Il ritorno di Ottiero Ottieri
Ottiero Ottieri è stato un grande scrittore italiano, accompagnato dalla rinomanza di inclassificabile. Sul sito a lui intestato c’è un bellissimo ritratto di sua figlia Maria Pace che esaurisce le informazioni che lo spazio di un ritratto può soddisfare, ed è lì che vi rimandiamo. Prima di parlare di Improvvisa la vita (Guanda, 2023), è indispensabile però una rapidissima contestualizzazione: è il libro di un autore di 63 anni, il quale quasi trent’anni prima ha inaugurato – o, secondo alcuni, fondato – il genere del romanzo industriale con Donnarumma all’assalto, appena ristampato da Utopia Editore, e che 18 anni prima, nel 1969, ha scritto un romanzo breve con un titolo molto fortunato I divini mondani che descrive quella parte della luna che Donnarumma non vedrà mai. Donnarumma è un aspirante operaio meridionale che affronta la trafila per entrare in fabbrica, mentre i divini mondani sono all’oscuro dell’esistenza di aspiranti operai meridionali. La complessità di Ottieri sta nel fatto che si sia permesso di frequentare anche un terzo filone, quello del racconto psicanalitico e amoroso, e poi abbia pubblicato poesie e poemetti – compreso Storia del PSI, nel centenario della sua nascita – e altre opere più complesse e frammentarie.
Improvvisa la vita racconta di un cinquantenne funzionario editoriale originario di Brindisi – piccolo colpo di realismo – trapiantato a Milano, condizionato da un problema fisico: un ventre prominente che gli rende difficile la relazione con le donne. Per eliminare questo handicap, impegna i suoi risparmi in un viaggio di salute in una clinica digiunista spagnola, dove estinguerà la sua pinguedine. Nelle more della permanenza nella struttura salutista, Alberto si occupa principalmente di amore e di seduzione. Cerca di corteggiare, sedurre e amare quasi indiscriminatamente tutte le donne che incontra, con diverse gradazioni di finalità e di interesse dettate esclusivamente da questioni fisiche. No coscettose, no sederose, no troppo giovani né troppo coetanee. Dopo alcune peripezie parasentimentali, perché al fondo Alberto non è capace di amare, comincia una inattesa relazione con una donna bellissima, una olandese di una trentina d’anni, cui attribuisce prerogative mondane (divine…) che si riveleranno infondate: non è un’aristocratica, né un’ereditiera, è una ex segretaria che ha sposato il suo capo.
Che cosa succede nella storia con Els? Un piccolo disastro materiale. Els, bellissima, ma dopotutto frivola, insignificante, fedifraga, come nella tradizione degli amori vacanzieri, suscita in lui un’emotività che scaturisce dall’inattesa imprevedibile sproporzionata conquista. L’infatuazione si cristallizza e Alberto non riesce a far l’amore con lei. Non scatta l’elemento meccanico della sessualità maschile. Nella prefazione, Emanuele Trevi descrive perfettamente la dinamica psicologica del blocco maschile. Alberto si incarta in questo amore contemplativo e impotente, e cerca un’insensata conferma di sé in un passaggio estremamente maschile del racconto: per provare a se stesso di essere virile sceglie una prostituta nel catalogo dell’albergo in cui soggiorna e tutto va perfettamente bene. Di nuovo: consultare la freudiana, chiarissima, prefazione di Trevi. Il romanzo si conclude drammaticamente con la morte di Alberto, travolto da un autobus a Madrid.
L’ultimo mese della vita di Alberto – il tempo in cui si snoda il romanzo – si svolge tutto all’estero, tra la Spagna e l’Africa, lontano dalla detestata Milano, dal padre alzheimeriano che immagina lunghe telefonate con Mussolini, dall’orrore per il routinario e insopportabile lavoro editoriale. È un estero non necessitato, non politico o migratorio. È un estero sensuale, come in Durrell, come in Lowry, Greene, Bowles, in cui sesso e morte si rincorrono in una malinconia poetica, distruttiva, tendenzialmente anziana. Questo aspetto emerge sin dalle prime pagine del libro, come tratto non italiano del grande scrittore italiano, solo un po’ corretto da un vigile senso del grottesco che tiene sempre sotto controllo la creatura romanzesca e la psicologia di Alberto. L’esotismo sensuale e molto occidentalista è la chiave per descrivere la Marbella degli anni 70, Puerto Banus, la parte finale del franchismo e l’avvio del post-franchismo appena accennati: tutto in un sottotesto molto snob e socialmente informato, ma senza mai citazioni dirette o racconti, salva una incursione di realtà, un po’ inspiegabile, quando Lucia Bosé invita a cena il protagonista nelle ultime pagine del romanzo. Alberto comunque declina l’invito. Questa sfumatura di socialità consapevole e di stile internazionale appare fugace, ma uniformemente distribuita nel racconto. A un certo punto, Claudia, la donna con cui ha stretto amicizia nella clinica digiunista le dice che il suo amante le ha scritto da Capri. E perché è andato proprio a Capri? Chiede Alberto. Perché Capri è un posto che gli piace, risponde lei. Unica risposta possibile, soprattutto per chi vuol bene a Capri.
Dopo questo romanzo, Ottieri scrisse molte altre cose con un ritmo creativo e di lavoro molto intenso. A volte, sembra che la responsabilità dell’ufficio di selezione del personale presso lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli – fase della vita da cui nacquero Donnarumma all’assalto e Tempi stretti – per l’influenza che esercitò sull’analisi dell’industrialismo italiano e sulla bibliografia generale dell’industrialismo italiano, abbia sovrastato la fortuna dello scrittore che egli fu successivamente. Improvvisa la vita è una di quelle buone occasioni per dedicarsi a Ottieri e rileggerlo a ritroso. C’è una invogliante frase di Silvio Perrella sul suo conto: “Scalpita davanti a una letteratura per letterati”.