In politica non c'è il destino

10 Dicembre 2024

La sensazione è che si sia aperta definitivamente una stagione che obbliga a prendere le misure del nostro presente, che non è più solo una parentesi ma costituisce l’inaugurazione complessiva di un nuovo tempo connotato da nuove sensibilità.

Indagare queste sensibilità vuol dire preliminarmente scavare nelle parole, nel loro uso e nei significati – e dunque nelle associazioni di immagine e nelle emozioni, ma anche nelle convinzioni – che costituiscono il palinsesto culturale, emozionale, del tempo ora. Soprattutto si tratta di scavare e indagare il processo che ha trasformato parole e significati, prima associati a un profilo culturale che si collocava a sinistra o in area democratica, ma che ora sembrano essersi ricollocati a destra.

Per far questo dobbiamo considerare il nostro come un nuovo tempo politico dove dominante è la destra, che obbliga coloro che si collocano a sinistra a ripensare profondamente il proprio vocabolario e a dare nuovi assetti di contenuto alle immagini che associamo a parole come democrazia, maggioranza, comunità, impegno politico.

Non è la prima volta che capita. Forse fare tesoro di riflessioni culturali che hanno caratterizzato fasi simili nel passato non lontano serve a darsi non delle soluzioni, ma certamente a individuare delle procedure. Potremmo prendere come esempio il laboratorio che Lucien Febvre propone di aprire nella Francia occupata dai nazisti in un testo pubblicato nel giugno 1941 sulla rivista che dirigeva, “Annales d’Histoire Sociale”. Si intitola La sensibilité et l’histoire (ora leggibile qui, pp. 192-207). Primavera 1941. Lucien Febvre è convinto che la Francia sia un Paese da «riscoprire». La nuova Francia di Vichy fa emergere il sottotesto non dichiarato, ma profondamente radicato nell’immaginario sociale e popolare, che obbliga a ripensare il profilo e la fisionomia della cultura nazionale che la nuova condizione fa emergere.

Bisogna scavare nella Francia e capire quel profilo, capire le sensibilità che fanno risaltare una realtà politica oltre la scelta collaborazionista – ovvero che la Francia di Vichy non è né un bluff, né un equivoco o un misunderstanding. Esiste, è una realtà, non una vacanza ed esprime il desiderio di un nuovo ordine. Ma per capire la consistenza di quella Francia, non è possibile auspicare la ripresa della propria tradizione democratica, occorre servirsi di molti strumenti di indagine. Tra questi Febvre ne indica tre: la letteratura, ovvero la lingua culturale con tutto ciò che essa significa nelle figure e emozioni che essa codifica (e dunque l’idea di panico, di dolore, di letizia, di solidarietà di amicizia/ostilità…);l’arte, capace in tutte le sue forme di dare immagine, parole, suoni, emozioni, che aiutino a costruire percorsi che ricreano (ovvero riscrivono) il sentimento di essere nazione; la filosofia e con essa il credo religioso, i catechismi civili, da cui, per esempio, discendono quale idea di ordine sia auspicata e richiesta in un tempo. Si tratta di una versione rinnovata di educazione civica.

Tutti percorsi il cui fine è costruire appartenenza e dunque riscrivere una nuova idea e una nuova immagine di comunità. Idea e immagine che discendono e allo stesso tempo producono nuovi significati di parole già presenti nel vocabolario nazionale: identità culturale, nazione, comunità, tradizione. Un cantiere in cui eventualmente a cambiare sono le date pubbliche, compresi gli anniversari e le celebrazioni del passato incaricate di rappresentare quei contenuti. Il tema non è se prima la nazione non era presente in quel calendario, ma se l’idea di nazione che ora è egemone sia o meno espressa dalla data del precedente calendario civile o se, invece, occorra, se non sostituirla, silenziarla e dare voce a una data diversa, capace di comunicare il contenuto dell’idea e dell’immagine di nazione che ora si coltiva, si propaganda, si difende. 

In breve, scrive Febvre, documenti morali, documenti artistici, documenti letterari capaci di essere il codice emozionale, ma anche capaci di creare convinzione nel proprio tempo, ovvero di dare un volto riconoscibile, indagabile e proprio per questo, contrastabile.

Ci riguarda questo percorso? Io penso di sì.  In altre parole la suggestione di Febvre ci può essere utile per comprendere non solo l’usura di un vocabolario o di una galleria di immagini che ci riguarda qui e ora (ovvero nell’Italia degli anni ’20 del XXI secolo) ma per comprendere cosa sia da fare per formulare un nuovo laboratorio.

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Provo a proporre alcune immagini a cui abbiamo affidato nel tempo il senso della storia del nostro paese.

Che cosa ci ricordiamo e che senso comune abbiamo di ciò che identifichiamo con «Piazza Fontana»? Che cosa evoca oggi nella maggior parte dell’opinione pubblica «strategia della tensione», oppure «strage di Stato»?

Quale memoria pubblica si sta costruendo sugli anni ’70? Non è forse vero che a un percorso che a sinistra ritorna a quegli anni con la nostalgia e, dunque, guarda a quel tempo come l’eclisse del proprio mondo corrisponde un percorso opposto che a destra prova a spiegare quegli anni come la resistenza all’omologazione e dunque coniuga la propria identità sotto l’ombrello di «italianità»? Ovvero legge il cantiere della propria parte in quegli anni come laboratorio dell’Italia vincente oggi?

Nei prossimi mesi si aprirà una discussione pubblica su ciò che rimane del 25 aprile 1945. La domanda è se prevarrà un vocabolario teso a salvare il salvabile o a interpretare quel momento come una finestra sul futuro. Oppure se quella data non avrà se non un valore secondario perché altre date acquisteranno significato.

Il che più generalmente ci porta a riflettere su un quarto tema. Ovvero: stiamo riscrivendo il calendario civile dell’Italia repubblicana? Ciò che sta prevalendo è la derubricazione delle date storiche del processo di democratizzazione? Contemporaneamente: si affermeranno nuovi luoghi di memoria mentre quelli su cui abbiano costruito la memoria pubblica diventeranno luoghi deserti?

In politica non c’è il destino, ci sono le scelte e la costruzione di sensibilità che le codificano, attraverso un dizionario e una gerarchia di significati e di valori: è questa l’enciclopedia culturale ed emozionale di questo nuovo tempo.

Quando il registro culturale cambia, per chi avverte che quella trasformazione sottrae il contenuto dell’educazione civica, e dunque dell’identità politico-culturale di cui era custode, si pone il problema di aprire un percorso fatto di nuove tappe. La prima, preliminare, è smontare la nuova egemonia, capire dove la propria di sinistra è finita, dove non era in grado di attrarre o di essere una risposta alle domande di identità del tempo presente, e anche perché. Si tratta di capire come funzionano e cosa generano i nuovi contenuti di quelle vecchie parole, o quali nuove parole insieme ad esse ora sono diventate «virali» e perché. Un concetto di cultura molto particolare e “dilatato” che comprende credenze, modelli di comportamento e forme di sensibilità, tradizioni e pratiche quotidiane. In breve: l’attrezzatura mentale di un’epoca.

Insieme si tratta lavorare per costruire un nuovo percorso di significati diversi e  alternativi a quel vocabolario, ovvero lavorare per definire una diversa enciclopedia con la consapevolezza che quella oggi vincente in campo non solo politico è un’enciclopedia che durerà un tempo non corto. 

C’è un enorme lavoro da fare e occorrono molte competenze e professionalità e soprattutto molte sensibilità. Ma è una sfida affascinante. Una strada che si può intraprendere a patto che si descriva la condizione attuale senza sconti, senza ricerca di scorciatoie e senza false consolazioni e se ne tracci un profilo: la genesi, i passaggi, la situazione. In breve: guardando la realtà in faccia com’è.

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