Sono solo parole?
In principio venne il corvo. E da un corvo, si sa, non può venire niente di buono. Siracusa, 465 avanti Cristo, cade la tirannia del sanguinario Trasibulo. Gli abitanti della polis sperimentano libertà cui non erano abituati. Una primavera siracusana, diciamo, due millenni e mezzo prima di quelle arabe. Le controversie non vengono più risolte dal sovrano ma attraverso discussioni pubbliche. A questo punto fa il suo ingresso in scena Corace (Corax, corvo, appunto). Insegna l'arte di elaborare discorsi persuasivi. Regola base: il sembrare vero conta più dell'essere vero. Per prevalere nelle controversie ci vogliono quelli come lui. Nasce così la retorica. Mali corvi malum ovum. Da un cattivo corvo, un cattivo uovo. Si potrebbe pensare leggendo alcuni titoli: «Basta retorica della crescita», «Criminalità: i dati smentiscono la retorica», «Non è più tempo di retorica». Per come ne parliamo oggi, la retorica sembra una gran brutta cosa.
L'uovo di Corace viene associato a falsità, inganno, parole vuote. «Fare retorica» è poi una delle peggiori accuse si possano fare a un politico. Lo sa bene Obama, che se lo sente dire almeno dal 2008. «Uno buono solo con le parole», è stato spesso definito dai repubblicani.
Non la pensa così Sam Leith, giornalista e scrittore inglese, autore di Fare colpo con le parole: Trattato spregiudicato di retorica da Aristotele a Obama (Ponte alle grazie 2013. In originale: You Talkin' to me: Rhetoric from Aristotle to Obama, Profile Books, 2011). «La retorica è il linguaggio in gioco, linguaggio al quadrato. È ciò che persuade e blandisce, ispira e raggira, avvince e svia. Condanna i criminali e poi li libera in appello.
Crea e distrugge i governi», scrive Leith. E ricorda che il giudizio negativo è figlio di una confusione che risale almeno a Platone: quella tra retorica tout court e cattiva retorica. Socrate nel Gorgia afferma «la retorica non conosce i contenuti (...) non ha nessuna razionale comprensione della natura delle cose cui si riferisce». Figli dello stesso pregiudizio sono i professionisti dell'antiretorica, quelli per cui «sporcarsi le mani» è meglio che parlare. «Ma la critica della retorica non è che un'altra mossa retorica», sostiene Leith. «Perché ogni discorso può essere compreso come retorico, in un modo o nell'altro, sia considerato in sé, sia preso nel contesto in cui viene pronunciato».
Spiegare che cos'è la retorica è come spiegare ai pesci che cos'è l'acqua. Come avviene nella nota storiella, Leith si assume il ruolo del pesce esperto che spiega ai pesci inesperti che cosa diavolo è la sostanza in cui sono immersi. Lo stile è volutamente leggero e non accademico. Si può misurare la distanza da un saggio recente italiano sull'argomento (Bice Mortara Garavelli, Prima lezione di retorica, Laterza, 2011) elencando i testi presi in esame dai rispettivi autori. Mortara Garavelli parte da Nietzsche, Benvenuto Terracini, Galileo, Borges, Fumaroli. Come incipit del libro di Leith troviamo invece i Simpson. Si prosegue con Sarah Palin, gli AC/DC, Kate Moss, i Radiohead, Bob Dylan, Aaron Sorkin e le pubblicità dei supermercati. Non che a Leith manchi la conoscenza dei classici. I topoi della retorica antica vengono riletti attraverso testi più recenti.
Per esempio, si fa notare che i panegirici di Isocrate e l'encomio a Elena di Gorgia hanno molti punti in comune con la canzoncina, tratta dal film di South Park del 1999, «Kyle's mom's a bitch». Nel componimento cantato dal piccolo Cartman, infatti, la figura dominante è l'epistrofe, ovvero la ripetizione di una parola o di una frase alla fine di una proposizione o di un verso, evidente sin dai primi versi: «Kyle's mom's a bitch! / She's a big fat bitch! / She's the biggest bitch in the world». Leith non manca di far notare anche il climax e l'iperbole del terzo verso. Fino alla conclusione, una virtuosistica epizeusi: «She's a bitch» viene ripetuto per ben quindici volte consecutive.
E ancora: la celebre fotografia di Kate Moss sorpresa ad assumere droghe pesanti, è l'occasione per illustrare il concetto di ethos aristotelico. Mentre la dylaniana The Times They Are a-Changin viene utilizzata per spiegare che cos'è l'hysteron proteron. I capitoli sono intervallati da una galleria di «maestri della retorica». Si parte da Cicerone ma si prosegue con Lincoln, Churchill, Hitler e Martin Luther King, per arrivare proprio a Obama (e ai suoi speech-writer).
Sono solo parole? E che cos'altro volete che siano? Sembra chiedersi Leith. Il suo libro è uscito a maggio anche in edizione americana con un titolo più esplicito: Words like loaded pistols. Parole come pistole cariche. Una similitudine è decisamente meglio di vere armi da fuoco; in una democrazia ci si serve delle parole, e solo di quelle. Chiede Leith: «Che cos'è la democrazia se non l'idea che l'arte della persuasione debba essere formalmente posta al centro del processo politico? Cos'è la legge se non il modo di dare formalmente forza alle parole? Che cos'è un parlamento se non il posto dove l'arte della persuasione dà forma alla civiltà?». Domande retoriche? Farebbero meglio a porsele più spesso i professionisti dell'antiretorica.
Una prima versione di questo articolo è uscita per IL