Keynes: vita e eredità di un ottimista

10 Gennaio 2023

Federico Caffè durante le sue lezioni non si stancava di sottolineare la differenza tra l’economia di Keynes e quella dei keynesiani (Axel Leijonhufvud, L’Economia keynesiana e l’economia di Keynes, UTET, 1976 e Luigi Pasinetti, Keynes e i keynesiani di Cambridge, Laterza 2010), i rischi derivanti dalla banalizzazione del keynesismo identificato con la spesa facile e con la caricatura dell’intervento pubblico che “fa le buche per poi riempirle”. Soprattutto, teneva a ricordare che la teoria economica o si intreccia con l’etica e la politica in un disegno di civiltà possibile, un progetto sociale unitario, oppure è qualcosa di scarsamente interessante.

Non solo spesa pubblica in disavanzo

Gran parte di queste considerazioni possono essere rintracciate nelle numerose biografie di Keynes pubblicate fino ad oggi, nella ancor più numerosa letteratura sul pensiero economico dell’economista di Cambridge, nelle raccolte di saggi sul rapporto con il gruppo di Bloomsbury e negli scambi epistolari con Lydia Lopokova.

Il pregio del libro di Zachary D. Carter (The Price of Peace. Money, Democracy and the Life of John Maynard Keynes, Random House, 2020), da poco tradotto per i tipi di Neri Pozza (Il Prezzo della Pace. Economia, Democrazia e la Vita di John Maynard Keynes), è tuttavia quello di mettere in evidenza come l’economia di Keynes risulti pienamente comprensibile solo se intrecciata con l’ambiente culturale frequentato – Cambridge e, soprattutto, il circolo di Bloomsbury– con la sua dimensione internazionale, caratterizzata da uno spiccato anti-militarismo e anti-imperialismo, con i suoi affetti e le sue vicende private – la sua omosessualità e il suo grande amore per una ballerina russa. Ingredienti apparentemente scollegati tra loro ma che il libro di Carter amalgama efficacemente, mettendo in risalto tutte le apparenti contraddizioni di John Maynard Keynes. Difficile dirlo meglio di quanto non faccia lo stesso autore: “…un burocrate che aveva sposato una ballerina; un omosessuale il cui più grande amore era una donna; un fedele servitore dell’impero britannico che inveiva contro l’imperialismo; un pacifista che aveva contribuito a finanziare due guerre mondiali; un internazionalista che aveva assemblato l’architettura intellettuale del moderno Stato-nazione; un economista che mise in discussione i fondamenti dell’economia.” (pag. 18)

Anche la stessa appartenenza al gruppo di Bloomsbury risentiva di queste contraddizioni. Keynes ne era parte integrante, sebbene fosse l’unico non “artista” (insieme a Leonard Woolf) e il solo membro del gruppo che frequentasse l’establishment londinese. Da pacifista manifestava una qualche insofferenza per i suoi amici obiettori di coscienza che lo accusavano di “aver preso parte a un’atrocità”, partecipando alla Conferenza di pace a Parigi nel 1919.

Il suo ruolo nella definizione di un nuovo ordine internazionale continuò anche grazie a uno dei libri che lo resero più famoso, Le conseguenze economiche della pace, una critica feroce del principio di accumulazione basato sulle disuguaglianze e degli “oppressivi pagamenti di interessi” all’Inghilterra e all’America che avrebbero inevitabilmente portato i governi gravati dai debiti (la Germania, in particolare) a ricorrere alla tassa nascosta e regressiva dell’inflazione per alleviarne il peso, fomentando così la rabbia delle classi più colpite e aprendo la strada a soluzioni autoritarie. La sua capacità previsiva fu, purtroppo, premiata dalla storia. 

Continuò fino a quando, malato, nel 1941 partecipò agli accordi Bretton Woods e ne uscì sconfitto.

E dalle apparenti contraddizioni e dai paradossi emerge con chiarezza il profilo di un riformatore appassionato, il suo liberalismo intriso di socialismo e la sensibilità per gli svantaggiati e per la dignità del lavoro. Non solo, dunque, l’incapacità della società in cui viviamo di assicurare la piena occupazione ma anche “la sua arbitraria e iniqua distribuzione della ricchezza e dei redditi” (ultimo capitolo della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta). Fu questa sensibilità che lo portò a sostenere il Piano Beveridge per la riforma del welfare mentre il Tesoro prendeva le distanze dal programma sociale più ambizioso mai proposto in Europa. Ricordiamo che si tratta di una riforma di così ampia portata da indurre Hayek a evocare il rischio dell’abbandono della democrazia liberale per il socialismo assoluto! 

Il keynesismo negli Stati Uniti, dal New Deal a Obama (con l’eccezione di Clinton?)

In questa prospettiva è possibile apprezzare al meglio il secondo pregio del libro di Carter: il tentativo di tracciare una storia del keynesismo negli Stati Uniti. Di fatto è la storia di come le idee della Teoria Generale sono state adattate a un nuovo ordine globale attorno alla potenza americana, della “normalizzazione” del pensiero di John Maynard Keynes e dell’ambivalenza del keynesismo.

Si tratta senz’altro di un notevole valore aggiunto in quanto non può essere dimenticato che, paradossalmente, senza la diffusione (e la distorsione) del pensiero di Keynes negli Stati Uniti, l’opera dell’economista di Cambridge – al pari di gran parte della borghesia britannica assai poco affascinato degli americani – avrebbe rischiato di rimanere un contributo di nicchia.

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In questo senso, il dibattito aspro tra i sostenitori del New Deal (Galbraith primo fra tutti) e i neoliberali come Hayek e Milton Friedman, le divergenze anche importanti tra gli stessi Friedman e Hayek, il legame forte tra libertà economica e libertà politica e la concezione profondamente diversa tra la libertà economica di Friedman (che la proponeva come strumento per raggiungere la libertà politica nel Cile di Pinochet!) e la libertà economica di Keynes (inclusiva della garanzia di sicurezza materiale e dei valori del “buon vivere” di Bloomsbury), la sintesi neokeynesiana… sono tutti ingredienti che aiutano a comprendere il predominio politico dei programmi keynesiani negli Stati Uniti, sia nella loro versione progressista sia nella versione “reazionaria” (ad opera della destra conservatrice, con l’aumento del deficit pubblico destinato a finanziare le agevolazioni fiscali per le classi più ricche e la spesa militare). 

In fondo – con l’eccezione dell’amministrazione Clinton durante la quale i processi di globalizzazione sembrano far vacillare l’ispirazione alle idee keynesiane fino al loro abbandono e alla sostituzione con un paradigma comunemente definito neoliberale (anche se ci sarebbe da discutere sulla novità di tale paradigma) – nelle sue diverse versioni, l’egemonia culturale del keynesismo, più o meno esplicitato a seconda della convenienza, ha influenzato un po' tutte le amministrazioni degli Stati Uniti. Da Roosevelt a Kennedy, arrivando persino a Reagan (con il taglio delle tasse ai ricchi e l’aumento della spesa militare) e a Bush (con l’invito alle famiglie, dopo le torri gemelle, a aumentare i consumi e con i rimborsi fiscali del 2008), fino alla versione timida e incostante di Obama, più attento a incoraggiare il risparmio privato e a stimolare la crescita attraverso la riduzione del disavanzo che attraverso gli investimenti diretti del governo.

Se oggi si può concordare sul fatto che gran parte delle responsabilità per le crisi economiche e per l’affermarsi dei populismi e dei movimenti di estrema destra in Occidente possono essere attribuiti alle politiche di austerità e a un’acritica adesione a politiche neoliberiste, anche da parte di governi progressisti, sembrano tuttavia particolarmente intriganti gli interrogativi che l’autore solleva sull’ambivalenza del keynesismo “normalizzato”: come mai il keynesismo si è dimostrato così politicamente fragile e come mai la pace, la piena occupazione e il contrasto alle disuguaglianze (ovvero i principali antidoti ai governi autoritari) non sono stati ritenuti attraenti da governi o da partiti liberali e progressisti più sensibili alla civiltà possibile auspicata da Keynes?

Oggi, dopo due pesanti crisi economiche, il pensiero di John Maynard Keynes è tornato di attualità. Il libro di Carter ci aiuta a capire perché. Soprattutto ci aiuta a evitare le spiegazioni banali. Anche quelle basate sull’abusata citazione contro l’inazione e a favore dell’intervento pubblico, “nel lungo periodo saremo tutti morti”, valorizzando invece un Keynes meno noto, probabilmente più autentico, ottimista e attento al futuro perché “nel lungo periodo quasi tutto è possibile”.

PER CHE VOLESSE SAPERNE DI PIU’ (alcuni riferimenti tra i tanti)

Biografie di John Maynard Keynes

R.F. Harrod, The life of John Maynard Keynes, MacMillan, 1951; trad. it., La vita di John Maynard Keynes, Einaudi, 1965.
R. Davenport-Hines, Universal Man. The Seven Lives of John Maynard Keynes, William Collins, 2015.
G. La Malfa, Keynes l’eretico. Vita e opere del grande economista che ha cambiato l’Occidente, Mondadori, 2022
D. Moggridge, An Economist’s Biography, Routledge,1992
R. Newbury, J.M. Keynes. Vita Pubblica di un Grande Economista ed Esteta Trasgressivo, Boroli Editore, 2007.
R. Skyldesky, John Maynard Keynes. Hopes Betrayed 19883-1920, MacMillan 1983, trad. it., John Maynard Keynes. Speranze Tradite 1883-1920, Bollati Boringhieri, 1989
R. Skyldesky, John Maynard Keynes. The Economist as Saviour 1920-1937, Allen Lane, 1994.
R.Skyldesky, John Maynard Keynes. Fighting for Freedom 1937-1946, Penguin, 2000

Keynes e il Gruppo di Bloomsbury

D. Crabtree e A.P. Thirwall, Keynes and the Bloomsbury Group, MacMillan 1978.
P.V.Mini, Keynes, Bloomsbury and the General Theory, MacMillan, 1991 
A House of Lions,
L.Edel, Bloomsbury. A House of Lions, Penguin, 1979.

Keynes e Lydia Lopokova

P. Hill e R. Keynes (eds.) , Lydia & Maynard, The letters of Lydia Lopokova and John Maynard Keynes, MacMillan, 1989, trad. it., Lydia & Maynard, Lettere 1923 -1925, Rosellina Archinto, 1990.

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