Il futuro è il «visual journalist»

30 Ottobre 2013

I giornali saranno salvati da Otto Neurath. Noto soprattutto come filosofo della scienza, tra i fondatori del Circolo di Vienna, estensore (insieme a Hahn e Carnap) del manifesto dell'empirismo logico, Neurath fu anche sociologo, agitatore politico e artefice di un tentativo di costruzione di un linguaggio universale. Programma fondato filosoficamente nei suoi scritti degli anni Trenta sugli enunciati protocollari, sviluppato con la direzione della International Encyclopedia of Unified Science e l'ideazione di un sistema detto Isotype, un metodo per la visualizzazione delle statistiche basato sui pittogrammi disegnati dal grafico Gerd Arntz. Che cosa c'entra con quotidiani e magazine? C'entra.

 

Anche perché Neurath cercò di diffondere Isotype attraverso alcune riviste. Come Fernunterricht, pubblicata all'inizio degli anni Trenta, il nome della testata sta per «apprendimento a distanza». Una pubblicazione dedicata a tutti coloro che volessero acquisire nuova conoscenza. Se non tutti avessero avuto tempo e energia per raccogliere in modo sistematico le informazioni necessarie, ci avrebbe pensato Fernunterricht a colmare le lacune. Statistiche illustrate in modo chiaro, testi brevi, linguaggio semplice. Non dovrebbe essere il compito dei giornali anche oggi, in tempi di big data? Scriveva Neurath: «L'educazione visiva è collegata all'estensione della democrazia intellettuale all'interno delle singole comunità e dell'intera umanità. Per una società democratica è importante avere un linguaggio comune».

 

 

Potrebbe sorprendere il riferimento al pensatore austriaco del secolo scorso in un libro che passa in rassegna i prodotti più avanzati nel settore del design delle notizie di oggi. Eppure lo troviamo citato in Designing News: Changing the World of Editorial Design and Information Graphics, volume pubblicato dalla casa editrice tedesca Gestalten. Il titolo in italiano andrebbe tradotto con «Progettare le notizie». L'autore è Francesco Franchi, 31 anni, pluripremiato art director del mensile IL de Il sole 24 ore dal 2008. «Scrivere non basta più», è la convinzione di Franchi. «Combinare linguaggi diversi per aumentare la conoscenza e la comprensione è la grande sfida del nostro tempo», aggiunge. Sembra proprio l'impresa cui mirava Neurath. Ed è quello che tentano di fare oggi in alcune delle redazioni più consapevoli.

 

 

Per esempio, sfogliando Designing News, subito dopo le pagine su Fernunterricht, troviamo Steve Duenes, capo degli infografici del New York Times che spiega il caso «Snow fall». Progetto multimediale interattivo premiato col Pulitzer nel 2012, giudicato da molti il punto più alto della sperimentazione nel giornalismo online. «La distinzione tra grafico e giornalista è da superare. Il futuro è dei visual journalists persone che hanno lavorato sia come reporter sia come designer. Curare i contenuti e curare la grafica sono compiti che si sovrappongono», scrive Duenes. E sembra di risentire proprio Neurath che a inizio Novecento avvertiva l'esigenza di «un particolare specialista» che, come ricorda Franchi fosse responsabile del legame fra ciò che va detto e il come dirlo, uno «specialista dell’Aufklärung», inteso come Illuminismo ma soprattutto nell'accezione comune di “spiegare” o “chiarire”.

 

 

Nel libro di Franchi sono raccolti gli interventi dei migliori tra i contemporanei specialisti della chiarificazione nel giornalismo visivo. Oltre a Duenes troviamo Mark Porter del Guardian, Richard Turley di Bloomberg Businessweek, Daniele Codega della Reuters e altri. «Per un designer, quello che stiamo vivendo, è forse il momento più interessante e stimolante in cui ci si possa trovare a lavorare in una redazione», scrive Franchi. Alle prese con nuove piattaforme, nuove strumenti, nuove soluzioni tecnologiche, per definire il ruolo del designer Franchi si serve di due definizioni non nuove. Una di Le Corbusier, che si rivolgeva così ai suoi studenti: «siete degli organizzatori, non degli stilisti con un tavolo da disegno». L'altra di Munari: «un designer è un progettista con senso estetico, che lavora per la comunità».

 

 

Profili di questo tipo dovrebbero avere un ruolo cruciale nelle nuove redazioni. Con un compito preciso: ripensare i giornali, non semplicemente ridisegnarli. In tutto il libro c'è una netta contrapposizione tra restyling e rethinking. Osserviamo con una certa frequenza esempi del primo caso. Nei giornali italiani di solito avviene quando cambia il direttore. Passa qualche settimana o mese e arriva il restyling. In genere la parola fa pensare al restauro. Quello dei mobili antichi. Si rimuove una certa patina, si passa una mano di smalto, la credenza di nonna torna come nuova e siamo tutti contenti.

 

 

Coi giornali non funziona così. I media hanno bisogno di essere ripensati, non restaurati. La consapevolezza è ormai arrivata anche ai piani alti. Si veda il recente memo di Lionel Barber ai giornalisti del Financial Times in cui parla di «un’opportunità entusiasmante ma anche impegnativa per tutti i giornalisti. Che comporta nuovi cambiamenti nel modo di lavorare, un significativo rimodellamento del giornale». Oppure l'annuncio del nuovo piano editoriale del Corriere della sera: «È necessario un ripensamento più radicale», si legge.

 

 

Già, ma come far sì che questo ripensamento avvenga? Secondo Franchi ci vuole «una nuova epistemologia professionale». Alla base della quale l'autore pone una teoria dei processi decisionali diversa da quella rigidamente gerarchica applicata di solito nelle redazioni tradizionali. Le decisioni dovrebbero essere fondate piuttosto su mutui aggiustamenti e continue comparazioni delle diverse posizioni in campo. Un processo  privo di centro, esemplificato in alcune redazioni, come quella di Bloomberg Businessweek raccontata da Turley: «Giornalisti e grafici lavorano fianco a fianco.

 

Un'insolita geografia in cui ciascuno comprende meglio le ragioni dell'altro. Le distinzioni tra i settori sono molto labili, e le persone che fanno da pontieri tra le divisioni delle sezioni». Dovrebbe formarsi così un nuovo tipo di professionista. Attraverso la «riflessione nel corso dell'azione», ricorda Franchi. Alla fine torna in mente Neurath, quando scriveva nel 1936 a proposito della realizzazione del suo utopistico progetto di linguaggio universale: «Una serie di persone hanno contribuito alla costruzione del sistema; alcuni di loro lavorano insieme oggi come gruppo principale». E aggiungeva: «è stato possibile dare inizio a un simile linguaggio solo dopo la nascita di un’organizzazione nella quale un gruppo di persone di formazione diversa aveva avuto modo di lavorare insieme per anni».

 

Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata su Il manifesto del 23 ottobre 2013

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