Genova d'acqua

12 Ottobre 2014

Questo è il primo autunno che passo a Genova da vent’anni. Un mese fa mia figlia, che vive qui, mi consiglia di registrare il mio numero di cellulare in Comune in modo da ricevere avvisi nel caso di emergenze meteorologiche. L’idea mi sembra ottima e la metto subito in pratica. Il primo test arriva due notti fa. Piove da un paio di giorni, ma dalle otto di sera in poi viene giù senza pause, a mitragliate d’acqua che ogni volta picchiano un pochino più forte. Il primo SMS della Protezione Civile mi arriva alle undici e ventidue. Dice di stare attenti e che è possibile un’esondazione del Bisagno.

 


A quell’ora Montoggio, una ventina di chilometri a nord di Genova, era già sott’acqua per lo straripamento di un torrente. Il Bisagno stesso era stragonfio e che esondasse era sicuro. Ma l’unica risposta ufficiale in città era quel messaggino che invitava alla prudenza, un consiglio però, non un’allerta (1 o 2) che mettesse in moto le istituzioni e le relative strutture tecniche. Si potrebbe dire che tutti dormivano o si preparavano ad andarsene a letto. Fra i pochi ancora alzati c’era il sindaco di Sant’Olcese, un paese dell’entroterra dove fanno un ottimo salame, che vista l’aria che tirava aveva riunito gli assessori e i tecnici del comune ed era pronto a scattare in caso di emergenza.


Quello che poi è successo lo sanno tutti. Il Bisagno è straripato e c’è stato un morto, forse addirittura prima dell’SMS della Protezione Civile.

 



Il giorno dopo conferenze stampa del sindaco, Marco Doria, e del governatore, Claudio Burlando. Tutti e due sulla difensiva, con qualche variante: il primo dice di non essere stato avvisato, il secondo, responsabile dell’ARPAL, l’agenzia meteorologica della Liguria, incolpa il modello previsionale che per la prima volta non aveva funzionato. Sarà, ma solo a guardarle, le due conferenze stampa, si capisce subito che non funziona un bel niente. Invece di essere animati da una fretta irreprimibile, tipo “cari giornalisti scusate, capisco il vostro lavoro, ma cerchiamo di sbrigarci perché qui siamo in emergenza e i miei collaboratori ed io dobbiamo tornare al più presto in sala operativa”, sindaco e governatore si slargano in risposte tortuose, puntigliose, interminabili.

 

Tutto sommato se la cavano e si capisce che sono persone oneste, ma stanno su Marte, come minimo. Negli anni che ho passato negli Stati Uniti, in occasione di diverse emergenze (terremoti, incendi, uragani, nevicate) ho sempre visto i responsabili delle instituzioni andare in televisione il giorno dopo. Però lo facevano per strada, sui luoghi del disastro, interrompendo per un attimo il lavoro a cui si stavano dedicando anima e corpo da quando l’allarme era suonato. E infatti erano in jeans e giubbotto, con berretto da baseball in testa.

 



Due giorni dopo, sabato 11, sembra che la natura ci prenda in giro. Continua a piovere, ma a intermittenza. È una specie di guerriglia, con bombe d’acqua che colpiscono territori limitati, ieri il ponente cittadino, oggi il levante, con diluvi ed esondazioni a Recco e Rapallo. In un sussulto di attivismo la Protezione Civile mi tempesta di SMS; l’ultimo estende l’allerta 2 (scuole chiuse e consiglio a tutti di starsene a casa) fino alla mezzanotte di lunedì 13. È la più lunga allerta di questo tipo da quando esiste il servizio di allarmi, forse la soluzione definitiva dei nostri problemi idrogeologici, accettare di vivere in un’emergenza permanente.


L’unica autorità che si è finora fatta veder per strada è stata il cardinale, Angelo Bagnasco. Si è preso anche delle male parole da una signora di Borgo Incrociati, che probabilmente si è dovuta accontentare dell’arcivescovo in assenza di altri bersagli. Machiavelli ha scritto che il principe non deve essere buono e leale ma lo deve sembrare. Qui nemmeno l’apparenza. Possibile che solo il sindaco di Sant’Olcese possieda la sensibilità per capire quand’è l’ora di stare svegli? E che non ci sia stato uno, nel giro del sindaco, che gli abbia detto “senti Marco, qui piove di brutto da tre ore, vabbé che non c’è nessun allarme ufficiale, ma forse è meglio che proprio stasera non ci vai al Carlo Felice (il teatro dell’Opera), che se poi succede qualcosa qui ci fai una figuraccia che la rielezione te la scordi”?

 


La comunicazione sulla rete, quella ha funzionato. Ma ha diffuso un’informazione impotente: guardare senza poterci fare nulla e con la sgradevole sensazione che nessuno ci facesse nulla. Facebook era pieno di video, girati da gente che si affacciava alla finestra, vedeva il torrente che era diventata la sua strada, riprendeva e postava. Ce n’è uno sulla piena del Fereggiano dove la donna che gira il filmato grida “no, un’altra volta no, come tre anni fa no!”. La faccenda del Ferreggiano è la pietra dello scandalo. Fa sei morti nel 2011, bisogna costruire uno scolmatore, progetto e delibere approvate, 35 milioni di finanziamento pronti, ma i lavori non partono. Ci sono stati dei ricorsi contro gli appalti, tutto fermo, aspettiamo le decisioni del TAR. Beffa suprema, la legge che dormiva quando le nostre colline si caricavano di condomini fino all’inverosimile, oggi spalanca gli occhi e blocca le opere che dovrebbero difenderci.


 È probabile che nei prossimi giorni il TAR diventi il colpevole da mandare avanti. Si tratta di una sigla anonima, nessuno ne sa l’indirizzo, non deve essere rieletto, insomma è l’ideale. Gira anche una convocazione, via Facebook, per una protesta cittadina la prossima settimana. Sono curioso di vedere se ci sarà e chi ci andrà. Come sono curioso di vedere se Renzi verrà a Genova e come si vestirà.


Nell’età moderna Genova ha fatto una rivolta per secolo. Nel 1746 contro gli Austriaci, nel 1849 contro i Savoia, nel 1960 contro il governo Tambroni. L’unico problema è che le facciamo intorno alla metà del secolo e siamo solo nel 14. Anche perché, uno come me, nato nel 1952 e che nel ’60 era troppo piccolo, al 2046 è difficile che ci arrivi.

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