Neuroestetica e coscienza riflessiva

29 Settembre 2014

Il tentativo di spostare la frontiera della rappresentazione dei fenomeni umani a un livello di profondità intracorporea, oltre la superficie del visibile, “dal mondo esterno tridimensionale al sé interno multidimensionale e alla mente inconscia”, come ha scritto Kandel, viene perseguito parallelamente e con risultati concomitanti dalla letteratura e dalle arti figurative. Nella Vienna di Freud la scuola pittorica di Klimt, Kokoschka e Schiele immette nella sperimentazione stilistica la forma degli stati mentali e, particolarmente nei ritratti, nelle deformazioni anatomiche e cromatiche che investono i volti, imprime l’immagine incorporata della psiche, la condizione della mente divenuta sintomo fisico.

 

Kokoschka assume uno sguardo diagnostico, che incide il corpo con freddezza chirurgica, e non è estraneo alla suggestione della scoperta dei raggi x: un potenziamento della visione attraversa la superficie della pelle, penetra nella struttura del soggetto, rende visibile una stratigrafia dell’essere umano, una anatomia profonda del corpo, quasi il risultato di una dissezione. L’intensificazione dello sguardo denuda il corpo, lo priva dei tessuti, mostra la struttura scheletrica e le connessioni nervose che formicolano sotto la pelle. Kokoschka e Schiele radicalizzano l’affiorare delle pulsoni inconsce già sperimentato da Klimt, imprimendo ai corpi una distorsione che disintegra definitivamente l’ideale armonico di bellezza dell’arte classica, sostituito da una iconografia del corpo psicotico.

 

Le interferenze tra scienza e arte nella Vienna del primo Novecento, la contiguità tra le ricerche scientifiche della Scuola di medicina e le sperimentazioni artistiche degli scrittori e dei pittori, si concretizzano anche nel tentativo di applicare le acquisizioni della nascente psicologia ai meccanismi della percezione e della ricezione artistica. A cominciare da Alois Riegl, la scuola degli storici dell’arte viennesi, tra i quali Ernst Kris ed Ernst Gombrich, lavora all’elaborazione di una teoria cognitiva dell’arte fondata su basi scientifiche, all’incrocio tra psicologia e sociologia.

 

Il fuoco dell’indagine sui processi mentali coinvolti nella creazione artistica si sposta verso l’osservatore, coerentemente con la tendenza dell’arte contemporanea a stimolare il coinvolgimento del pubblico nella definizione dei significati. Allontanandosi dalla resa mimetica del reale, l’arte novecentesca sollecita la partecipazione dello spettatore, che deve ricreare nella sua mente lo spazio immaginato dall’artista, e alla collaborazione percettiva aggiungere una collaborazione emotiva e culturale, integrando l’opera con i significati e le interpretazioni che dipendono dalla sua situazione intellettuale ed emozionale.

 

 

Lo sviluppo della neuroestetica (“estetica sperimentale” nell’accezione proposta da Vittorio Gallese) ha dimostrato che esiste un rispecchiamento, una reciprocità e un’integrazione tra i processi della creazione artistica e quelli della fruizione. L’esperienza estetica consiste nel simulare il processo cognitivo, emotivo ed empatico innescato dall’artista. Gli stessi circuiti mentali e le stesse funzioni si attivano nel creatore e nel fruitore: lo spettatore riproduce il gesto artistico, la sua mente di fronte all’opera d’arte ripercorre il processo creativo che l’ha resa possibile.

 

La rappresentazione artistica dell’evento creativo, delle sue tecniche e dei suoi procedimenti, è un passaggio fondamentale verso la costruzione dell’autocoscienza moderna. Dalla sfrontata collocazione del pittore al centro di Las Meninas, fino alla pittura gestuale di Pollock e all’arte concettuale, la metariflessione sull’opera non è soltanto un gioco intellettualistico, un manierismo gratuito: è un modo attraverso il quale l’opera mostra le condizioni cognitive del proprio farsi, costringendo il fruitore a specchiarsi nel processo dell’elaborazione estetica. L’osservatore è chiamato a prendere coscienza dell’illusionismo percettivo strutturale delle pratiche artistiche, dell’arte non come rappresentazione ma come continua de-formazione e ricreazione della realtà. Mostrando il gesto della creazione l’artista pone l’osservatore di fronte a un modello di autocoscienza riflessiva, ovvero uno dei tratti distintivi di homo sapiens. L’arte partecipa a un livello avanzato di complessità alla costruzione di quello che Antonio Damasio chiama “processo del sé”, il percorso attraverso il quale la mente diventa cosciente della propria presenza cognitivo-corporea nel mondo, istituendo un collegamento tra il verificarsi dell’esperienza e la definizione del soggetto che la esperisce, il sé appunto.

 

Lo studio delle reazioni all’opera d’arte, degli effetti che produce su chi la fruisce, è una strategia di osservazione indiretta dei processi della creatività, dei movimenti che avvengono negli strati profondi della mente quando una forma si stacca dall’informe delle percezioni e delle cognizioni per assumere un significato estetico e culturale. Semir Zeki ha tentato di verificare sui processi della creatività alcune strutture fondamentali delle funzioni cerebrali, come la tendenza all’astrazione e alla formazione di concetti sintetici, attiva in tutte le facoltà intellettuali, dalla piú semplice alla piú complessa. La formazione dei concetti contribuisce, ha mostrato Zeki, allo scioglimento delle ambiguità, uno dei tratti generativi della semiosi artistica, e uno degli elementi che producono il coinvolgimento dell’osservatore nella creazione dei significati. Le opere d’arte contengono ambiguità percettive e interpretative, e nella decifrazione di queste ambiguità la mente dispiega alcuni dei tratti fondanti del proprio funzionamento.

 

Lo studio della mente in relazione ai processi artistici accredita la funzione conoscitiva dell’arte, il suo potenziale di attribuzione di significato alla realtà, che colma parte del divario nei confronti della ricerca scientifica, lavorando al superamento della dicotomia tra le “due culture” e dell’equivoco secondo il quale arte e scienza appartengono ai due domini separati dell’emozione e della ragione, dell’oggettività e della soggettività. Opposizioni binarie del resto fortemente complicate dall’accertamento del ruolo delle emozioni primarie nei processi cognitivi, dalla raggiunta consapevolezza che l’emozione è una forma di elaborazione dell’informazione e quindi una forma di conoscenza. L’arte estende le potenzialità del cervello, è uno strumento di esplorazione attiva del e di interazione creativa con il mondo.

 

 

Scienza e procedimenti artistici, sopratutto contemporanei, condividono una tendenza al riduzionismo: come la scienza isola le singole componenti dei fenomeni per comprenderne le dinamiche di base, cosí l’arte seleziona ed enfatizza alcuni elementi della realtà per restituirne una rappresentazione piú efficace, un’evidenza che proviene dall’astrazione degli elementi (la forma, il colore, i tratti somatici, la luce) dall’ambiente nel quale in regime di percezione ordinaria sono immersi fino all’indistinzione. La ricerca di tratti essenziali, di regolarità che permangono e attraversano la variabilità dei fenomeni è il meccanismo conoscitivo fondamentale del cervello. L’arte, e particolamente l’arte novecentesca, lavora per isolamento e selezione di elementi caratteristici, per intensificazione, astrazione e assolutizzazione di dettagli, e quindi riproduce e amplifica i processi conoscitivi radicati a livello neurobiologico, che consistono, scrive Zeki, nel “rappresentare le caratteristiche costanti, durevoli, essenziali e stabili di oggetti, superfici, volti, situazioni e cosí via, permettendoci in tal modo di acquisire conoscenza.”

 

Gombrich ha chiarito che ogni visione è un’interpretazione: non esiste un occhio innocente e oggettivo, ogni ipotesi di significato è situata, la ricostruzione di un’immagine si appoggia sempre a una schematizzazione concettuale che è non solo “negli occhi” ma, come ha precisato Zeki (preceduto dallo studio pionieristico di Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini, troppo spesso ignorato dai lavori piú recenti sulla neuroestetica), nel cervello dell’osservatore. L’organo della vista è un circuito del quale gli occhi sono il terminale esterno, ma la cui funzione essenziale, la ricostruzione delle immgini, è situata nel cervello. E il cervello è una “macchina della creatività” che cerca modelli coerenti in un groviglio confuso di segnali ambientali e corporei: conoscere il mondo vuol dire inventarlo, individuando segmenti di senso.

 

La creazione artistica diventa allora un modello della conoscibilità del reale. La sua funzione conoscitiva torna al centro degli studi sulla cognizione: l’arte ci riguarda e ci coinvolge profondamente proprio in quanto crea proiezioni del nostro essere nel mondo, modelli della realtà emotiva e percettiva, fornisce informazioni sulle modalità non immediate di concettualizzazione dell’esperienza. Contiene schemi attraverso i quali processare i contesti ambientali e gli impulsi interiori. Permette di passare attraverso esperienze che non sarebbero immediatamente accessibili, allarga l’orizzonte di conoscenza e lo spettro di possibilità dell’esperibile. È un deposito dell’enciclopedia sociale, un catalogo delle modalità di interazione con l’ambiente, e in quanto tale svolge, secondo studi come quelli di Aiken, Dissanyake o Duttan, una funzione fondamentale per l’adattamento evolutivo: nell’arte sono depositate le istruzioni attraverso le quali i gruppi umani organizzano le proprie strategie di sopravvivenza.

 

Proprio perché la creatività è radicata nei processi mentali fondamentali che ci fanno umani, il modo in cui l’arte modifica la cognizione del mondo può essere compreso a un livello di profondità finora sconosciuto, ovvero là dove gli schemi concettuali e cognitivi, le rappresentazioni interne del mondo visivo, comprensibili grazie a un’analisi psicologica, si connettono al funzionamento biologico del cervello. Senza riduzionismi deterministici: alla biologia della mente anzi sono necessarie le concettualizzazioni della psicologia cognitiva, le analisi dei processi psichici che precedono e orientano le ricerche sulla fisiologia. Solo da una prospettiva profondamente integrata, attraverso un approccio autenticamente multidisciplinare, un costante scambio di metafore e di modalità discorsive, un’interrelazione tra dati biologici e psicologico-cognitivi, e dati storici, ambientali, sociali, è possibile spostare la frontiera delle conoscenze sulla creatività e sul suo ruolo nei processi di comprensione dell’esperienza umana.

 

 

Testi citati

Antonio Damasio, Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi, Milano, 2012.

Ellen Dissanyake, Homo Aestheticus. Where Art Came From and Why, University of Washington Press, Seattle, 1995.

Dennis Dutton, The Art Instinct. Beauty, Pleasure, and Human Evolution, Bloomsbury Press, New York, 2009.

Vittorio Gallese, Arte, corpo, cervello: per un’estetica sperimentale, “Micromega”, 2, 2014: 49-67.

Eric R. Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni, Cortina, Milano, 2012.

Oskar Kokoschka, My Life, Macmillian Publishing Co., New York, 1971.

Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Zanichelli, Bologna, 1995.

Semir Zeki, La visioni dall’interno: arte e cervello, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

Semir Zeki, Splendori e miserie del cervello. L’amore, la creatività e la ricerca della felicità, Codice, Torino, 2010.

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