Speciale
Il Dottor Živago
Calvino scrive in Perché leggere i classici che i classici sono quei libri di cui di solito si sente dire "sto rileggendo..." e mai "sto leggendo...."
Quello spazio è la Russia, la sua incomparabile, celebre madre, il cui nome è risuonato oltre i mari, martire testarda, stravagante, folle, adorata, dalle uscite sempre grandiose e fatali e sempre imprevedibili.
(B. Pasternak, Il dottor Živago)
“Andavano e sempre camminando…”, questo è l’incipit del romanzo. Si tratta di un corteo funebre, la sepoltura della madre del piccolo Jurij. Da grande, Jurij Živago diventerà medico (chirurgo) e poeta. Una doppia responsabilità, civile e intellettuale. E, da bravo erede della tradizione russa del percorrere a oltranza la terra sconfinata a piedi e con ogni mezzo di trasporto, spinto dalla Storia a sua volta “andrà, camminerà…” L’intreccio si concluderà con la sua morte, mentre il romanzo avrà un lungo epilogo e, inscindibile dal resto, una serie di poesie scritte da Pasternak-Živago che, ancor più di altri elementi della narrazione, confermeranno il particolare autobiografismo dell’opera. Il dialogo tra autore e personaggio è ininterrotto nelle pagine del romanzo e la soggettività del protagonista è regolarmente in primo piano nella storia. Tratto che contribuì al non apprezzamento dei critici sovietici assieme allo sguardo costantemente critico sulla Rivoluzione d’ottobre che non aderiva ai canoni dell’epoca. Gli sforzi del dottor Živago, in lotta per mantenere la propria individualità nel corso di eventi ostili, non piacquero ai censori degli anni Cinquanta chruščëviani.
Troppo note per tornarvici in dettaglio sono le vicende che portarono alla “scandalosa” (per l’URSS) pubblicazione in Italia (in russo e in traduzione, Feltrinelli, 1957) del romanzo rifiutato dalle riviste sovietiche, alla caduta in disgrazia dell’autore nel proprio Paese, al conferimento del premio Nobel (1958) e alla “volontaria” rinuncia con cui Pasternak fu invitato-costretto a rispondere. Mi ci soffermo soltanto per sottolineare come, nella Russia post-sovietico-putiniana di oggi modalità censorie, demonizzazioni di figure intellettuali non allineate e pensanti, dominio assoluto della più obnubilante propaganda siano categorie tristemente e prepotentemente tornate in auge. Un Pasternak di oggi che scrivesse di storia contemporanea (della famigerata sedicente “operazione militare speciale” in Ucraina) con gli occhi critici e lirici del dottor Živago sarebbe bollato e bandito come “agente straniero”, i suoi scritti sarebbero nuovamente condannati e sbeffeggiati senza curarsi di leggerli, analizzarli, discuterli. “Non ho letto Pasternak, ma…” era il leitmotiv che aveva caratterizzato le molteplici e standardizzate prese di posizione contro lo scrittore nei tardi anni Cinquanta sovietici. Pratica, per altro, neppure estranea a un certo ministro nell’Italia contemporanea.
Jurij, attraverso l’attività di medico e l’investimento nella poesia, si era connotato come eroe perdente ma meritevole di aver dato voce a persone che non disponevano del coraggio, della capacità o dei mezzi per esprimersi e razionalizzare. I personaggi del romanzo erano diventati testimoni partecipi agli eventi di svolta che avevano segnato la storia russo-sovietica nella prima metà del Novecento, che avevano attraversato terribili prove. Alcuni di loro erano morti, altri avevano lasciato la patria (come tanti sono stati nuovamente costretti a fare negli scorsi mesi di guerra, abbandonando un Paese che pur non si trovava nelle condizioni problematiche dell’URSS post-bellica, post-staliniana). Altri ancora avevano cercato di resistere in una società fondamentalmente nuova avendo perso il proprio precedente status e smarrito la passata esperienza culturale. La storia russa, più di altre, è fatta di corsi e ricorsi, ma soprattutto di blitz improvvisi che ribaltano la situazione e, costantemente nei secoli, fanno tabula rasa del passato imponendo un brusco cambio di direzione che scompagina (nel bene e nel male) l’ordine costituito, inducendo spaesamento tra la popolazione e ignorando gli insegnamenti della storia. Pasternak aveva assunto la missione di storico di tempi la cui immagine era stata volutamente distorta dalla storiografia sovietica ideologizzata.
Gli eventi rivoluzionari nelle pagine del romanzo apparvero in tutta la loro nuda complessità e non si adattarono a una bieca antologia con schemi di trattazioni edulcorate, spesso redatti da personaggi che non avevano studiato o vissuto gli eventi stessi, i sempre e ovunque presenti storiografi-lacché di corte. La Storia nel romanzo si presentava come forza che organizza le azioni delle persone e ne plasma i caratteri e la visione del mondo, come serie di eventi che vengono compresi e valutati dagli eroi e, infine, come legge irrevocabile dell’esistenza umana restaurata dagli sforzi della creatività da Le poesie di Jurij Živago (K. Polivanov, “Doktor Živago” kak istoričeskij roman, Tartu University Press, Tartu, 2015). Valutazioni, queste, che scaturiscono dalle persone singole, dagli individui, non dal collettivo. L’individualità dialoga con la creatività (poesia) e al pensiero critico si aggiunge l’impegno civile (medico sociale). Il dottor Živago è una persona legalmente neutrale (come medico di guerra secondo le convenzioni della Croce Rossa), che tuttavia si trova coinvolto nella battaglia a fianco dei rossi, obbligato a sparare.
Il dottore in merito ha più esitazioni e dubbi che certezze assolute, a cui aggiunge il suo complesso atteggiamento lirico e poetico che filtra ogni evento. In queste sue insicurezze non si deve vedere la debolezza del personaggio, ma la sua forza intellettuale e morale. Non dispone di arrogante risolutezza, se per risolutezza si intende la capacità di accettare soluzioni incondizionate senza valutarle, ma ha la determinazione dello spirito a non soccombere alla tentazione, tanto diffusa allora come oggi, di cedere alle attestazioni roboanti e sicure che non lasciano spazio a dubbi produttivi. Non a caso Amleto è la prima poesia del ciclo poetico che chiude, indissolubile dal resto della narrazione, il romanzo. Per Pasternak Amleto non è il dramma della mancanza di carattere, ma la tragedia del dovere e dell’abnegazione. Secondo gli ideali dell’autore del romanzo, l’eroe come un vero intellettuale (intelligent) è pronto a portare avanti la sua missione che consiste nell’opporsi alle menzogne e all’ostilità circostanti, fino alla fine, in modo responsabile e attento. Strel’nikov, rivoluzionario e marito di Lara, è, invece, l’incarnazione della fermezza, la personificazione del desiderio di agire alacremente. Il suo treno blindato si sposta ovunque con la velocità che ha a disposizione, schiacciando senza pietà ogni resistenza alla rivoluzione.
Tutt’intorno ai fatti storici e ai personaggi c’è la Russia, piena di contraddizioni, di aspettative, di devastazione e di bellezza. Živago l’accetta con un attaccamento che causa in lui grande sofferenza. La natura russa, sublime, inquietante ma consolatoria nel suo mutevole e rassicurante ciclo stagionale, è presenza costante nei vagabondaggi spasmodici del protagonista. La “grande strada” che attraversa e allaccia l’intero Paese nelle pagine del romanzo procede in parallelo con il divenire della natura e risente degli influssi della Storia.
La strada viveva come una sola famiglia. Si conoscevano e si imparentavano città con città, paese con paese. […] Dai giardini, dove i meli nani erano tutti in germoglio, sporgevano prodigiosamente sulla strada, attraverso gli steccati, i rami, da cui le gocce cadevano in un picchiettio irregolare sui marciapiedi di legno. (pp. 318, 320)
La grande strada è parte di un sistema, come pure la ferrovia che, anche quando la sua funzionalità viene meno, notevole responsabilità occupa nel romanzo: le vie di comunicazione tracciate inizialmente seguendo l’andamento del paesaggio, assecondando la natura, poi progressivamente violandola sempre più, stanno per lo spazio aperto culturalizzato dall’uomo su cui la natura ancora rivendica priorità territoriali cancellando con violenti fenomeni atmosferici i percorsi segnati sul suolo mentre la Storia, a sua volta, agisce e infierisce con le sue conquiste e le sue violenze. Živago non è mai dimentico della tradizione folclorica e popolare nelle sue composite peregrinazioni in cui si alternano contemplazioni rapite della possanza della natura, capace di essere anche spaventosa nella sua inafferrabile bellezza, a ricerche di rifugi negli spazi chiusi di tante case (persino il treno si fa “casa”), con tali coincidenze e ritorni di inquilini che talora risultano addirittura eccessive. Forze naturali e animali, dentro e intorno a quelle residenze, acquisiscono la valenza di simboli che dialogano con l’intreccio e si connotano come presagi dell’incedere del destino e della Storia.
I lupi che ululavano sotto la neve nelle notti di Varykino, “forze avverse” che impedivano al poeta di scrivere e annunciavano all’uomo l’imminente separazione con chi gli era caro. I topi che avevano invaso la casa dove viveva Lara e la campagna intorno a Mosca ove spadroneggiavano indisturbati dopo l’alternanza degli eventi politici. In parallelo, la potenza estetica e spirituale del disgelo, della tormenta, dei profumi degli alberi, stava per l’oggi quasi dimenticata categoria del sublime che aveva improntato di sé secoli di conflittuali rapporti tra uomo e natura nella cultura russa.
Anche le figure femminili, e le relazioni che le legano a Živago, non si possono distaccare dalla Storia, dalla politica, dal Paese in ogni sua connotazione.
Piangendo per Lara, Jurij Andreevič piangeva anche quella lontana estate a Meljuzeev, quando la rivoluzione era il Dio d’allora, sceso dal cielo sulla terra, il Dio di quell’estate, e ognuno impazziva a suo modo, e la vita di ognuno si svolgeva liberamente, non secondo un’illustrazione didascalica a conferma della giustezza della politica suprema. (p. 468)
Lara e Tonja, fondamentali tra le donne della sua vita: l’amore “di famiglia” per la moglie Tonja, profondo quanto dovuto, ma responsabile, tradito e gravoso. Quello passionale, travolgente, conturbante per Lara, l’amante. Poi subentrerà Marina, scontato e inevitabile adeguamento alla nuova realtà sovietica. Non si possono però ridurre questi rapporti alla stregua di un romanzetto sentimentale, come ha fatto una famosa versione cinematografica del romanzo (D. Lean, Doctor Zhivago, Metro-Goldwyn-Mayer, 1965) che ha consegnato quest’ultimo al mondo come una ridda di emozioni amorose cullate da oleografiche immagini di pseudo Russia pittoresca sulla struggente onda del Tema di Lara (M. Jarre, Lara’s Theme, 1965). L’invalsa pratica delle semplificazioni rimanda al discorso sulle propagande, quella sovietica più vuota e altisonante che Jurij Živago aveva combattuto con ogni sua forza, e quella che oggi continua a imperversare (in Russia, ma non solo), frutto della riduzione di strumenti critici, del prosperare di banalità scintillanti, della mancanza di approfondimenti, di sguardi analitici, di dubbi costruttivi. Categorie impegnative che governi totalitari e governi beceri hanno sempre combattuto in favore delle certezze assolute, dello sciovinismo, della retorica facile, gradevole e frastornante. Ricorrente nelle pagine di Pasternak è il fastidio procurato al poeta-medico da ogni forma di magniloquenza, esternazione vistosa, mediocrità.
Che cosa m’impedisce di svolgere un lavoro costante, di fare il medico e di scrivere? Credo non siano le privazioni e gli spostamenti, la provvisorietà e i frequenti mutamenti, ma il prevalere ai nostri giorni d’una rettorica altisonante, ovunque diffusa, tipo ‘l’aurora dell’avvenire’, ‘la costruzione del mondo nuovo’, ‘il faro dell’umanità’. Davanti a questo, in un primo momento si pensa: che fantasia, che ricchezza! Ma in realtà non è che magniloquenza per mancanza di talento.
(Ri)leggere Il Dottor Živago con occhi bene aperti, indagatori e seriamente documentati sulla Russia odierna (e sul resto del mondo che la circonda) potrebbe costituire un valido aiuto nel tentativo di comprensione dell’ennesimo blitz in corso nella storia di quel Paese e di realtà ideologicamente problematiche altrove.
Alla gran maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. (p. 498)
(B. Pasternak, Il dottor Živago, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, seconda edizione digitale, 2018. Le citazioni indicano il numero di pagine relativo a questa edizione.)
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