Gli antifascismi di Giustizia e libertà

17 Settembre 2024

In cosa consiste l’antifascismo, quali valori difende? La domanda non può in verità prescindere dalla questione, preventiva, di definire cosa sia il fascismo. Il volume di M. Bresciani, Learning from the Enemy, An Intellectual History of Antifascism in Interwar Europe (Verso, 2024) fornisce ad entrambe le domande una quantità di risposte storicamente circonstanziate, analizzando come la rete degli antifascisti italiani gravitanti attorno al gruppo Giustizia e libertà provò a definire il proprio antifascismo negli anni tra il 1929 (quando apparve il primo numero del giornale Giustizia e libertà. Movimento rivoluzionario antifascista, fondato da Carlo Rosselli in esilio a Parigi) e il 1944-45 (quando membri di GL come Leone Ginzburg, Silvio Trentin ed Eugenio Colorni persero la vita, uccisi rispettivamente a Regina Coeli dai nazisti, a seguito della detenzione nel carcere di Padova, e a Roma da una pattuglia di militi fascisti).

La lotta antifascista di GL, condotta attraverso sodalizi amicali e intellettuali, riviste e pubblicazioni più o meno clandestine, detenzioni ed esili, viene ripercorsa nel volume (che costituisce la versione inglese rivista dell’originale pubblicazione italiana per Carocci nel 2017) prestando attenzione alla sua dimensione europea (e non solo italiana) e intrecciando le vivide traiettorie individuali alla storia intellettuale del periodo tra le due guerre. 

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Quale fu il collante che unì generazioni diverse di antifascisti con percorsi e sensibilità politico-culturali anche molto diversi tra loro? Per Carlo Rosselli e per altri della prima generazione di GL, l’antifascismo fu un punto di arrivo più che di partenza: condividendo a ridosso della prima guerra le critiche all’Italia liberale di Giolitti, l’interventismo e gli appelli per un rinnovamento culturale radicale formulati in particolare negli ambienti fiorentini vociani, i fratelli Rosselli non avevano mancato, come anche altri (Lussu, Chiaromonte), di rilevare l’elemento di rinnovamento rappresentato dal fascismo, e furono per questo in grado di comprendere a fondo, più di altri, il fascismo e le sue ragioni. Al tempo stesso, fu loro immediatamente chiaro che se il fascismo rappresentava sostanzialmente una negazione, superarlo significava non limitarsi alla negazione della negazione, ma articolare percorsi ideali e pratici per un profondo rinnovamento sociale e culturale. È un posizionamento su cui il volume attira l’attenzione a mezzo delle efficaci immagini dell’“imparare dal nemico” e della “mossa del cavallo e della torre” (riprese rispettivamente da Carlo Ginzburg e da Vittorio Foa). 

Identificando il fascismo con la decadenza morale, intellettuale e politica dell’Europa dopo il 1914, GL si sforzò dunque di capire in che misura esso aveva intercettato dei bisogni reali: come “rivelazione degli italiani a sé stessi” e “autobiografia della nazione”, il fascismo rappresentava un fenomeno che per essere efficacemente combattuto e superato andava anzitutto capito. Tra le varie interpretazioni emerse in seno a GL, Gaetano Salvemini lesse il fascismo come una risposta plausibile, per quanto sbagliata, al declino delle istituzioni liberali; Silvio Trentin ravvisò nella debolezza della legge e del diritto le premesse per la legalizzazione della dittatura; Andrea Caffi meditò origini e vie della tradizione contro-rivoluzionaria, rivitalizzata dalla regressione socio-politica provocata dalla guerra; Nicola Chiaromonte esaminò il fenomeno delle masse e della ritualizzazione della vita collettiva; Max Ascoli ragionò sulla centralizzazione dello stato e su come essa aveva contribuito ad affievolire le libertà individuali e collettive. 

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A queste varie definizioni di fascismo corrisposero altrettante messe a punto della proposta antifascista, nella consapevolezza che non sarebbe stato sufficiente, né auspicabile, tornare a un mondo prefascista, e che bisognava invece immaginare un nuovo futuro. Se incontestabilmente gli ideali da difendere dovevano essere libertà e giustizia di contro alle ingiustizie e all’illiberale fascisti, bisognava anche trovare a tali ideali delle declinazioni concrete e pienamente positive. Quesiti ampi, talvolta veri dilemmi, vennero così sollevati. Il nazionalismo, ritenuto elemento costitutivo del fascismo nonché della crisi europea, andava combattuto con il federalismo (come per Caffi, Rosselli, Rossi, Calosso e Venturi), o col cosmopolitismo (come per Chiaromonte)? Antifascismo coincideva con antimperialismo (problema che si pose in particolare a partire dalla guerra in Etiopia)? Come rapportarsi alla guerra e all’ideale pacifista dopo il 1933, quando ogni possibilità di dialogo internazionale risultava preclusa? Sul piano economico, come pensare l’intervento statale al di là del corporativismo fascista (GL fu in questo influenzata dal “planisme” e dal neosocialismo francesi)? Il socialismo liberale di Rosselli mostra del resto come le relazioni tra antifascismo, comunismo e antitotalitarismo non siano riconducibili all’opposizione tra antifascismo rivoluzionario e antifascismo controrivoluzionario, come Marco Bresciani mette in luce fin dall’introduzione. A differenza tuttavia di quanti si sono interessati, soprattutto dopo il 1989, a GL prevalentemente come caso studio per esplorare le relazioni tra socialismo e liberalismo o le tensioni tra socialismo e totalitarismo, il lavoro di Bresciani mira piuttosto a inquadrare l’antifascismo di GL nella prospettiva internazionale che le assegnarono non solo la contingenza dell’esilio cui molti dei suoi membri furono costretti, ma anche e soprattutto l’intenso scambio intellettuale intrattenuto con autori ed opere europei (e segnatamente francesi). Emergono così i debiti verso il dibattito europeo sul superamento del marxismo; l’influenza della Fabian Society su Rosselli; la ricezione di Sorel e di Péguy; la sintonia con le rivendicazioni dei non conformisti francesi (Esprit e Emmanuel Mounier) per un uomo e una civiltà nuove; il dialogo di Venturi con Halévy, Mauss, Bataille, Caillois e Aron; e ancora, l’importanza della lettura di De Ruggiero per Rosselli durante il confino, e il ruolo giocato da Croce, che rappresentò per Ginzburg e per il gruppo torinese un importante riferimento, e che venne invece aspramente criticato da Rossi per l’idealismo, e da Mila per il rapporto alla religione. 

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L’antifascismo di GL risulta così pienamente partecipe della vasta riflessione sulla crisi di liberalismo e democrazia che prese forma tra le due guerre in seno al campo liberaldemocratico, e con la quale GL condivise del resto alcuni elementi cruciali. La spinosa questione dell’elitismo anzitutto: Caffi prima e Venturi poi, tra gli altri, non mancarono di dedicare importanti riflessioni ai rapporti tra élite intellettuale e rinnovamento culturale, tra masse e avanguardia rivoluzionaria, anche a partire dalla questione della sfasatura tra i tempi brevi dell’azione e quelli lunghi della riflessione. L’azione di Rosselli e delle reti cospirative legate a GL, attraverso le numerose riviste più o meno confidenziali (da Il Caffè e Italia libera a Non Mollare, Il Quarto Stato, etc.) pone in effetti la questione dell’elitismo culturale del loro antifascismo, e del suo rapporto alla società.

In secondo luogo, diversi intellettuali legati a GL, così come molte voci autorevoli dell’antifascismo europeo (come Benedetto Croce o Thomas Mann), articolavano la propria riflessione politica attorno a principi etici, prima ancora che strettamente politici. Non solo GL intrattenne difficili rapporti con le formazioni politiche (in particolare Concentrazione antifascista e PCd’I) e rifiutò sempre di adottare la forma politica del partito; ma soprattutto, Carlo Rosselli propugnava un “nuovo umanesimo”, convinto che la crisi di civiltà non potesse essere superata se non a mezzo di una sostanziale ricongiunzione di etica e politica; l’opera di Chiaromonte era attraversata da una tensione religioso-spirituale; e l’antifascismo di Leone Ginzburg risultava “etico”, nella sua riluttanza (condivisa da Carlo Levi) verso la politica, e nel suo impegno a immaginare e costruire una politica che potesse “liberare dalla politica”. Un simile umanesimo rappresenta l’elemento forse più profondo e vitale dell’antifascismo che i membri di GL difesero in molti casi a prezzo della vita, prospettandolo al futuro. 

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