibiscono in uno spazio fisico. Anche i testi di Maddalena Mazzocut-Mis, in effetti, sono nati per la rappresentazione (e peraltro sono andati in scena più volte), tuttavia a un certo punto della sua carriera l’autrice ha ritenuto necessario destinarli appositamente alla lettura, invitandoci a fruirne in modo silenzioso e privato, un modo diverso da quello abituale.

 

Per inquadrare al meglio la specificità del volume bisogna considerare che dietro le opere teatrali di Mazzocut-Mis (Teatro da leggere ne raccoglie dodici tra quelle scritte nel corso di più di un decennio) c’è un lungo percorso di studiosa, che ha all’attivo numerosi libri dedicati ai problemi dell’estetica. La riflessione e la ricerca, nel metodo compositivo dell’autrice, precedono la creazione vera e propria. Quando la saggista diventa drammaturga, e l’opera nasce e si sviluppa, allora all’immaginazione si accompagna la razionalità propria della studiosa, con compiti di vigilanza e garanzia. Perciò si può stare sicuri: non si troveranno mai invenzioni gratuite o ingiustificate nell’opera. Che si tratti di mettere in scena miti classici, personaggi letterari o vite vissute, il procedimento artistico non cambia: prima la puntualità dell’informazione, poi lo svolgimento creativo. 

 

Ogni opera presente nel libro è accompagnata da un’affabile premessa dell’autrice, che ci rivela interessanti aneddoti relativi alle circostanze che l’hanno indotta a scrivere. “Insomma, un breve lavoro di ricostruzione per sfatare il mito della creatività come ‘ispirazione’. L’ispirazione c’è… se si studia.” Così scrive nella premessa generale. Il termine “ispirazione” porta in sé qualcosa di mistico e quasi involontario, come se l’autore fosse travolto da una forza capace di trasformarlo in strumento nelle mani di una sorta di divinità o, più modernamente, dell’inconscio. Per il teatro di Mazzocut-Mis, quindi, più che di ispirazione sarebbe meglio parlare di occasioni, incarichi, contingenze o semplici chiacchierate con amici, insomma di tutto quello che può stimolare la decisione di mettersi in cammino sulla pagina bianca in compagnia non solo di personaggi provenienti dalla tradizione, ma anche di persone vere o verosimili, estratte dal dimenticatoio della storia recente.

 

Il libro si contraddistingue per varietà di argomenti, toni, registri e prospettive. In diversi testi assistiamo allo sviluppo di personaggi classici in una direzione inedita. Si tratta di rivitalizzazioni di storie depositate nella nostra memoria come braci sotto la cenere. Cercare di scrivere qualcosa di veramente nuovo è quasi impossibile, e ispirarsi ai classici presenta sempre il rischio di ripetere il già detto. Allora è lecito chiedersi se la tradizione, ancora oggi, possa dare impulso a un’opera davvero interessante e necessaria. Maddalena Mazzocut-Mis dimostra che sì, è possibile, a patto di avere l’accortezza di compiere una trasgressione ben ponderata: rispettosa ma non riverente nei riguardi delle fonti. Dare del tu anziché del lei ai grandi autori del passato non vuol dire ridimensionarli, e tanto meno banalizzarli, ma cercare di familiarizzare con loro. La scrittrice resta a lungo nel recinto dell’opera originaria per studiarne l’area, osservare le forme che vi appaiono e i movimenti che vi si svolgono; infine scavalca il recinto e comincia a camminare nei territori circostanti.

 

Il suo percorso creativo permette così di collegare il vicino al lontano, la realtà attuale al mito. E il mito (come tutto ciò che è classico) con la sua grandezza, capace forse di contenere tutto il narrabile, potrebbe essere visto come un limite dagli scrittori. Ma è proprio dai limiti che nasce la sfida, e dalla sfida l’energia. La stessa autrice ne parla, quando sottolinea che “i limiti sono spesso la vera fonte di ispirazione perché segnano dei confini e nello stesso tempo possono o devono, a seconda dei casi, essere superati.” (La drammaturga si riferisce, nello specifico, alla necessità di scrivere per un’opera musicale. Sia Giocasta che L’eco di un fantasma, testi contenuti nel libro, costituiscono infatti i libretti per le omonime opere liriche del musicista contemporaneo Azio Corghi, con il quale l’autrice ha collaborato subentrando a José Saramago dopo la morte di quest’ultimo.) La sfida dunque – per chi riprende personaggi esemplari, storie note, archetipi consolidati – è quella di superare il recinto del luogo comune letterario. 

 

In Giocasta, ad esempio, la storia di Edipo viene raccontata con le parole appunto di Giocasta, la moglie-madre, e quindi rivissuta secondo la sua ottica. La regina si rivolge al figlio-marito, “non per chiedere perdono, non per autoassolversi”, spiega Mazzocut-Mis, ma per offrire un punto di vista del quale eravamo all’oscuro. Giocasta parla non “all’Edipo parricida e vendicativo” ma a quello “incarcerato e ignaro della sorte della moglie e soprattutto dei figli”. La concezione psicologica del personaggio è di taglio moderno, ma il linguaggio con cui esso si esprime ha la solennità del classico, il passo e il respiro della tragedia antica. “Non parlo per farti del male e non sarà lo strazio a trovare le parole, ma la pietà di una madre che dice mentre nasconde.” Maddalena Mazzocut-Mis è brava a simulare il tono dei suoi autori di riferimento (Sofocle, naturalmente, ma anche l’Euripide delle Fenicie e Seneca), a ricalcarne la sentenziosità poetica (“Ci si illude della propria eternità, quando nulla turba il giorno”), a mescolare le proprie parole con le loro, modellando le espressioni al punto da farle sembrare traduzioni dalle lingue antiche. Nel testo compaiono citazioni e parafrasi, ma sempre accompagnate da pensieri originali. Nell’opera, e questa è una novità, tutti i personaggi sono visti con gli occhi della donna. Ma soprattutto lo è Edipo, accecato e prigioniero, presentato nella sua straziante fragilità, che esalta due aspetti indissolubili della femminilità di Giocasta: “Uomo e bambino mio. Abbandonato. Mio bambino e uomo. Dimenticato. Io ti proteggerò e ricorderemo insieme.”

 

 

Nel repertorio di una studiosa di estetica non poteva mancare poi una pièce sui privilegi e i drammi della bellezza. Non è certo facile immaginare la bellissima Elena del mito come una donna anziana e imbruttita. Mazzocut-Mis lo fa, scrivendo L’eco di un fantasma. Ma le questioni che Elena solleva, oltre che estetiche, sono anche etiche. Nella premessa, infatti, la drammaturga chiarisce: “Alcuni enigmi del personaggio di Elena mi affascinavano da sempre: era stata rapita da Paride o era scappata di sua volontà?” In altre parole: era colpevole o innocente? L’Elena di Mazzocut-Mis è una donna spudorata che non accetta di invecchiare e perdere fascino, e con le vesti di una signora di provincia degli anni ’60-’70 cerca nel volgare adulterio l’eccitazione del disordine, il compiacimento della seduzione, la leggerezza irresponsabile. L’autrice, diversamente da quanto fa con Giocasta (che rimane un personaggio tragico), in questo caso rivisita il personaggio originale in chiave realistica. Il mito di Elena è capovolto. La sua avventura non è esaltante ma squallida. La sua carnalità è modesta, senza gloria e senza estasi. La sua passione è ridotta a misera conquista passeggera. 

 

Mazzocut-Mis, sempre assetata di incontri creativi con i personaggi classici, facendo un salto di parecchi secoli, in Candido mette in scena anche Voltaire accanto al suo celebre personaggio. Spingendo poi lo sguardo fino all’Ottocento, nel caso di Madame Bovary si ispira agli atti del processo a Flaubert, accusato di oltraggio alla morale pubblica e religiosa. “L’aggiunta di Flaubert sulla scena ha la funzione di proporre una rilettura del romanzo attraverso gli occhi dell’autore. Occhi sinceri, perché le parole di Flaubert sono sempre tratte da lettere e scritti di suo pugno,” spiega Mazzocut-Mis. 

 

Nel volume sono presenti rivisitazioni di altri classici, ma l’interesse per la tradizione non impedisce alla scrittrice di trattare tematiche di attualità, come ad esempio la dignità etica degli animali (in Monologo a due) o il lavoro interinale, in e-relazioni, mail pericolose. Quest’ultima opera, pur presentando spesso risvolti drammatici, è caratterizzata da un diffuso umorismo. La scrittrice offre una notevole prova di plurilinguismo in un’originale forma di teatro epistolare. Tutto ruota attorno a un unico personaggio, una laureata (in archeologia) costretta ad adattarsi a un lavoro che non fa per lei: addetta alle relazioni con la clientela di un’azienda di cosmetici e prodotti per il benessere. L’unico mezzo utilizzato per comunicare è la posta elettronica. Così la donna si relaziona con i clienti sotto tanti nomi fittizi. Ma nel frattempo coltiva anche i suoi rapporti privati. È evidente qui il pirandellismo di fondo: tante maschere verbali, tante corde da far vibrare di volta in volta nelle parole, da quella “civile” a quella “seria” a quella “pazza”, quest’ultima in messaggi che vengono scritti ma, per convenienza, non inviati. 

 

Le vite segnate dal carattere dell’imprevedibilità sono oggetto di particolare interesse per Mazzocut-Mis. Cardo rosso, ad esempio, è l’elaborazione teatrale di un grave attacco terroristico, imprevedibile per definizione. “I fatti sono solo un punto di partenza; non volevo realizzare un’opera di ricostruzione documentaristica,” chiarisce la scrittrice nella premessa. Ogni personaggio racconta e si racconta secondo la propria ottica, contribuendo così alla collettività del dramma. Imprevedibile poi, sia in Milena che in Volo 903, è la dinamica di ascesa e caduta che contraddistingue i rispettivi protagonisti. Un tempo, nel suo paese d’origine (potrebbe essere qualunque paese dove ci sia un regime autoritario), Milena era ricca e famosa, perché condivideva la sua fortuna con un noto gerarca. E ora, come scrive l’autrice nella premessa, “vive rimpiangendo una felicità e una vita incomprensibile ai suoi interlocutori.”

 

La donna vorrebbe solo poter essere ciò che era. In esilio è un’umile cameriera, nel suo paese era una grande attrice. Non le rimangono che i versi di Shakespeare a scandire la sua tragedia interiore: non la tragedia dell’essere o non essere, ma quella dell’essere stata e non essere più. La stessa sorte amara, ma per motivi del tutto diversi, spetta a un grandissimo atleta impostosi soprattutto negli anni ’50. “Così nasce”, spiega l’autrice, “Volo 903: dall’eroica esaltazione di un mito, alla quotidiana sopravvivenza. Dallo Zátopek atleta imbattibile, allo Zátopek umiliato dallo Stato socialista che lo aveva osannato.” Un uomo passato, per decisione politica, dalle medaglie d’oro conquistate alle olimpiadi al mestiere di netturbino. Il corridore durante la gara era solo con il tempo, con l’aria, con il respiro. E questa solitudine era una condizione pura, una specie di felicità stanca e sudata. Ma non si può vivere in una condizione pura. Si è nella storia, si è trattenuti, frenati dai suoi lacci. Zàtopek subisce una degradazione. Il suo corpo, anziché volare, viene schiacciato al suolo. Eppure lui sorride, e il suo sorriso è una vittoria sulla cupezza della politica autoritaria di un regime nemico dell’identità individuale.

 

Teatro da leggere, come si vede, è un libro molto ricco e variegato. Al lettore il compito di aprire la porta a personaggi che si presentano con discrezione, chiedendo accoglienza e offrendo i doni delle loro storie. Maddalena Mazzocut-Mis, destinando le proprie opere teatrali alla lettura, ha deciso di trasferirli direttamente dal suo al nostro spazio interiore, uno spazio nel quale non svaniranno come dopo una messa in scena, ma potranno essere ritrovati ogni volta che si vuole.  

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