La parabola del berlusconismo

21 Maggio 2014

Con opportuno tempismo, il nuovo e ultimo lavoro di Piero Ignazi (Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo, Il Mulino 2014) tenta un complessivo bilancio critico del fenomeno Berlusconi, proprio nell’anniversario ventennale della sua “discesa in campo” (1994-2014). Vent’anni sono un periodo notevolmente lungo per la durata delle leadership democratiche, se solo pensiamo che le più recenti e significative leadership di paesi democratici hanno una vita politica media che non supera mai normalmente i 15 anni: i presidenti americani 8 anni, poi escono dalla scena politica, la Thatcher 11 anni, Blair 10 anni (13 come leader di partito), Mitterrand 14. Solo Helmut Kohl è un’eccezione con 25 anni di leadership. Viene naturale, dunque, accostare quasi inconsapevolmente il ventennio berlusconiano a un altro ventennio italiano. Al di là dell’evidente forzatura e dell’improponibilità di un tale paragone, è altrettanto evidente l’anomalia del fenomeno berlusconiano.

 

 

È vero, come riconosce Ignazi, che il partito creato dall’imprenditore milanese non è mai stato semplicemente “un partito di plastica” o un mero prodotto del marketing politico. Il partito berlusconiano è un “partito diffuso capillarmente sul territorio”, è stato costruito in maniera quasi “leninista”, certo sfruttando le reti relazionali di Publitalia e della Fininvest, si è presentato sempre come una duvergeriana “comunità “ di destino. Può non piacere, ma il consenso di cui ha goduto Berlusconi e il suo partito, con alti e bassi, per un ventennio è un consenso reale di determinati strati e figure sociali (a cominciare, pare, dalle casalinghe, ma anche dei titolari di partita IVA e a volte anche di pezzi dell’establishment ecc.) portatori tanto di ben determinati e corposi interessi, quanto di peculiari valori culturali. Tutto questo è vero. Ma senza la violazione flagrante del principio liberale della separazione dei poteri (e anzitutto tra potere economico, mediatico e politico) e l’immissione nella competizione politica di una potenza di fuoco straordinaria, derivante da un esteso impero mediatico e finanziario, difficilmente la leadership di Berlusconi si sarebbe potuta affermare con tale immediatezza e con tale successo. Le due verità sono complementari e non incompatibili tra loro.


In maniera argomentata e convincente, la bella narrazione e l’acuta analisi di Ignazi mettono in evidenza come il berlusconismo non sia un fenomeno venuto dal nulla, ma sia “in continuità con certa storia italiana… [ed] esprime e proietta sul piano pubblico-politico quanto è venuto maturando nel decennio precedente” (p.11).

 

Decennio in cui in cui era montata l’insofferenza e la rivolta poi contro la tutela asfissiante dei vecchi partiti, in cui si era affermato un individualismo dalle molte versioni (dall’edonismo al ripiegamento nel privato), in cui maturavano i primi germi dell’antipolitica, in cui si cominciava ad affermare la personalizzazione della politica, in cui il craxismo tentò certo una modernizzazione della società italiana ma finì poi nell’affermazione dei “nani” e delle”ballerine” (precursori delle “olgettine “ e delle serate di Arcore?) e nel vortice di tangentopoli. In quanto espressione e figlio di questo decennio ”Berlusconi è l’interprete perfetto di questa trasmutazione antropologica dell’italiano medio, in fuga da stato e chiesa, per cavalcare verso il privato, professionale e personale…”(p.15).
Se questa è la genesi del berlusconismo, si comprende allora anche la sua parabola.

 

Berlusconi non ha creato una destra liberale, costituzionale di stampo europeo, non ha creato “il partito dei moderati”, non ha compiuto alcuna rivoluzione liberale, nonostante le sue promesse del 1994. Via via che veniva coinvolto sempre più nelle vicende giudiziarie personali, Berlusconi ha sviluppato con virulenza, soprattutto quando all’opposizione, una forma di populismo antiistituzionale, una concezione della democrazia maggioritaria di tipo plebiscitario e “direttista” (visione questa purtroppo condivisa anche trasversalmente), in cui il primato della legge e la divisione dei poteri venivano, di fatto, cancellati. Non a caso il filo rosso della sua parabola è stato il continuo vittimismo, ripreso, alimentato e amplificato dalla batteria imponente dei suoi diffusi strumenti mediatici. E non a caso al termine della sua parabola sta il diffusissimo discredito internazionale.

Va certamente riconosciuto a Berlusconi il merito di avere creato e mantenuto in vita il peculiare bipolarismo all’italiana, nel bene e nel male. Va riconosciuto al personaggio anche un’indubbia capacità di leadership. Ma non certamente una “visione”, tipica delle grandi leadership.


Delle molte ombre e delle poche luci del fenomeno berlusconiano, Piero Ignazi dà conto, con analisi e spiegazioni esaurienti e convincenti.
Tracciando un bilancio finale, Ignazi non può fare a meno di indicare tre fallimenti della parabola del berlusconismo:

1) il fallimento della costituzione di un grande partito liberal-conservatore (in sua vece una formazione patrimoniale-populista);

2) il fallimento della modernizzazione del paese; 3) il fallimento della promessa rivoluzione liberale (in sua vece la difesa d’interessi soprattutto personali, oltre che settoriali e corporativi).


Da parte nostra possiamo aggiungere che il ventennio berlusconiano è un ventennio sprecato per il paese e i suoi problemi.

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