Morto o imbalsamato

5 Aprile 2013

Per Hugo Chávez è tardi: il suo cadavere ha aspettato troppo per poter essere imbalsamato. Per garantire il successo le procedure di imbalsamazione avrebbero dovuto iniziare subito, già il 5 marzo, giorno del decesso. Ora gli esperti giunti dalla Russia le sconsigliano, trasportarlo a Mosca per essere certi del risultato vorrebbe dire strapparlo alla madrepatria e ai cittadini in lutto, per non dire dei costi milionari del processo di eternalizzazione.

 

Il popolo venezuelano che ha alzato pugni al cielo, mandato baci e pianto tutte le sue lacrime, che ha sperato che il cadavere dell’Ultimo comandante potesse continuare a vivere in una nuova forma, ha ricevuto la notizia di un cambiamento delle celebrazioni da Nicolás Maduro, l’erede prescelto che si trova a reggere la presidenza ad interim. Il corpo del presidente del Venezuela, esposto per nove giorni e nove notti, in una bara con il coperchio di vetro, in una monumentale camera ardente nell’Accademia militare di Caracas, è stato trasportato alla Caserma della Montagna, nel Museo della rivoluzione, il Pantheon nazionale, accompagnato da una folla sconsolata, rossa e infinita. Lì riposerà accanto al suo eroe, il Libertador Simón Bolívar.

 

Morto a 58 anni, Hugo Chávez da tempo aveva il cancro. La sua malattia, circondata da rumours e misteri, è creduta ancora da molti opera di complotti e attacchi del nemico della rivoluzione. Per curarsi, il presidente venezuleano si è recato spesso a Cuba, pare sia stato proprio Fidel Castro il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. Hugo e Fidel erano alleati politici affettivamente molto legati, e se Fidel è stato un modello e una figura paterna, Hugo era diventato il figlio prediletto.

Imbalsamare il corpo del presidente era una garanzia in più che il sogno di un Venezuela al quale aveva augurato “ottimismo, fede e speranza”, potesse sopravvivere alla sua fine terrena. Pur tra molte contraddizioni, Chávez era riuscito a cambiare un paese ricchissimo tanto di petrolio quanto di poverissimi, ha diminuito le diseguaglianze sociali, ridotto allo 0,39 l’indice di Gini, e dal 1998 al 2011 il Prodotto interno lordo è passato dallo 0,57 al 4,18.

 

“È evidente che non c’è idea – per quanto strana possa essere – che gli uomini non siano disposti ad accettare con gioia, se soltanto riesce a distoglierli anche in minima misura dalla coscienza della loro finitezza, se soltanto alimenta la speranza in una qualche forma di immortalità”, scrive Norbert Elias in La solitudine del morente.

E il corpo imbalsamato, conservando le fattezze del vivente, rimane una presenza viva tra i vivi. Un pezzetto di ciascuno sopravvive in lui, diventa il corpo del Cristo morto e risorto. Il luogo della sepoltura diventa un’attrazione turistica, permette la socializzazione, proietta le conquiste della “rivoluzione” in un al di là, sacralizza in un uomo solo un paese intero.

 

La storia del comunismo e delle rivoluzioni sociali si è storicamente intrecciata con la pratica dell’imbalsamazione. Il primo a esser mummificato secondo la tradizione degli antichi egizi è stato Lenin, il cui desiderio di essere sepolto accanto ai suoi compagni fu disatteso.

Stalin voleva farne un simbolo da seppellire vicino al Cremlino, il capo della polizia segreta ebbe l’idea di “metterlo nel balsamo” con una tecnica escogitata da due chimici sovietici. Il suo corpo, che sopravvive dal 1924,

con periodiche immersioni in bagni vivificanti, nel mausoleo sulla Piazza Rossa, dimostra il successo della formula. In quello che poi fu chiamato il laboratorio di Lenin, si tramanda ancora come un segreto. Che ha garantito sembianze da vivente a Dimitrov e Gottwald, a Mao e a Ho Chi Minh – gli esperti arrivarono fin nella giungla vietnamita per trattare il cadavere che il governo comunista non volle far espatriare.

 

E nonostante i progressi tecnici di tedeschi e americani, nel campo dell’imbalsamazione il comunismo ha battuto il capitalismo. E Lenin batte Stalin il quale, seppure subito imbalsamato nel 1953, dopo il ventesimo congresso è stato poi rimosso da Chruščev. E le vie della storia hanno fatto sì che il laboratorio, rimasto senza fondi dopo la fine dell’Unione Sovietica, sopravviva oggi grazie all’ingente aiuto economico nordcoreano – Kim Jong-il, morto lo scorso dicembre, verrà imbalsamato nel Mausoleo Kumsusan accanto alla mummia del padre Kim il-sung. Ma per gestire al meglio il processo di tassidermia del cadavere di Chávez si è proposto anche l’imbalsamatore dell’ex dittatore filippino Ferdinando Marcos, morto nel 1989 –uno dei pochi leader non comunisti, insieme a Evita Peron, a essere preservato dalla decomposizione.

 

Per chi promette il paradiso in terra la malattia del capo è il segno inesorabile della sua mortalità, la sua morte la fine di un mondo che non prevede altro dio. Per questo le voci su avvelenamenti e congiure hanno spesso circondato le morti illustri del socialismo, per questo la notizia del decesso è stata spesso rimandata e l’agonia, come nel caso di Tito,   prolungata. Ma se la malattia e la morte del capo alimentano l’immaginario collettivo in tutte le latitudini, oggi, non a caso, è l’ibernazione a rappresentare l’illusione di immortalità dei singoli.

 

Chissà se il sincretismo religioso populista del Venezuela riuscirà a smentire Luciano Fabro che, a proposito delle sculture pubbliche, scriveva: “i monumenti artistici della civiltà meccanica: sono tutti tristi, mal fatti, deformi, quelli sociali sono i peggiori, perché oltre ad essere enormi (l’Altare della Patria a Roma, il Mausoleo di Lenin a Mosca, il Walhalla in Baviera), esprimono il voglio ma non posso di ogni popolo”.

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