La solidarietà di comunità al Sud

26 Settembre 2014

Prosegue il percorso di approfondimento sulle Fondazioni di Comunità, enti filantropici che stimolano la cultura del dono locale. Dopo la visione nazionale di Stefano Zamagni, e l'esperienza della Fondazione comunitaria Nord di Milano, diamo una panoramica generale alle realtà meridionali.

Abbiamo conversato con Maurilio Assenza, Presidente della neo-nata Fondazione di Comunità Val di Noto, che ci ha delineato gli obbiettivi della più giovane FC di Italia, operante in un territorio complesso come la Regione Sicilia, sottolineando che la solidarietà è possibile, grazie alla speranza e al senso di comunità attiva che partecipa alla vita civile.

 

 

Come nasce la Fondazione di Comunità della Val di Noto?

Si tratta di un cammino consapevole che conta su persone e soggetti che vogliono e sanno spendersi aldilà delle proprie iniziative, convergendo con convinzione nella costruzione di reti volte al bene comune del territorio. La Fondazione nasce da una “comunità” per la comunità stessa. Non è solo un ente filantropico, ma esprime la convinzione di un territorio che vuole crescere come “comunità”. La sua gestazione è stata lunga, per arrivare alla nascita con atto notarile l’11 febbraio 2014, e la seguente presentazione al territorio il 17 marzo. Tutto è stato reso possibile dalla sintonia tra diversi soggetti: le due diocesi di Siracusa e di Noto, alcune associazioni di volontariato e alcune cooperative sociali, alcuni enti come Banca Etica e l’Istituto di Gestalt. Si tratta di una sintonia che si è consolidata attorno al desiderio di conservare e incrementare una presenza libera e liberante nel territorio a favore del bene comune, con attenzione ai più deboli, alla coesione sociale, all’economia civile.

 

Quali sono gli obbiettivi generali ?

Anzitutto la necessità di dare continuità alle iniziative di solidarietà e di aiutarle a raccordarsi in un disegno di insieme. Vogliamo strutturare il sociale, non solo per un'organizzazione più efficiente, ma per meglio animare un territorio in modo continuativo e incisivo, con “azioni di sistema” o “infrastrutturazione ”. Vogliamo sviluppare un “welfare comunitario”, grazie ad un patrimonio sociale che si continua a coltivare dal basso, mantenendo vivo il rapporto tra solidarietà e giustizia, tra diritti e doveri, secondo il dettato della nostra Costituzione repubblicana.

La sintesi propulsiva di sviluppo e di crescita è la qualità della vita. Vogliamo superare i limiti della pura economia di mercato e di un livello politico-istituzionale non sempre affidabile, ripiegato sul versante assistenziale o comunque incapace, da solo, di grandi progettualità. La Fondazione, da questo punto di vista, permette una presenza “terza” rispetto a mercato e Stato, con forte valenza civile e con quella libertà che può ridare speranza ai cittadini e far evolvere il rapporto con l’ente pubblico.

 

Quali gli obiettivi più legati alla realtà territoriale?

Al Sud, per essere “terzi” occorre procedere con prudenza nei rapporti con le pubbliche istituzioni e anche con soggetti del terzo settore, che in questo periodo economicamente critico, danno risposte ambigue. Da qui la preoccupazione di passi prudenti, vigilando perché la progettazione abbia sempre il timbro della gratuità e della riflessione, per poter poi raccordarsi nella chiarezza con istituzioni e con il resto del terzo settore.

Qui una Fondazione non può immediatamente contare su grandi contribuiti di banche, imprese, filantropi. Per questo sono stati importanti i contributi, sia per il patrimonio che per la progettazione, di Fondazione con il Sud, delle diocesi di Siracusa e di Noto, della Caritas Italiana, e quelli, anche piccoli ma significativi, di alcune realtà sociali del territorio. Noi speriamo, avviando realizzazioni concrete e reti significative a partire da soggetti affidabili, che sarà più facile attivare una capacità donativa del territorio. Stiamo puntando su un piano di raccolta dei fondi che si intreccia con la comunicazione del senso e dei segni e con processi partecipativi che facciano sentire coinvolte quante più famiglie e persone possibile.

La dedica di tutta questa fatica è “ai giovani”! Perché possano avere la speranza che anche nel Sud si possano avviare processi liberi di socialità e di economia civile, capaci di generare lavoro pulito, cooperativo, importante.

 

Come esprime la Val di Noto la cultura del dono locale?

In questo lembo di Sicilia, la Fondazione di comunità Val di Noto rappresenta un segno, che promuove segni, e un luogo di raccordo per tutti coloro che vogliono operare nella gratuità e nella consapevolezza di ciò che oggi occorre per conservare un patrimonio sociale vivo e significativo. La sintonia ritrovata tra alcuni soggetti attorno a convinzioni sociali e civili, la disponibilità delle due diocesi di contribuire in modo consistente alla costituzione del patrimonio iniziale, testimoniando così un forte spirito donativo e il coraggio di impegnare somme consistenti a favore di processi ampi e di lungo periodo. Il sostrato fertile è dato da tutta una serie storie significative di volontariato e cooperazione sociale. Sono realtà che hanno avuto ed hanno il coraggio di “resistere” di fronte alle difficoltà , che hanno continuato e continuano a collegarsi, a tenere viva la riflessione, a non dimenticare la cultura dei diritti, a tenere presenti le sperimentazioni e gli studi più avanzati sia in campo economico che sociale (soprattutto sul versante del welfare comunitario).

È un territorio che non indulge al pessimismo, coltiva la partecipazione al contesto e alla sua evoluzione da parte di tutti i cittadini indirizzato al bene comune.

 

 

Come sta rispondendo il territorio?

La Fondazione ha ancora solo qualche mese, ma ci sono già prime piccole donazioni, soprattutto però c’è grande collaborazione volontaria, entusiasmo, progettualità nell’avviare le azioni della Fondazione. Le energie più vive si raccordano, nuove realtà si attivano e tutto fa sperare che la Fondazione Val di Noto rappresenti un pugno di lievito per accrescere il bene comune.

 

I rapporti con le altre fondazioni meridionali

Sono interlocutori fondamentali, dai quali abbiamo imparato molto, dialogando e osservando le loro esperienze e ricevuto supporto essenziale.

I rapporti con la Fondazione con il Sud sono stati fondamentali, avviati già nel 2010 con un seminario pubblico a Modica sulla fondazione di comunità, grazie a Giorgio Righetti che ci spiegò chiaramente come le FC non si esauriscono in una raccolta di fondi (pur importante), ma hanno bisogno di processi partecipativi capaci di generare azioni concrete e sinergiche tese a coesione sociale, sviluppo sostenibile, cittadinanza.

Ad aiutare molto è stato l’esempio, l’incoraggiamento e l’aiuto di un’altra Fondazione di comunità, quella di Messina che prende il nome di “Distretto sociale evoluto”, con una sapiente e generosa maieutica da parte del suo segretario generale Gaetano Giunta.

Soprattutto, grazie al loro esempio , si è potuto chiarire il modello di fondo, ovvero di quello di leva di innovazione sociale ed economica che si relaziona con la cultura. Una filantropia che, per essere incisiva, deve puntare su scelte etiche precise e volte a processi di emancipazione.

 

Mi piace citare a tal proposito la presentazione progettuale della Fondazione di comunità di Messina – Distretto sociale evoluto: «la filantropia genericamente intesa non può incidere nei processi di liberazione individuale e collettiva e nell’individuazione di dinamiche sociali orientate alla coesione, alla mobilità verticale e quindi alla redistribuzione delle opportunità. Una Fondazione di Comunità per essere vera infrastrutturazione sociale (e non infrastrutturazione del status quo e delle lobby) non può essere neutra rispetto ai processi di accumulazione della ricchezza delle mafie e delle loro economie criminali, quelle che nascono dagli investimenti dei proventi criminali e di quelle imprese parassitarie che costruiscono la loro ricchezza dentro relazioni perverse e spesso occulte fra poteri pubblici clientelari e poteri criminali. L’ipotesi progettuale è quella di creare un modello intermedio fortemente orientato verso una visione strategica del cambiamento, capace però di evolversi, in una prospettiva epistemologica di tipo costruttivista, e quindi capace di recuperare universalità nella responsabilità, attraverso dinamiche e metodologie partecipative finalizzate a coinvolgere innanzitutto nella propria governance pezzi sempre più ampi delle comunità locali, degli insieme dei cittadini, degli stakeholders territoriali e quindi della società nel suo complesso. L’idea è quella di creare uno strumento di fraternità economica che sia capace, auto-finanziandosi ed auto-generando reddito, di promuovere libertà, giustizia e coesione sociale, pari opportunità».

 

La filosofia dei vostri progetti

Entro gli orizzonti delineati grazie al dialogo con Fondazione con il Sud e al Distretto sociale evoluto – Fondazione di comunità di Messina, abbiamo definito le azioni strategiche: promuovere processi di “capacitazione” dei cittadini e delle comunità locali a partire dalla possibilità di percorsi di promozione e di accesso alla cultura come forma di liberazione. Promuovere la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile, attraverso la sperimentazione di forme mature di dialogo sociale e la creazione di reti “lunghe”. Sperimentazioni di aggregazioni educative, che uniscano valore economico e valore sociale proprio delle reti parentali e di vicinato presenti nel territorio, e il raccordo con l’esperienza dei “territori socialmente responsabili”. Aprire i sistemi locali ad uno scambio di conoscenze e di comunicazioni che arricchiscano il territorio, ne conservino e accrescano vitalità, lo rendano capace di contribuire allo sviluppo e alla liberazione del Sud, nell’ottica della convivialità delle differenze e valorizzandone la collocazione mediterranea, interagendo con Europa ma anche Africa e Medio Oriente per “pensare globalmente e agire localmente”.

 

I filoni di intervento

Sono due i livelli di intervento: le policy permanenti, con cui si finanziano iniziative pluriennali dal grande significato sociale e civico; la progettualità diffusa per coinvolgere altri soggetti del territorio. Tre sono i principali filoni.

Il programma “Fratello maggiore”: riguarda percorsi personalizzati e partecipati di accompagnamento e adozione sociale, capaci di individuare bisogni e agire sull'integrazione dei cosiddetti soggetti deboli per promuovere autonomia e competenze che permettano ai singoli, alle famiglie e alla comunità di riconoscersi reciprocamente nella sperimentazione e costruzione di nuove relazioni e, ai soggetti più fragili socialmente e psicologicamente, di apprendere e/o sviluppare una progressiva autorganizzazione personale e un’equa appartenenza civica, così da dimostrare la possibilità di ri-partenze e contaminare gli interventi delle politiche sociali e diffondere la prassi del lavorare.

 

 

Per questo si stanno appoggiando centri sociali e comunità di accoglienza impegnate nella cura delle relazioni o tirocini formativa al lavoro tesi all’inserimento sociale, come i centri di accoglienza “Casa di Abramo e Sara” di Siracusa o la Casa don Puglisi di Modica o i centri sociali per diversamente abili o, ancora, i percorsi per il reinserimento dei detenuti già sperimentati nel territorio. Su questo versante, nella progettualità diffusa, si stanno avviando ulteriori azioni di sostegno nel mondo del carcere e sul versante dell’housing sociale.

Un secondo filone – “Tessuto inclusivo” – è teso a promuovere una comunità inclusiva, attraverso la messa in rete dei luoghi aggregativi esistenti o di altri che si aggiungeranno. Tra i progetti già in atto si segnalano cantieri educativi come quello modicano “Crisci ranni”, in cui si sperimenta la liberazione delle capacità e di costruzione di cooperazione: l’accompagnamento attraverso doposcuola per prevenire il disagio sociale e familiare, contrasta efficacemente la dispersione scolastica e riconsegna il gusto dello studio con l’obiettivo di un futuro diverso; sport, laboratori e feste come momenti di qualificata socialità, attenta all’uso di regole, a creatività, a ritualità nutrienti; la cura della cittadinanza attiva e l’elaborazione del senso della città nell’ottica del bene comune.

 

Con lo scouting sociale, su questo versante, si stanno avviando una serie di cantieri educativi volti a risignificare la città come città inclusiva e a intessere significative reti sociali e civiche nell’ottica della cittadinanza attiva.

Un terzo filone policy riguarda l'economia civile: mira a collegare sviluppo e intervento sociale, per promuovere incubatori socio-economici di nuova imprenditorialità, con l’obiettivo della prevenzione e del reinserimento delle persone socialmente vulnerabili. Esperienze esemplari sono l’Arcolaio di Siracusa o del Laboratorio dolciario o la focacceria don Puglisi di Modica. Stimoliamo l'Economia sociale attraverso la riconversione dei beni (immobili e terreni) confiscati alle mafie o donati dalle due diocesi.

 

Di quale patrimonio disponete?

Come patrimonio iniziale abbiamo raccolto 534.500 euro e 450.000 euro per la progettazione, grazie al supporto dei soggetti fondatori. Contiamo sul raddoppio per alcuni progetti, grazie al contributo di Fondazione con il Sud. Siamo consapevoli che ora è necessario un piano di raccolta fondi che allarghi la rete di solidarietà. Abbiamo già creato momenti di sensibilizzazione in occasione di manifestazioni (l’infiorata di Noto) o con comunicazione permanente (pannelli nella chiesa di S. Nicolo all’ingresso del teatro greco di Siracusa). Un articolato piano di raccolta fondi punta su una pluralità di soggetti e di momenti, ad esempio il primo Festival del Mediterraneo, previsto il 5 settembre a Siracusa e il 6 settembre a Pozzallo.

 

Cosa può diffondere la cultura del dono in Italia e estendere questo modello?

La cultura del dono va rilanciata tenendo conto della crisi, particolarmente grave nel nostro Sud. Il grande bisogno è il lavoro, che sta provocando sempre più emigrazione intellettuale, privandoci di energie giovanili. La Fondazione coinvolge molti giovani dalla forti tensioni civiche e culturali, che investono per costruire un proprio percorso lavorativo nella propria terra. Vogliamo diffondere l’economia civile ad impronta solidaristica, dimostrando che chi vive in modo donativo, può costruire un progetto di vita. Quanto al “peso sulle politiche centrali” vogliamo promuovere un raccordo tra le Fondazioni di comunità (soprattutto le quattro del Sud: Messina, Napoli, Salerno, Noto) per meglio incidere nelle politiche nazionali.


Quanto pesa la cultura intesa come patrimonio culturale e impresa culturale-turistica nella programmazione della FC?

La cultura diventa una delle componenti importanti. L’idea principale è quella di un sociale che riceva forza della cultura e di una cultura che riceva concretezza dal sociale. Quanto all’impresa culturale-turistica contribuisce a far visitare il Sud, svelando le bellezze paesaggistiche e monumentali, ma anche le esperienze che attivano processi di liberazione. Il nostro orizzonte si rifà al documento della Cei Per un Paese solidale (Cei, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno, Roma 21 febbraio 2010, n. 17) che il Sud può offrire un contributo a tutto il Paese: «Il Mezzogiorno può divenire un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto, cioè la capacità di guardare al versante invisibile della realtà e di restare ancorati al risvolto radicale di ciò che conosciamo e facciamo: al gratuito e persino al grazioso, e non solo all’utile e a ciò che conviene; al bello e persino al meraviglioso, e non solo al gusto e a ciò che piace; alla giustizia e persino alla santità, e non solo alla convenienza e all’opportunità».

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