Intervista con Noam Chomsky: le parole in politica

9 Giugno 2011

Riportiamo alcuni stralci di un’intervista video di Frank Barat a Noam Chomsky svoltasi nel mese di marzo.

L’intervistatore di Red Pepper, un bimestrale inglese indipendente di area socialista, si avvale di alcune domane poste da intellettuali, attivisti e artisti, tra cui John Berger, Ken Loach e Amira Hass.

 


John Berger

 

La pratica politica spesso sorprende il vocabolario politico, per esempio si dice che la recente Rivoluzione nel Medio Oriente chiede democrazia, possiamo trovare parole più adeguate? Usare vecchie parole spesso fraintese, non è un modo per assorbire lo shock invece che accoglierlo e ritrasmetterlo?

 

Innanzitutto, penso che la parola rivoluzione sia un po’ un eccessiva. Magari lo diventerà, ma per il momento si tratta della richiesta di una riforma moderata.

Ci sono elementi, come il movimento dei lavoratori, che hanno provato ad andare oltre, ma rimane ancora tutto da vedere. Tuttavia la questione è giusta e non c’è modo di uscirne. Non solo il termine “democrazia”, ma ogni parola implicata nella discussione politica ha due significati. Ha il suo significato letterale e ha il significato che gli è assegnato per interesse politico, per ideologia, per dottrina. Così, o smettiamo di parlare o cerchiamo di usare le parole in un modo ragionevole. E non solo con “democrazia”.

 

Prendi una parola semplice come “persona”. Sembra semplice, consideriamola meglio. Il caso degli Stati Uniti è piuttosto interessante. Negli Stati Uniti i diritti personali sono forse più garantiti che in qualsiasi altro paese. Ma badate bene, gli emendamenti alla Costituzione affermano molto chiaramente che nessuna persona può essere privata di diritti senza un giusto processo. Questo riappare nel quattordicesimo emendamento - era già nel quinto, pensato per gli schiavi liberati a cui in realtà non è mai stato applicato. I tribunali ne hanno ristretto e ampliato il significato in maniera cruciale. Lo hanno ampliato per includere le aziende: entità fittizie legali stabilite dal potere dello stato, in modo da dargli i diritti di persone, diritti che ormai vanno ben al di là delle persone. D’altra parte, è stato anche ristretto, perché, potremmo pensare, il termine “persona” si dovrebbe applicare a quelle creature che vanno in giro a dare il lavoro sporco nella società, che, guarda caso, non hanno documenti. Ma non deve essere così, perché costoro devono essere privati dei diritti. Così i tribunali, del tutto arbitrariamente, hanno deciso che non sono persone. Le sole persone sono gli individui in possesso della cittadinanza. Così adesso entità societarie non umane come la Barclays Bank, sono persone, con diritti che vanno ben al di là delle persone. Ma alcuni esseri umani, la gente che pulisce le strade, non sono persone, non hanno diritti. E questo vale per qualsiasi termine si prenda in considerazione.

 

Prendiamo gli “accordi di libero scambio”. Per esempio c’è un North American Free Trade Agreement (accordo di libero scambio nordamericano): Canada, Stati Uniti e Messico. L’unico termine accurato qui è “nordamericano”. Non è certo un “accordo”, almeno se gli esseri umani sono parte delle loro società, perché le popolazioni di questi tre paesi erano contrarie. Quindi non è un accordo. Non riguarda il libero scambio: è altamente protezionista, con protezioni tremende del diritto di imporre prezzi di monopolio per le aziende farmaceutiche e così via. E vi è molto che non riguarda affatto lo scambio. Infatti quello che chiamiamo “scambio” è una specie di barzelletta.

Per esempio, nella vecchia Unione Sovietica se dei componenti erano prodotti a Leningrado e trasportati a Varsavia per essere assemblati e poi vendute a Mosca, non l’avrei chiamato scambio anche se attraversava i confini nazionali. Erano interazioni all’interno di un’economia centralizzata. È esattamente la stessa cosa se General Motorscostruisce componenti in Indiana, li spedisce in Messico per assemblarli e li vende a Los Angeles. Lo chiamiamo scambio in entrambe le direzioni. Infatti se si guarda allo scambio, è circa il 50% che è poco. E gran parte dell’accordo riguarda i diritti degli investitori: accordare a General Motors i diritti delle compagnie nazionali messicane, diritti che i messicani ovviamente non ottengono negli Stati Uniti. Prendi il termine che vuoi. Troverai esattamente la stessa cosa. Quindi sì, è un problema, e lo aggiriamo solo cercando di far chiarezza sul modo in cui usiamo la terminologia sbagliata.

 


Amira Hass

 

Le insurrezioni nei paesi arabi ti hanno fatto cambiare alcune delle tue valutazioni passate? Hanno smosso le nozioni, per esempio, di masse, speranza, facebook, povertà, intervento occidentale, sorpresa? Se sì, come?

 

Amira e io ci siamo incontrati in Turchia un paio di mesi fa e abbiamo avuto la fortuna di parlare un paio d’ore; e nessuno di noi due (forse lei ma in quel caso non lo lasciò trapelare, certamente non io) si aspettava niente. Non stava succedendo niente nei paesi arabi. Così sì, le rivolte hanno cambiato la mia opinione nel senso che erano inaspettate. D’altra parte quando guardi indietro non è poi così diverso da quello che è accaduto in precedenza, salvo che in passato le rivolte venivano soppresse brutalmente. E in effetti anche questa volta: la prima rivolta fu in novembre, nel Sahara occidentale. [...] A novembre ci fu una protesta non violenta che le truppe marocchine arrivarono e soppressero violentemente, che è qualcosa che hanno fatto per venticinque anni. Fu piuttosto pesante, così fu portato di fronte all’ONU per una possibile inchiesta. Ma la Francia è intervenuta. La Francia è il primo protettore di atrocità e crimini nell’Africa occidentale. Si tratta di vecchi possedimenti francesi, così hanno bloccato l’inchiesta dell’ONU. Questo fu il primo caso. Il secondo è stato in Tunisia, ancora un’area più o meno francese, ma questo ha avuto successo e il dittatore è stato espulso. E poi è arrivato l’Egitto che è più importante per il suo ruolo nel mondo arabo ed è stato piuttosto notevole, un dispiegamento rimarchevole di coraggio, dedizione e impegno. Ha avuto successo nello spodestare il dittatore, ma non ha cambiato il regime. Forse lo farà, ma il regime è piuttosto ben messo, con nomi diversi; non c’è niente di nuovo questa rivolta.

[...] Quello che è successo ci induce, deve farlo, a pensare a cosa sta succedendo non solo nel mondo arabo, ma ovunque, spesso una ragione è nella sottomissione violenta. [...]

 


Ken Loach

 

Come è possibile superare il settarismo a sinistra?

 

Non credo che lo supereremo mai. Intanto una forma di settarismo dovrebbe essere benvenuta: parlo del dissenso. Molte cose sono poco chiare, dovremmo discutere e essere in disaccordo, per seguire differenti opzioni e così via. Ma quello che Ken Loach intende per settarismo (e quello che s’intende in generale) è un insieme d’iniziative che a volte provano, e spesso riescono, a spezzare movimenti popolari. Individui o gruppi politici che hanno obiettivi personali e che vogliono prendere il controllo diventando dei piccoli Lenin e così via. Non credo che neanche questo tipo di settarismo sarà mai eliminato. Può essere marginalizzato, come durante le rivolte del mondo arabo. In Egitto, in piazza Tahrir, c’era sorprendentemente poco settarismo. C’erano molti punti di vista, ma c’era un’unità e un obiettivo comune. Questo purtroppo sta iniziando a sgretolarsi. [...]

 

(traduzione di Roberta Locatelli)


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