La gara di ritorno. Cile 1973
La politica e il calcio sono due attività a priori molto diverse tra di loro, se non opposte, eppure non si contano i casi in cui è stato utilizzato lo sport, in particolar modo il calcio per la sua popolarità, a fini politici. È una simbiosi problematica, nel senso che il calcio ha sempre creato aspettative sociali che la politica ha saputo cavalcare. In un’intervista per l’Europeo del 31 dicembre 1970 Pasolini lo definiva come “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” e, venticinque anni dopo, Eduardo Galeano, in Splendori e miserie del gioco del calcio scriveva: “Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto”. Gli esempi in cui la politica entra nel mondo del calcio e viceversa sono sotto gli occhi di tutti. Si potrebbe affermare che a partire dal 776 a.C. – anno della prima Olimpiade – fino all’ultimo mondiale in Qatar, la sfida agonistica ha condizionato la sfera politica. Lo dimostrano le diverse dittature militari sudamericane, che hanno utilizzato il calcio per manifestare opposizione o resistenza nei confronti di altre nazioni o di altri leader politici. Un caso eclatante riguarda la qualificazione del Cile ai mondiali in Germania. La nazionale cilena, chiamata la Roja, dopo la partita d’andata a Mosca per la classifica ai mondiali, finita 0-0, doveva disputare quella decisiva di ritorno contro l’URSS nello stadio Nacional di Santiago del Cile (lo stesso stadio utilizzato come campo di concentramento e tortura durante il golpe di Pinochet), ma il segretario generale del Partito comunista, Leonid Brežnev, decise di non giocarla e di lasciare la nazionale sovietica a casa. Il Cile, però, scese in campo lo stesso segnando un gol a porta vuota. Su questa partita mai giocata o giocata senza la presenza dell’avversario, Gregorio Scorsetti ha scritto per l’editore 66thand2nd un romanzo dal titolo La gara di ritorno. Cile 1973, che è una ricostruzione storica dettagliatissima di quei mesi turbolenti che precedono e seguono il golpe di stato dell’11 settembre 1973, in cui è rimasto ucciso il presidente in carica Salvador Allende, il primo presidente di sinistra eletto democraticamente in uno stato sudamericano, costretto ad affrontare, scrive Scorsetti, “la crisi politica di un paese chiuso da una destra che ammiccava ai movimenti neofascisti, segnato dal crollo dei consensi a sinistra e bloccato dall’embargo commerciale degli Stati Uniti e da un’inflazione ormai alle stelle”.
Il libro inizia con le elezioni parlamentari dei primi di marzo 1973, che confermano il governo socialista di Salvador Allende e aprono una lunga crisi politica e sociale che porta il Cile a uno scontro tra i sostenitori del governo in carica e l’opposizione. Insieme alle varie vicende politiche, si narrano anche le sfide calcistiche della Copa Libertadores tra il Colo-Colo (squadra che prende il nome dal capo mapuche Colocolo, che nel 1553 riuscì a sconfiggere l’esercito spagnolo) e l’avversaria Unión Española. Da questo intreccio tra politica e calcio, La gara di ritorno si sviluppa in modo cronologico, per concludersi con la partita fantasma in cui il Cile, senza l’avversario, vince nel novembre dello stesso anno contro l’URSS allo Estadio Nacional di Santiago e si qualifica ai mondiali del 1974. Dunque, nove mesi in cui Gregorio Scorsetti riesce a sintetizzare la storia di un paese tormentato e violentato dalle vicende interne.
Il libro è suddiviso in due parti, la prima si conclude con l’11 settembre, il giorno in cui Pinochet sancisce la fine della democrazia cilena e la seconda inizia con il primo giorno della dittatura. Ed è raccontato dal punto di vista del capitano della nazionale cilena, Francisco Valdés, amico e sostenitore di Salvador Allende. Dunque, si entra con una lente d’ingrandimento nelle vicende politiche e sportive di uno dei paesi più emblematici e controversi della storia sudamericana. La vicenda storica di Francisco Valdés, inoltre, si intreccia con quella di altri personaggi: Maritza, la sua compagna; Carlos Caszely, l’attaccante della nazionale sopranominato el Rey del metro cuadrado, e altri calciatori dell’epoca tra cui Leonardo Véliz e Sergio Ahumada.
Tra i personaggi descritti nel libro di Scorsetti è interessante evidenziare la figura di Victor Jara, il cantautore che ha saputo rappresentare la nuova canzone cilena e ne è diventato un emblema: “aveva mosso i primi passi sulla scia della rivoluzione cubana del ’59”. Ispirato dai movimenti rivoluzionari, Jara “aveva ripreso il folklore e le tradizioni popolari di cui si erano avvalsi Violeta Parra e i cantautori cileni degli anni Sessanta per mettersi al fianco dei lavoratori e dei proletari che scendevano in piazza”. Il giorno dopo il golpe fu arrestato, torturato e dopo cinque giorni, come si sa, lo freddarono a colpi di fucile allo stadio Nacional. È inevitabile pensare anche al caso di Charles Horman, il giornalista americano ucciso anche lui nello stadio Nacional di Santiago, famoso grazie al film del 1982 diretto da Costa-Gavras, Missing.
La seconda parte del libro, si diceva, inizia con il 12 settembre: “Il giorno dopo ci svegliammo sotto la pioggia. La città iniziava la giornata in un clima di terrore, con i dipendenti pubblici che tornavano puntuali ai loro uffici per non essere schedati come dissidenti e oppositori del regime, seguendo l’appello del generale Leigh alla tv e alla radio di riprendere ognuno il proprio lavoro, perché era ora di ricostruire il Cile. Lo stesso fecero i minatori e gli operai cominciando il turno sotto l’occhio vigile dei soldati di presidio alle cinture industriali di Santiago”.
Quello stesso giorno iniziano anche le ispezioni “alle case di cineasti e scrittori, a cominciare da quella di Neruda”, si arrestano i deputati dell’opposizione, si dichiarano “illegali i partiti socialisti, comunisti e i collettivi di chiara ispirazione marxista”, si chiudono giornali, si mettono a tacere i canali televisivi e radiofonici, si rastrellano gli archivi e le biblioteche, si chiudono le università statali e si bruciano libri, pellicole e giornali. I Quilapayún e gli Inti-Illimani si salvarono solo perché in quei giorni si trovavano in Europa. La gente spariva e la violenza era diventata parte della vita quotidiana. In questo clima di terrore, nonostante la dissidenza, i pochi a essere “diventati degli intoccabili” erano i giocatori della Roja. Da lì a poco, le immagini dei prigionieri allo stadio Nacional di Santiago fanno il giro del mondo e svelano quello che sta accadendo in Cile. La nazionale, dopo il pareggio a Mosca contro l’Unione sovietica (il 26 settembre), doveva giocare la partita di ritorno nello stesso stadio Nacional che, all’improvviso, si era trasformato in un campo di concentramento, ma “il Cremlino mandò una lettera alla Fifa sostenendo che non ci fossero i presupposti per disputare la partita, e che in un campo di concentramento la loro Nazionale non avrebbe mai giocato”.
Inoltre, il Cremlino temeva per l’incolumità dei propri giocatori e ruppe ogni relazione diplomatica, chiedendo alla FIFA la squalifica del Cile per via della violazione dei diritti umani. La FIFA, dopo un sopralluogo allo stadio, fissò la partita per il 21 novembre. È intrigante l’incontro tra Pinochet e Francisco Valdés, due giorni prima della partita fantasma, raccontato da Scorsetti, e a seguire il resoconto di quella disputa surreale senza avversario in cui il capitano della nazionale si vide costretto a segnare a porta vuota.