Marco D’Eramo tra i terroni d’america
“Gli storici del futuro si chiederanno perché un paese che solo dodici anni prima aveva rieletto un presidente di colore, giovane, (Barack Obama), si trovasse solo dodici anni dopo incastrato nella scelta tra due vegliardi, uno che rasentava il fascismo (Donald Trump) e l’altro in bilico sull’alzheimer (Joe Biden).” Le parole con cui Marco D’Eramo apre il suo ultimo lavoro, I terroni dell’Impero – Viaggio nel profondo Sud degli Stati Uniti, precedono il colpo di scena che ha rimescolato la corsa alle presidenziali. Intanto, uno dei vegliardi ha gettato la spugna e una donna, di origini indiane e afroamericane, si è fatta strada. L’interrogativo rimane però di stretta attualità.
Come succede che l’America di Obama, il paese che annunciava il luminoso avvento della società post-razziale, ancora una volta è sull’orlo di una convulsione democratica – stretta fra razzismi, violenza e il richiamo viscerale del nativismo? “La risposta, per quanto paradossale, è: era successo proprio che nel 2008 il paese aveva eletto un presidente di colore, per la prima volta nei 234 anni della sua storia” suggerisce D’Eramo. “Con il suo ingresso nella Casa Bianca, Obama sdoganò il razzismo che era stato celato, sotterrato come un’ascia di guerra, dopo la vittoria dei movimenti per i diritti civili negli anni Sessanta del secolo scorso. ‘Come potete dire che siamo razzisti se abbiamo eletto un presidente nero?’, fu da allora l’implicito sottotesto di ogni violenza poliziesca nei confronti degli afroamericani. Violenze che infatti si moltiplicarono a dismisura dopo il 2008, e ancor più dopo il 2012, con il secondo mandato di Obama”.
I terroni dell’Impero (Marietti 1820, 288 pp.) regala un affondo appassionante nella coscienza del Paese e nel retaggio della sua storia. Le cronache che compongono il libro risalgono, con la sola eccezione della sezione dedicata all’uragano Katrina del 2005, a quattro viaggi compiuti nel 1993, 2003, 2004 e 2005 nel Sud degli Stati Uniti. Alcune erano state riscritte e rielaborate per la Manifestolibri nel volume Via dal vento (2004) e tornano in quest’edizione riviste e aggiornate da una nuova introduzione con un titolo che è un deliberato pugno nello stomaco.
L’obiettivo, scrive D’Eramo, è introdurre uno spaesamento. “‘Terrone’ è categoria che in Italia non viene attribuita a un paese così moderno e mitico come gli Stati Uniti. Ma a torto. Sotto alcuni aspetti, terrone è la categoria universale della condiscendenza con cui il nord mentale guarda al sud psichico”. “Terroni dell’Impero – continua – vuol dire che anche gli Stati Uniti sono minati da una questione meridionale. Anzi, la questione è così acuta che secondo molti osservatori è la scissione interna – e non una minaccia esterna, cinese o russa che sia – a costituire il maggior pericolo per l’Impero americano.”
Giornalista e scrittore, Marco D’Eramo ha lavorato per Paese Sera, Mondoperaio, Il manifesto ed è autore, tra l’altro, di Il maiale e il grattacielo. Chicago: una storia del nostro futuro (1995, Feltrinelli), Il selfie del mondo (2017) e Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi (2020). Armato di una scrittura graffiante e una robusta dose di curiosità, in queste pagine attraversa gli stati un tempo parte della Confederazione sudista, dalla Virginia alla Florida e dall’Atlantico al Texas. Fra parchi a tema, campagne e grattacieli, incontra attivisti, artisti, sindacalisti, gente qualunque e il meridione degli Stati Uniti gli appare impenetrabile come di fatto è per il resto del paese.
La sufficienza mista a disprezzo con cui gli americani considerano il Sud non è un mistero. Per conferma, basta rivolgersi a Hollywood dove da tempo immemorabile l’accento del Sud è sinonimo di campagnolo, rozzo, ignorante. Nell’immaginario collettivo l’immensa regione sotto la linea Mason Dixon, che un tempo separava gli stati schiavisti dagli altri, è arretrata, intollerante, razzista. Il simbolo di un passato che si preferisce rimuovere. Una spaventosa terra di nessuno.
Le devastazioni climatiche e il micidiale inquinamento che a Sud falcidiano in primis le comunità afroamericane passano dunque nell’indifferenza generale (l’inglese Guardian riserva al tema una copertura migliore di tanta stampa americana). E così le contorsioni sempre più estremiste e bigotte della politica o le immense contraddizioni di politiche industriali che in quest’area hanno creato una nuova classe di poveri e sfruttati.
L’esplorazione di Marco D’Eramo non lascia spazio all’ottimismo. “Le città americane cambiano a un ritmo inconcepibile a un occhio europeo, ma se il paesaggio muta fulmineo, le strutture mentali, i comportamenti, i riflessi sociali si mantengono con una stupefacente costanza, soprattutto nei due tratti salienti che fanno di questo sud davvero il ‘cuore di tenebra’ dell’America, e cioè il razzismo più spietato di una nazione così razzista che ancora oggi non se lo riconosce, e il bigottismo più fondamentalista di una nazione letteralmente fondata dall’integralismo”. “Così, nel suo razzismo bigotto, quel passato di venti anni fa si presenta come un presente storico, in senso grammaticale: è il presente storico di un’antropologia che guardando l’allora chiarisce il dopo”.
L’elezione di Trump ha rilanciato quest’impasto di passato e presente all’attenzione del mondo. I media, negli Stati Uniti come in Europa, ne sono rimasti spiazzati e ne hanno parlato come di una perversione della democrazia. Per chi come me vive nel profondo Sud è stato invece l’esito inevitabile di una cultura intrisa di conservatorismo, pregiudizi, religiosità dove orgoglio, povertà e voglia di riscatto spesso vanno a braccetto. Imputare la ripresa dei suprematismi a Trump o al movimento MAGA è troppo facile perché non siamo davanti a un anacronismo né tanto meno un accidente della Storia. Scrive D’Eramo, “Proprio quando l’elezione di Obama sembrava aver sancito – dopo solo 143 anni – la sconfitta degli schiavisti stati confederati, proprio allora l’America ‘profonda’, e inconfessata, risollevava la testa. ‘Nel 1865 il sud perse la guerra civile, ma un secolo e mezzo dopo ha vinto la pace’, è una delle battute più frequenti negli Stati Uniti: il baratro tra il 2012 e il 2024 ci racconta semplicemente che, per usare un concetto gramsciano, il sud è diventato egemone”.
A rendere ancora più intrigante la questione, il trionfale ritorno dello stesso Obama sotto i riflettori della politica al fianco di Harris nelle battute finali della sfida elettorale. Per un pugno di giorni, mentre Michelle e Barack salivano di nuovo alla ribalta, è stato bello sognare che la coalizione di quel tempo potesse riprendere fiato e rilanciare una generosa promessa di futuro. Il delicato tessuto di alleanze su cui si reggeva la presidenza Obama appare però irripetibile: l’America sta cambiando pelle e così i due maggiori partiti.
L’ultimo decennio ha segnato una serie di svolte senza ritorno. La pandemia, la crisi economica e la deindustrializzazione hanno lasciato il segno. E mentre gli equilibri si riconfigurano, l’immigrazione, che negli anni della presidenza Biden ha sfiorato livelli record, ha messo l’intero Paese davanti allo specchio. Il risultato finale ha scompigliato parecchie certezze. I pullmann carichi di immigrati spediti verso Nord dal governatore del Texas Greg Abbott, che avevano fatto gridare allo scandalo e alla disumanità, si sono rivelati un gesto decisivo. L’immigrazione, fino allora considerata un problema degli stati a Sud, è diventata una questione nazionale e il corredo delle buone intenzioni è finito gambe all’aria.
Chi immaginava che a lanciare l’allarme per il massiccio afflusso di immigrati fosse una delle stelle nascenti del Partito democratico, il sindaco nero di New York Eric Adams (subito dopo è finito sotto inchiesta, ma è tutta un’altra storia)? E chi poteva immaginare che la nuova rivolta contro gli immigrati partisse dalle comunità del New Jersey, luogo natio di Philip Roth e del working class hero Bruce Springsteen?
Dal Sud arretrato e repubblicano ci si aspetta di tutto. E dai bandi all’aborto ai Dieci comandamenti nelle aule, poco o nulla ci è stato risparmiato in questi anni. Ma il Nord? Cosa succede? Vale per gli immigrati come per gli homeless, sgomberati a forza dagli accampamenti in strada – tende, coperte e abiti gettati nella spazzatura o ammassati in improbabili magazzini. È successo a New Orleans, in Louisiana, per ripulire l’area del Superdome prima del concerto di Taylor Swift. Ma che accada a San Francisco, Los Angeles, Portland, negli stati più progressisti, colti e sofisticati di America, lascia l’amaro in bocca.
In questa chiave, il grande valore delle pagine di Marco D’Eramo è nelle domande che accendono alla luce dell’attualità. La categoria del razzismo/bigottismo è sufficiente a giustificare l’ascesa di Trump e del movimento Maga? Perché la working class bianca sta in parte migrando verso i repubblicani e professionisti e diplomati si spostano verso i democratici? E la spaccatura in atto nell’elettorato considerato per eccellenza democratico – i Latinos e gli afroamericani? Qual è il ruolo della scena culturale afroamericana esplosa a Sud nell’ultimo decennio? E l’influsso del climate change che da tempo flagella il meridione d’America? Il ritorno sulla scena di Obama a suo modo è una risposta. E non è incoraggiante. La società post-razziale è durata un battito di ciglia o forse l’abbiamo solo sognata. Il passato non se n’è mai andato e non lo farà domani. I viaggi di D’Eramo però confermano che la via è ripartire dall’America e dalle sue periferie dove ancora si celano le sue ragioni, le sue oscurità e la profonda vitalità della sua gente.