La parola a Bernardino Casadei

4 Aprile 2014

Diamo spazio a una nuova opportunità di approfondimento e ricerca. In seguito alle richieste che ci sono pervenute sul tema "Fondazioni di Comunità", e grazie al focus realizzato dal XIII Rapporto delle Fondazioni-Giornale dell'Arte, prende avvio un percorso di indagine sulle infrastruttute del dono e della cultura del bene comune, insieme alla redazione del Giornale delle Fondazioni. Una nuova collaborazione che ci vedrà impegnati insieme e darà diffusione sui rispettivi siti.

 

 

Le Fondazioni di Comunità sono 32 su tutto il territorio italiano e nascono per stimolare la cultura della filantropia e del dono. Sono enti che esercitano la funzione di intermediari, ovvero danno consulenza ai potenziali donatori, gestendo le pratiche amministrative necessarie, e suggerendo loro i potenziali beneficiari. Specularmente supportano le associazioni che cercano sostenitori, prestando servizi di consulenza in comunicazione e fornendo opportunità di maggiore visibilità. Sono infrastrutture utili anche per il settore Culturale, che ne conosce ancora relativamente poco le potenzialità: le Fondazioni sono infatti un ottimo partner per pianificare una strategia di fund raising strutturato e sostenibile, capace di creare relazioni su lungo periodo.

Abbiamo approfondito l’argomento con Bernardino Casadei, già Segretario Generale dell’Associazione Assifero, e attualmente program officer dell’area servizi alla persona in seno a Fondazione Cariplo.

 

 

Quali vantaggi per le realtà culturali nell’avvalersi dei servizi delle Fondazioni di Comunità?

 

Un punto particolarmente rilevante è la funzione delle FC nel far transitare risorse destinate a progetti culturali e artistici. In quanto Onlus, possono godere di benefici fiscali nonché gestire le pratiche per la deduzione per conto dei donatori. Con le modifiche delle normative riferite alle Onlus, introdotte a partire dal 2009, l’ambito di deducibilità è esteso anche ad attività culturali e creative. Questo significa che tutte quelle realtà non-profit culturali, che non hanno denominazione di Onlus, possono ricevere erogazioni dirette, aprendo un fondo presso le Fondazioni di Comunità, facendo ottenere benefici fiscali per i loro donatori. Potenzialmente anche le imprese creative e culturali, purché esprimano lo status di impresa sociale, possono beneficiare di donazioni. Inoltre, se un’organizzazione vuole rendersi più visibile e raggiungere nuovi target di donatori, può organizzare eventi di sensibilizzazione attraverso la FC, che garantiscono sulla loro serietà e favoriscono la promozione, qualora siano molto piccole.

 

Quali vantaggi per i donatori?

 

I donatori (divisi in quattro categorie: privati cittadini, imprese, enti pubblici, altri enti privati, come la chiesa) possono donare senza incorrere nelle complicazioni delle normative fiscali, perché delegano alla FC la gestione delle proprie deduzioni con la compilazione dei documenti necessari, senza margine d’errore. Inoltre hanno un’ampia gamma di scelte: aprire un proprio fondo vincolato, ricevendo subito gli sgravi fiscali, separando il momento della donazione, da farsi quando questa è più conveniente per il donante, da quello in cui si scelte il progetto da sostenere. Possono destinare le donazioni a un progetto specifico, monitorando l’erogazione fino alla sua elargizione. Ricevono consulenza su quali realtà del Terzo settore sono meritevoli e serie per godere delle proprie elargizioni.

 

Quali visioni per il futuro per le FC?

 

Innanzitutto la loro diffusione su tutto il territorio italiano. La concentrazione delle FC al Nord è effetto diretto della storia della loro nascita, legata a Cariplo. Grazie però al Comitato per il Dono, presieduto dal prof. Stefano Zamagni, si sta colmando questo gap. Infatti svolge le stesse funzioni delle FC su tutta Italia, senza però essere vincolato a un territorio. Laddove manchi una FC locale, donatori e terzo settore possono aprire un fondo immediatamente operativo per drenare risorse. Inoltre, se la comunità vuole istituire una FC, senza però avere il patrimonio di base, può aprire un fondo dedicato sul quale far convergere elargizioni per questo progetto. Quando otterrà l’autonomia patrimoniale, potrà costituire la FC ritirando i denari senza vincoli.

In secondo luogo, si sta ragionando sulla loro funzione sociale, anche imitando modelli anglosassoni. Le FC potrebbero diventare enti di riferimento per attività di impatto collettivo. Ovverosia coordinare e gestire i tavoli inter-funzionali dove vengono prese le decisioni per le comunità, stimolando la co-risoluzione delle necessità dei territori. ad oggi, sono gli enti pubblici che avviano tavoli di progetto, dove spesso le agende sono già stabilite e gli altri enti devono solo concertare. Concentrandosi sugli impatti collettivi, gli enti spostano l’obbiettivo dal progetto/servizio all’impatto che genera sulla comunità.

Infine, le FC sono il centro di competenza per la cultura e la consulenza sul dono. La potenzialità del suo ruolo sociale è quella di essere effettivamente attivatore di solidarietà e coesione sociale, attraverso anche la pratica della relazione di prossimità e fiducia. quello che osserviamo infatti è che le FC sono più efficaci, quanto più tessono relazioni inter-personali, lontane da logiche di puro marketing promozionale, anche favorendo modalità di crowdfunding, modalità che le fondazioni di comunità hanno sperimentato sin dalla loro costituzione nel 1999.

 

Quali suggerimenti?

 

Le FC possono ancora crescere e diffondere la cultura del dono. Innanzitutto dovrebbero investire di più sulle risorse umane interne, coinvolgendo professionisti e abbandonando la falsa chimera del risparmio a tutti i costi nei propri costi gestionali, puntando sul lavoro relazionale. devono uscire dagli uffici e ascoltare il territorio, incontrando persone, enti, il terzo settore. inoltre devono sviluppare una cultura finanziaria più articolata e diversificata per potenziare i rendimenti dei fondi. Infine testimoniare le buone pratiche, chiedendo ai donatori di parlarne fra pari e soprattutto pretendendo che i CdA siano costituiti da donatori, più direttamente coinvolti sull’argomento in prima persona.

 

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