Speciale

Il teatro del no

5 Marzo 2023

Vi è comunemente un sentimento di negatività che accompagna la parola e l’idea di Negazione.

Sigmund Freud mette in evidenza che una negazione sia di fatto una forma di affermazione. In effetti negazione traduce il greco Apofasis e significa discorso contro, contrario, contrapposto. Negazione col suo valore di diniego, disconoscimento, rifiuto, si contrappone a qualcosa che è già posto. Negazione si contrappone ad accettazione, affermazione, assenso, asserzione, consenso. Perché ci sia una negazione occorre che ci sia prima una affermazione. Dopotutto non è detto che la Negazione, in quanto antitesi, sia di valore inferiore e necessariamente negativo rispetto a quanto posto e affermato.

Negazione è una affermazione (uguale? e) contraria a qualcosa di già affermato e in qualche modo (in senso cronologico?) presa in considerazione o apparsa per seconda. Un fatto, un concetto, una verità viene posta e la Negazione vi si contrappone. Nella antica Tebe, Eteocle difende la Città dalla aggressione armata di Polinice. Per la Città il sovrano è baluardo di difesa. Eteocle, tuttavia, è fratello di Polinice. Sono entrambi figli di Edipo. Alla morte del padre hanno giurato che per il bene della Città se ne prenderanno cura governandola sette anni per ciascuno. Al settimo anno, tuttavia, Eteocle non rispetta l’accordo e non permette a Polinice di prendere il trono. Polinice rivendica ciò che gli spetta di diritto, e con le armi si contrappone al fratello per avere rispettata la sua ragione e il bene della Città.

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La questione del diritto, del giusto, del bene si evidenziano in questa vicenda in maniera emblematica e Eschilo ne trae una famosa e magnifica tragedia che trova il suo compimento nell’uccisione reciproca dei due fratelli. Ciascuna posizione afferma il proprio diritto e si contrappone all’altra e la questione fra Bene e Diritto resta spaccata in due con la sua insolubile antitesi a interrogarci.

Vorrei qui rammentare anche la questione di Antigone che si contrappone a Creonte ancora una volta nel principio di affermazione di diritti che si negano l’uno con l’altro, il diritto della Città, normato da leggi che respingono il nemico in ogni forma, e il diritto del sangue, che a un fratello, Polinice, intende dare sepoltura per quanto si sia contrapposto alla città in armi. E ancora Oreste, dilaniato fra il dovere di vendicare il proprio padre Agamennone, e il dovere di rispettare la propria madre, Clitennestra, che quel padre ha tuttavia assassinato.

La contrapposizione dialettica, la negazione delle due verità una contro l’altra, è tale che in questo caso si sconfina nella pazzia e l’unica ricomposizione possibile sarà in un giudizio in tribunale (il primo tribunale della Storia), ma con l’intervento diretto di una divinità. Nel Teatro greco la ricomposizione di questioni di principio di fatto è provvisoria: va di volta in volta declinata, ricontestualizzata secondo i rinnovati o differenti contesti. E chiede di prendere posizione. A chi agisce in scena, ma anche a chi la scena la guarda. Apre nuovi interrogativi.

Questo è forse il dono più prezioso che riceviamo dagli antichi (e cito qui a maggior riferimento il ragionamento di Luciano Canfora in Gli Antichi ci riguardano, Il Mulino, 2014). Ai Greci dobbiamo il Teatro. Non luogo di finzione nel senso di un allontanamento dalla verità (sua negazione!), bensì luogo dove un pensiero dialettico trova concreta attuazione in azioni. Che si contrappongono. Non c’è Teatro senza conflitto. Nel Teatro Greco la dialettica delle posizioni è sinteticamente, scientificamente espressa dalla contrapposizione di due identità, idee, posizioni politiche in contrasto che si affermano appunto negandosi reciprocamente. Il Teatro luogo di osservazione (Theaomai) e speculazione per eccellenza, pone davanti a chi guarda (lo spettatore) questioni che troveranno ricomposizione momentanea, nel breve giro di tempo di una azione drammatica, ma lasceranno aperte domande senza asserzioni dogmatiche definitive. Specchio alla Realtà, non per rovesciarla, bensì per inquadrarla in una cornice che ne consenta lettura critica.

Un luogo dove la mente e la coscienza della città sono chiamate in causa per ricostruire di fronte a fatti – e non a narrazioni secondo un unico punto di vista – la propria posizione etica, il proprio punto di vista. Il Teatro, mezzo educativo per eccellenza trova linfa imprescindibile nella Negazione che si evidenzia come strumento dialettico, spazio di riflessione, stimolo alla costruzione di posizioni etiche e politiche, dove la mancanza di consenso aprioristico e acritico ci restituisce a un senso di responsabilità diretta, coltivato come seme per un accrescimento democratico.

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