La logica dell'autoinganno
L'insetto stecco (nome scientifico Phasmatodea, ordine dei fasmidi) esiste da almeno 50 milioni di anni. Questa particolare forma di vita ha dedicato migliaia di millenni a uno scopo: mentire. Fingersi altro da ciò che è. Nel corso del tempo ha sviluppato sembianze simili a quelle di 3000 specie di steli e fuscelli e di 30 varietà di foglie. La somiglianza con i modelli imitati è impressionante. Appaiono come bastoncini o foglie, sono insetti. La forma attuale è il risultato di una forte pressione evolutiva a favore di un corpo lungo e a sottile. Per far stare gli organi interni in uno spazio sempre più piccolo, spesso un elemento di una coppia di organi è stato sacrificato, lasciando un solo rene, un solo ovaio, un solo testicolo. Chi glielo ha fatto fare? La potenza dell'inganno. Una forza in grado di modificare le apparenze esterne di un organismo. A costo di rimodellare anche ciò che si trova all'interno.
(Chi volesse cercare conferme più vicine a noi sulla persistenza dell'inganno, ha a disposizione l'ultimo Almanacco Guanda, intitolato appunto La bugia. Non si parla di artropodi ma dell'Italia, come spiega il sottotitolo: «un’arte italiana: imbrogli privati, menzogne politiche». I saggi vanno dalla politica al cinema, dalla teologia allo sport. L'Italia si segnala soprattutto per una specialità: «La pratica sempre più invadente del parlare senza dire», come la definisce nel suo intervento Luciano Canfora. «Il punto più sofisticato cui può spingersi l’uso politico della menzogna». Si veda la recente comparsa nel dibattito pubblico di espressioni come “agibilità politica”, “clemenza”, “pacificazione”. «Calcolate – suggestive, melodrammatiche, ambiguamente vittimistiche e spesso ipocrite – distorsioni retoriche», afferma Marzio Breda. Virtuosismi della bugia, strategie elaborate in secoli di evoluzione linguistica. Il curatore, Ranieri Polese, osserva: «Qui non solo si dicono le bugie, come dappertutto, ma anche si ha una grande tolleranza per i bugiardi». La peculiarità italiana, infatti, è la reazione alle menzogne, non la quantità di falsità prodotte).
«L'inganno è ovunque», conferma Robert Trivers, biologo evoluzionista, tra i padri della sociobiologia, ricordando proprio il caso dello stecco nel suo ultimo saggio La follia degli stolti: La logica dell'inganno e dell'autoinganno nella vita umana (Einaudi, 2013). «L'inganno – continua il biologo – è una caratteristica molto profonda della vita. Si manifesta a tutti i livelli, dal gene alla cellula, dall'individuo al gruppo». Non solo: «è praticato dai virus, dai batteri, dalle piante, dagli insetti e da una vasta gamma di altri animali».
Le conclusioni di Trivers ricordano quanto scriveva quasi mezzo secolo fa Giorgio Manganelli ne La letteratura come menzogna: «Vi sono animali di capzioso pelame, sui cui volti aguzzi e astratti deretani splende un dizionario di miniate immagini. Il loro corpo è saldato e assistito da una sintassi di segni; una rete di avventurose isoglosse, sgargianti e silenziose, fa di membra casuali un discorso, un estro artificiale». Questo è il modo in cui mentono gli animali. Il capzioso pelame degli uomini invece è il linguaggio. Un manto di cui non possiamo liberarci. «Così come il mandrillo non può mortificare la retorica delle sue chiappe policrome, così non potremo toglierci di dosso, deliziosa maledizione, questo pieghevole vello di verbi», annotava Manganelli.
Il particolare modo in cui ci serviamo del linguaggio per mentire è raccontato con tono scanzonato e divulgativo dal giornalista inglese Ian Leslie in Bugiardi nati: Perché non possiamo vivere senza mentire (Bollati Boringhieri). Leslie nota innanzitutto che, quando parliamo di bugie, «i bugiardi, naturalmente, sono sempre gli altri». Funziona così: «Non importa da che parte stiate in queste diatribe. La grammatica di base è sempre la stessa: io dico la verità, tu cerchi di abbindolarmi con le storie che cuci a tua misura».
La contraddizione è evidente. Da un lato continuiamo a rappresentarci un mondo in cui siamo circondati di mentitori, dall’altro ciascuno di noi non è disposto ad ammettere di far parte della cerchia. Come si spiega? Leslie si sofferma su un atteggiamento: «Le persone sanno convincersi della propria bontà anche mentre compiono le peggiori azioni immaginabili. I kamikaze uccidono centinaia di innocenti eppure muoiono convinti di andare in paradiso. I mafiosi siciliani si reputano buoni cattolici, che uccidono durante la settimana e santificano le feste», osserva il giornalista londinese.
Allo stesso modo quando mentiamo possiamo tranquillamente essere convinti della nostra piena sincerità. Su questo punto Trivers e Leslie sono d'accordo: prima di ingannare gli altri, ci inganniamo in prima persona. «Immagazziniamo informazioni corrette su noi stessi e il mondo, ma le teniamo nascoste nel subconscio», afferma Leslie.
Un comportamento, all'apparenza autolesionista, su cui il biologo Trivers si è interrogato a lungo. «Sembrava che al centro della vita mentale vi fosse una singolare contraddizione: noi essere umani andiamo in cerca di informazioni e poi facciamo in modo di distruggerle», si legge in La follia degli stolti. Perché lo facciamo? Perché prima di mentire, ci neghiamo la verità? «Nella nostra specie, l'inganno e l'autoinganno sono due facce della stessa medaglia. Ciascuno dei due alimenta l'altro», risponde Trivers. Mutiamo le nostre sembianze esterne per ingannare gli altri, per farlo cambiamo anche noi stessi. Come fasmidi.
Una prima versione di questo articolo è uscita su La Lettura del Corriere della Sera