La crisi: opportunità sprecata?

23 Aprile 2014

Nella sua ultima produzione editoriale Fabio Donato, l’economista scelto a rappresentare l’Italia nel Comitato di programma di Horizon 2020 per la Societal Challenge, osserva, fuori dalla retorica, come nell’ambito della gestione del patrimonio culturale italiano stiamo confermando l’incapacità di visione strategica e reazione efficace allo stato di immobilismo nel quale versiamo.

 

L’autore ripercorre con un’inedita e approfondita analisi della genesi dei fenomeni economici-finanziari, la crisi del sistema culturale, evidenziandone il peso strutturale. Una crisi che per il suo carattere non può reggere politiche del «fiato sospeso» e gli interventi frammentari all’insegna del «Ha da passà 'a nuttata» che finora abbiamo visto.

Una crisi che necessita di una modifica decisa degli assetti istituzionali che portano con sé profili economici, sociali e anche culturali e rende inutile incidere limitatamente sugli effetti, con un incremento o decremento della spesa, senza riformarne le cause, come avvenuto nella spending review. Dal 2009 i finanziamenti pubblici si sono ridotti di oltre il 20%, le sponsorizzazioni di circa il 30%, i contributi delle fondazioni di origine bancaria del 35%. Sono a rischio molte istituzioni del Paese: «Dead Museum Walking» le definisce Donato, formalmente aperte, ma con una sostanziale riduzione della progettualità, dell’attività, di immissione di giovani, di pensieri e di energie nuove.

 

La soluzione? Siamo al redde rationem nel ripensamento delle architetture e dei modelli di management. Secondo l’autore vanno costituiti sistemi culturali territoriali che si basino su logiche di network, evolvano dalla dimensione micro a meso, con reti su aree omogenee: imperativo mettere in comune i costi e fare massa critica per potenziare le capacità per produrre ricavi. Occorre inoltre incidere sulla cultura organizzativa delle persone che operano nelle istituzioni culturali: conoscenze e competenze, un sistema di regole con più autonomia gestionale e più responsabilità dei risultati, economici e culturali.

 

Non va dimenticato che il settore culturale non può più essere letto a livello domestico: si muove in modo trans-frontaliero - ancora di più rispetto agli altri settori economici - sia in termini di politiche culturali che nello sviluppo di percorsi di sostenibilità, quindi di investimenti. La sfida è in corso con la nuova programmazione comunitaria 2014/2020, nella quale non possiamo consentirci il lusso di reiterare i fallimenti del passato. Continuiamo a dire che il problema del settore culturale è la carenza di denaro quando in realtà non riusciamo a spendere i fondi strutturali comunitari, a portare a casa i contributi nazionali che l’Italia stanzia per l’Europa. Questo è uno dei paradossi del nostro strano Paese.

 

Eccellenze culturali diffuse, ma aristocratiche, che non curano assolutamente la sostenibilità economica, perché pensano che aspirare a ricavi autonomi significhi essere commerciali. Ma non è così, ci dice Donato. « La sostenibilità si porta a casa con strategie di coinvolgimento della cittadinanza, di progettualità, che favoriscano innovazione, sperimentazione e sviluppo. Questo può garantire partner e quindi le entrate necessarie, senza rinunciare alla qualità della ricerca scientifica che deve essere il prerequisito. In Italia siamo fermi sul fare o non fare partenariato con le imprese e con i privati, mentre in Europa si parla di come farlo ».

 

La qualità oggi sta nell’uscire dall’autoreferenzialità, riuscire a creare progettualità che abbiano senso sia culturale che economico, interrogarsi ex ante sugli impatti potenziali sulla società. La cultura prenda consapevolezza di essere una risorsa trasversale che produce effetti sui diversi assi delle politiche.

Vanno in questa direzione i suggerimenti di Donato al nuovo Ministro dei Beni Culturali, per non sprecare la crisi bisogna «Attuare collegamenti trasversali con i ministeri che si occupano di educazione, sviluppo economico e con l'agenda digitale- tema cruciale che cambierà tutto il sistema culturale nei prossimi venti anni - con un Ministero che sia cabina di regia, con una gestione spostata sul territorio e cucita con il contesto».

 

 

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