Speciale
Il bambino e le isole (un sogno di Calvino)
Ho sempre avuto l’impressione che i libri di Marino Magliani, più che concentrarsi sui personaggi e sulle caratteristiche intrinseche, siano, piuttosto, una ricerca sugli spazi, o quanto meno il rapporto che i personaggi stabiliscono con questi: mappe immaginarie di un paesaggio reale. C’è, per così dire, una maggiore intensità sui luoghi che circondano i personaggi che sui personaggi stessi. È una sua dote: gli spazi acquistano sempre una centralità nell’architettura narrativa. Ha raccontato magnificamente il quartiere di Zeewijk (IJmuiden – Olanda Settentrionale), per esempio, dove abita da tempo, in un testo sebaldiano dal titolo Soggiorno a Zeewijk; ha raccontato in molti libri, altrettanto magnificamente, quella lingua di terra, chiusa tra il mare e la montagna, che è la Liguria, dove è nato. Ne ricordo solo gli ultimi tre, nei quali compare uno scenario verticale e sbilenco, una Liguria “tutta scagliosa, tutta scale e gradazioni ascendenti”: Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere, 2018), Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma, 2021) e Peninsulario (Italo Svevo, 2022). E ora, per l’editore 66thand2nd, torna ai suoi luoghi dell’anima (Sanremo, Arma di Taggia, Andora, Alassio, Albenga) con un romanzo dal titolo Il bambino e le isole (un sogno di Calvino). Questa volta, però, lungo l’asse ferroviario, perché qui la Liguria di cui parla segue l’orizzontalità dei binari, dalla Riviera di Ponente a quella di Levante. A sottolineare questo, i due assi verticale/orizzontale, è lo stesso Magliani nella nota di chiusura al testo: “Forse ho cominciato a scrivere e dopo un po’ ho scoperto che, senza accorgermene, stavo raccontando davvero una Liguria diversa dalle solite mie, e quella Liguria si era situata a pochi metri sul livello del mare. Un romanzo diritto come lo sono i binari, e lungo quasi quanto la Liguria…”
Il libro può essere pensato come una sorta di viaggio all’interno di una regione fiabesca, fatta di mondi onirici e di luoghi geografici, che più entrano nel racconto, più si trasformano in spazi concreti: ambientazioni che si fanno avanti con il loro tessuto storico e, soprattutto, con un portato simbolico che le rende uniche. Il paesaggio ligure si interpone come sfondo, tra spiagge, falesie, strapiombi, gallerie e treni che si perdono all’orizzonte. Tutto si svolge in un tempo dilatato, sfuggevole. Un romanzo stratificato, dove le sovrapposizioni spazio/temporali sembrano determinare il destino dei personaggi, sempre alla ricerca della propria libertà: un ragazzino, futuro scrittore che, da una parte fugge da una madre apprensiva e dall’altra insegue il destino che un pallone disegna davanti a sé, nell’andare oltre i binari della ferrovia, senza attraversarli. Come sottolinea l’autore, sempre nella nota, questo libro è “una mappa, qualcosa di puramente geografico e nello stesso tempo cronologico”.
A raccontare meglio la storia di Il bambino e le isole è lo stesso Marino Magliani in un piccolo saggio, Liguriana, che si trova all’interno di un volume collettivo, uscito in questi giorni per Exòrma, dal titolo Calvino, Biamonti, Magliani. Il racconto del paesaggio, lo sguardo, la luce (con testi di Claudio Panella, Luigi Preziosi, Fabrizio Scrivano, Luigi Marfè e foto di Ario Calvini, Matteo Carassale, Umberto Germinale):
“Il protagonista è un bambino che gioca al pallone in un carruggio in discesa di Sanremo, nei pressi della ferrovia. Il pallone rotola e finisce oltre i binari, il bambino vuole recuperarlo, ma non deve disubbidire all’ordine della madre: non si attraversano i binari. Allora non gli resta altro da fare che incamminarsi accanto alle rotaie, per trovarne la fine. Avrei voluto tentare di scrivere questo romanzo come se fosse stato di Calvino.
Del resto l’idea è stata proprio sua, di Calvino: era ragazzo e ne aveva parlato agli amici, forse ai tempi in cui con gli amici si confessano i progetti letterari. Lui, ragazzo prima della guerra, senza sapere che la Sanremo della sua gioventù finita la guerra sarebbe sparita, disse che avrebbe voluto raccontare la storia di un bambino che diventa vecchio lungo i binari cercandone la fine, ma senza trovarla, fin quando, certo che i binari sono infiniti – forse anche quelli tronchi –, gli sarà chiaro che il pallone è irrecuperabile e allora tornerà a Sanremo. Ma Calvino questa storia non la scrisse e io ho pensato che qualcuno l’avrebbe potuta scrivere, come gli autori di questo libro e di queste fotografie hanno provato a leggere tra le pietre rotte di tre scrittori così diversi tra loro e nello stesso tempo provenienti dalla stessa terra.”
Il romanzo inizia con l’arrivo di Walter Benjamin a Sanremo, nell’estate del 1935, qualche anno prima che finisse impigliato nelle maglie del nazifascismo. Giunge alla città dei fiori con una valigia piena di libri illustrati, alla ricerca della lucertola ocellata (evocata di continuo ma sempre sfuggevole) e lì incontra, appunto, un ragazzino di nome Italo Calvino con il quale coltiva una breve amicizia. “Perché cercate la lucertola ocellata?”. “Perché nella vita,” risponde Benjamin, “bisogna cercare qualcosa, l’importante è non trovarla, altrimenti non hai più nulla da cercare”. Attraverso un Calvino immaginario che punta il binocolo su ogni cosa, ricavandone una gamma di impressioni visive, e si mette alla ricerca di un pallone, Marino Magliani, in questa divagazione lungo le rotaie e i carruggi sanremesi, incontra una serie di personaggi reali e immaginari che man mano vanno creando la trama intertestuale.
Verso l’inizio del libro troviamo Walter Benjamin che osserva fuori dalla sua stanza di albergo:
“Dalla finestra rivolta alla montagna il fresco incollava alle foglie una luce nuova. Forse aveva piovuto. Dalla parte del mare risaliva il giorno, trascinando con sé un brusio già stanco, di bagnanti e carrozze”, è un passaggio, come ce ne sono altri, che fa venire in mente il signor Palomar affacciato alla finestra mentre contempla il mondo e si chiede cosa significhi guardare, per accorgersi subito dopo che nello sguardo non c’è un dentro e un fuori e che l’io che osserva forse non è altro che la finestra rivolta alla montagna. Come in questo caso, lo sguardo non è un atto rinchiuso nella sfera dell’osservazione contemplativa, ma è radicato in ogni personaggio e nella sua stessa storia: come dice Calvino stesso, “trasformare il paesaggio in ragionamento” (chiarimento che definisce, per certi aspetti, una parte consistente della produzione letteraria di Calvino). Dunque, il paesaggio è un destino, determina la personalità dei personaggi e il rapporto con il mondo; non è un’alterità indipendente dal soggetto, e questa, si potrebbe dire, è un’eredità che ascrive Magliani a quel paradigma ligure di cui parla Giorgio Bertone (Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Liguria, 1994).
In un saggio di Luigi Preziosi, Scorci di paesaggio ligure, contenuto in Calvino, Biamonti, Magliani. Il racconto del paesaggio, lo sguardo, la luce, si sottolinea: “Ben più del mare, è l’interno della Liguria il vero palcoscenico sul quale si svolgono le storie narrate da Biamonti (tutte) e molte di quelle raccontate da Magliani”. In effetti, si potrebbe affermare che l’interno predomina rispetto al resto, ma il mare, tuttavia, lo si respira in ogni descrizione, così come, in ogni pagina, si possono trovare tracce dell’opera calviniana e la sua ossessione classificatoria. Il bambino e le isole, dunque, è il sogno di un Calvino immaginario che vaga e invecchia sulle rotaie alla ricerca della propria libertà.