Jan Fabre. Stigmata

10 Febbraio 2014

Nell'aprile del 1989, nel corso di una lecture tenuta al Rijksalacademie di Amsterdam, Jan Fabre (Anversa, 1958) definisce l'importanza del disegno quale archetipo della sua ricerca artistica, in qualsiasi forma essa si manifesti, e genesi del suo complesso e variegato immaginario.

 

Per Fabre disegnare è in primo luogo un dialogo fisico, un esercizio corporeo costante, un'esperienza tattile, solo successivamente mentale e psichica. È, come egli descrive, una sorta di “danza dei polsi”, in quanto la scioltezza delle linee – definite con mezzi diversi e su supporti di varia natura – è determinata dall'agilità muscolare della mano, dalla flessibilità delle articolazioni, dallo scorrere rapido delle dita. L'artista si serve dell'organico e dell'inorganico, del naturale e dell'artificiale, del sangue umano o dell'inchiostro di una biro, per solcare e configurare lo spazio: sia esso un foglio di carta o una porzione di corpo, una parete o un palcoscenico.

 

Per Jan Fabre disegnare è dare vita ad un insieme di segni cangianti che evolvono incessantemente, come ad esempio nel ciclo biologico degli insetti, senza un incipit predefinito o precostituito, esprimendo un perpetuo andirivieni, un continuo passaggio dalla morte a nuova vita.
Disegnare ancora quale reiterazione ossessiva e meccanica di un gesto, di una traccia, di un'immagine, quindi di un dettaglio. Disegnare, infine, come dottrina ferrea di matrice accademica, pratica del controllo, per cui solo facendo e rifacendo è possibile aspirare ad un processo di sublimazione, di penetrazione e appropriazione dell'essenza delle cose.

 

Ilad of the Bic Art (selfportrait) (1980 – 2007) Black & white photo, HB pencil, Bic ink; 18 x 24 cm; Collection Angelos bvba / Jan Fabre; © Angelos bvba.

 

Proprio il disegno, insieme a ciò che esso comporta, cioè quella forma di disciplina, di allenamento corporale e riscaldamento muscolare, sembra essere il filo conduttore dell'ambiziosa retrospettiva dedicata all'artista fiammingo, a cura di Germano Celant, che alberga nella Galleria 4 del museo MAXXI.
Un percorso orientato in senso cronologico, caratterizzato dalla presenza multipla di tavoli trasparenti: novantadue piani di lavoro che scandiscono l'ambiente come una sorta di labirinto. Al suo interno il visitatore è invitato ad esperire le polilinguistiche e polistilistiche espressioni che contraddistinguono l'estetica di Fabre; e trovarsi immerso in una nube di forme e immagini, di voci e rumori che si mescolano dal basso all'alto della sala.

 

Senza pretesa di fusione alcuna, Jan Fabre. Stigmata. Actions & Performances 1976-2013 è una costruzione narrativa che procede per strati, un'impaginazione rigorosa e ordinata di un corpus di oltre ottocento documenti tra disegni, fotografie, sculture, video, film e altre prove residuali delle sue performances, realizzate a partire dalla metà degli anni Settanta. Più che una presentazione di opere, in questa mostra traspare l'articolata impalcatura che sostiene la realizzazione dei suoi lavori. L'artista mette a nudo le modalità di pensiero da cui si genera e costantemente rigenera la sua poetica, tanto nelle arti visive quanto nel teatro. Vi si riscontrano, dunque, tutte le componenti della sua biografia artistica: il favoloso bestiario e il complesso immaginifico, il rapporto con la tradizione artistica, il porsi al confine tra un estremo e l'altro. E ancora le numerose coppie di opposti che appartengono al suo operato: il calore del corpo e la freddezza della protesi, la carne e la maschera; il sacro e il profano; la libertà e la costrizione; il dolore e la gioia; la ratio e l'emozione; la partecipazione e l'alienazione; l'infimo e il sublime; il rito e l'innovazione.  

 

My body, my blood, my landscape (my Jeans, my Tshirt), (1978); Series: My body, my blood, my landscape (1978), from performance My body, my blood, my landscape (1978); HB pencil and blood on paper; 21x29,7 cm; Copyright: Angelos bvba; Private collection, Antwerp.

 

Entrando nel vivo dell'esposizione, muovendosi attorno ai sopraddetti piani di lavoro che ricalcano lo studio dell'artista, è possibile osservare My body, my blood, my landscape (1978), disegno a matita e sangue su carta, il cui titolo palesa alcuni degli elementi ricorrenti in Fabre. Il corpo, in questo caso, è evocato dalla sagoma degli abiti puntellati da schizzi di sangue tracciati in maniera aggressiva e sfuggente. E ancora Ilad of the Bic – Art (1980), un disegno su fotografia, dove l'autore – Ilad, anagramma di Dalì – con una biro graffia le riproduzioni strappate di opere d'arte e le fissa al muro, privando così l'arte dei “padri” dell'aurea sacrale.

 

Vi sono, inoltre, le testimonianze dell'azione – installazione Ilad of the Bic-Art, the Bic-Art Room (1981), durante la quale l'artista – completamente vestito di bianco – resta chiuso per circa settantadue ore in una stanza anch'essa completamente neutra e con la luce persistente, così da azzerare completamente la differenza tra l'alternarsi del giorno e della notte. Nell'arco dei tre giorni Fabre ricopre se stesso e l'ambiente di nuove tracce, disegni, cifre, parole. Nelle immagini che registrano la performance l'artista sembra agire alla stregua di un carcerato che disperatamente prova a mantenere il senso del tempo segnando i giorni sulle pareti, o di colui che ripetutamente lascia il proprio nome inciso sui muri per scongiurare la perdita di coscienza di sé. Soprattutto qui Fabre mette in atto una trasformazione alterando con un semplice strumento di derivazione industriale, una biro blu, lo spazio e tutto ciò che vi appartiene, compreso se stesso, modificandone lo statuto, procedendo per addizione di segni e per mutazione di corpi; prima negando l'essenza di questi poi facendoli risorgere sotto una nuova luce.

 

Il ricorso all'inchiostro blu è caratteristico dell'artista, poiché incarna il principio della metamorfosi: altro topos molto caro alla sua ricerca. Ad esso si aggiunge l'uso o il reiterato richiamo agli insetti, anch'essi emblema del fenomenico, in quanto animati da un moto incessante, soggetti ad una evoluzione lenta ma perpetua che si origina dal profondo, dagli strati in decomposizione della terra, prima di risorgere a nuova vita.

 

Tra le prime azioni realizzate da Fabre si possono ricordare i documenti di Money Performance (1978), The Rea(dy)make of the Money Performance (1980) e Money (Art) in Culture (1980), quali considerazioni critiche sul valore del denaro e la mercificazione dell'arte. Compiendo atti dissacratori con le banconote, dilaniandole e riducendole in cenere, Fabre ne ricompone le polveri per scrivere il termine “money”, riconfermando in tal modo il valore condiviso del denaro. Il titolo Rea(dy)make of the Money Performance (1980) risente chiaramente dell'eco duchampiano, uno dei punti di riferimento per l'artista.
Un altro omaggio al maestro francese, all'idea di duplicazione, può essere considerato la performance After-Art (1980), durante la quale il “trasformista” Fabre prima delinea con la schiuma da barba la del suo corpo, quindi la “veste”, poi si denuda e indossa un completo bianco. Una volta rimossi i contorni della schiuma da barba, disegna su alcuni specchi con la stessa crema e il suo sangue.

 

Sanguis/Mantis (2001); Lyon, Les Subsistances; © Angelos bvba Foto: Malou Swinnen.

È il caso di citare, tra le altre, l'azione Sanguis/Mantis (2001), dove il riferimento è di nuovo al liquido biologico e all'insetto, la mantide religiosa, noto per divorare il maschio durante l'accoppiamento. Il capo dell'armatura indossata da Fabre sembra chiaramente ispirato alla mantide sia nella forma appuntita, sia nelle due lunghe antenne che nelle sottili fenditure laterali.

 

Durante l'azione un'infermiera preleva il sangue all'artista che egli stesso utilizza per scrivere manifesti sull'arte e sulla condizione dell'artista. Un atto che, come altri, risente delle origini fiamminghe dell'artista, dello studio di Jan Van Eyck, Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel il Vecchio, della memoria del loro microcosmo popolato da teschi, demoni, animali e armature.

 

La mostra, in sostanza, restituisce allo spettatore uno spaccato della multiforme attività di Jan Fabre, la sua versatilità e abilità nel districarsi tra tradizione e innovazione, tra azione e stasi, tra un medium e un altro, tra la libertà del corpo e il rigore della mente, tra il terreno e l'etereo.

 

A testimonianza della grande passione e impegno di Jan Fabre per il teatro contemporaneo, all'esposizione ospitata al MAXXI ha fatto da corollario la riproposizione di due importanti performances già note al grande pubblico, tenute al Teatro Eliseo e organizzate insieme alla Fondazione Romaeuropa: This Is Theatre Like It Was To Be Expected And Foreseen (1982) e The Power Of Theatrical Madness (1984).

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