La scimmia che vinse il Pulitzer

18 Aprile 2011

Presentiamo il libro di Nicola Bruno e Raffaele Mastrolonardo La Scimmia che vinse il Pulitzer. Storie, avventure e (buone) notizie dal futuro dell’informazione, edito da Bruno Mondadori, collana Presente Storico.

 

Scarica l'introduzione del libro in pdf.

 

Di seguito i commenti al libro di Roberto Marone e Bertram Niessen.

 


 

La scimmia che vinse il Pulitzer, otto capitoli: precisione, velocità, intelligenza, partecipazione, trasparenza, libertà, bellezza, cambiamento.

Otto capitoli che raccontano l’universo dell’informazione e del giornalismo in questi ultimi (embrionali) 10 anni di web.

 

C’è il ragazzino matto che con un account Twitter batte sul tempo i Golia dell’informazione, il software che scrive da solo articoli bellissimi,il progetto di testimonianze open source dall’Africa, e l’inevitabile storia su Assange (icona eroica di quel mondo), il tutto a bagno in un entusiasmo che oggi abita solo le teste di chi lavora online.

 

A voler aggiungere una parola, alle otto, io avrei aggiunto memoria.

Il libro sfoggia con naturalezza, in tutti i suoi capitoli, la capacità del web di essere leggero e quindi dinamico, e si palesa pagina per pagina il totem della velocità. Eppure se c’è per paradosso una convivenza fra opposti sul web è la capacità che tutto ha di volare via e al contempo di rimanere in eterno.

 

A ben pensarci, la carta, che per anni è sembrata il paradigma e il feticcio della memoria (librerie, scaffali, biblioteche), non possiede la stessa capacità di archiviazione del web. E nemmeno la stessa memoria. Certo, in rete si trovano solo le cose degli ultimi 20 anni (da quando esiste), ma è innegabile che di quei 20 anni abbiamo conservato sostanzialmente tutto. E Google, prima ancora di essere una sofisticata macchina di consumo del presente, è uno straordinario database di una memoria globale.

 

Fra 100 anni, tutto quello che abbiamo scritto, anche queste mie poche righe, sopravviverà. È difficile, ma utile, immaginare e capire come la rete ha nella sua leggerezza e velocità il coesistere antitetico di una strutturata e robusta propensione al passato.

 

Se qualcuno riscriverà questo libro, fra 100 anni, sono sicuro che dentro ci sarà la storia dell’orfano sociopatico che dal web recupera testi, foto e video dei suoi genitori, scoprendo chi è e da dove viene. Sarà un capitolo di un libro cliccatissimo, in tutto il mondo, per un solo giorno: fino a che rimane in homepage.

Roberto Marone

 


 

Il futuro immaginato nella letteratura di fantascienza ha iniziato ad essere sempre più prossimo. Non più imperi solari e viaggi interstellari tra milioni di anni, ma visioni di quello che potrà accadere tra trenta, dieci, cinque anni. Questo perché la fantascienza ci corre incontro a tutta velocità, e la nostra quotidianità è la percezione al rallentatore dell'impatto.

 

Ancora poche persone si rendono conto che stiamo passando attraverso cicli continui di rivoluzioni industriali, altrettanto dirompenti nei modi e negli effetti di quelle che abbiamo studiato sui libri di storia. Solo più veloci. Incredibilmente più veloci.

 

In molti sono convinti che, una volta capita per sommi capi "la globalizzazione", si è in grado di avere un quadro sufficientemente chiaro di quello che sta succedendo nella cultura, nella società, nell'economia. Peccato che la globalizzazione sia un fenomeno vecchio di quasi quarant'anni, e che cambiamenti della stessa portata si succedano a catena.

 

L'avanzata degli User Generated Contents e la loro progressiva integrazione in sempre nuovi aspetti della vita è un fenomeno difficile da cogliere. Soprattutto mentre si contribuisce costantemente a costruirlo. Youtube, Vimeo, Flickr, Facebook sono divenute parti integranti del vissuto quotidiano di centinaia di milioni di persone in tutto il globo, che incessantemente producono, aggregano, selezionano e manipolano informazioni. Ed ognuno di noi contribuisce, in misura maggiore o minore.

 

All'attività dei singoli si somma quella di un'infinità di enti, organismi, istituzioni, attori collettivi  che producono flussi continui di dati, grezzi o raffinati in notizie. Recentemente, molte amministrazioni hanno iniziato a rendere liberamente accessibili i dati urbani: enormi archivi on-line su Londra, san Francisco, Toronto e molte altre metropoli vengono implementati continuamente. Ogni giorno vengono postati su Twitter cento milioni di messaggi, in gran parte raggiungibili da chiunque.

Come ha osservato Shirky in Surplus cognitivo. Il potere collettivo di pensiero e azione (Codice, 2010), internet è variamente accessibile a due miliardi di persone nel mondo, mentre più di tre miliardi di persone sono connesse a reti telefoniche con telefoni cellulari. In un mondo di quattro miliardi e mezzo di abitanti, questo vuol dire che viviamo per la prima volta in un tempo in cui essere connessi globalmente è la situazione normale per la maggioranza della popolazione mondiale.

 

Per come abbiamo sempre concepito il mondo intorno a noi, non possiamo fare altro che pensare a tutto questo in termini di quantità. L'informazione globale è “tanta”. Tantissima. Ma per riuscire a comprendere quello che sta accadendo, ed avere un ruolo di cittadinanza attiva nelle trasformazioni, dobbiamo imparare a pensare in un modo diverso. L'informazione non è solo tanta, è anche infinitamente complessa. Si produce, trasforma e riproduce attraverso reti incredibilmente articolate di attori pubblici e privati, individuali e collettivi. Tra il polo dei costanti tentativi di disciplinamento e istituzionalizzazione da parte di aziende che hanno il budget annuale di stati nazionali e quello dell'azione consapevole ed inconsapevole di miliardi di individui che riversano in rete le loro biografie, le loro esperienze e le loro visioni del mondo, si generano costantemente nuove minacce totalitarie per il pensiero e nuove incredibili possibilità di emancipazione.

Comprendere questa complessità significa cambiare le nostre epistemologie e, prima ancora, il nostro senso comune. E non c'è modo migliore del racconto per farlo.

 

Da appassionato di fantascienza, La scimmia che vinse il Pulitzer è il libro che quindici anni fa mi sarei aspettato di leggere oggi. Le storie (vere) che ci racconta sono quello per cui ci avevano preparato Isole nella Rete e Caos USA di Bruce Sterling (Fanucci, 1997). Gruppi di ribelli digitali che danno l'assalto agli archivi segreti di governi e multinazionali. Attivisti africani che sviluppano piattaforme per aggiornare in tempo reale i dati dei conflitti da sperdute zone di guerra. Giornalisti di successo che rinnegano la propria testata per unirsi ad hackers e programmatori e rivoluzionare linguaggi e forme della comunicazione. Isole remote che rispondono alle crisi finanziarie trasformandosi in paradisi della libertà di parola. Software semi-senzienti in grado di selezionare i dati e trasformarli in articoli. Una serie di emozionanti e visionarie storie di successo.

 

E questo eccesso di ottimismo è, se vogliamo, il maggior difetto del libro, che forse avrebbe guadagnato da un miglior equilibro tra buone e cattive notizie, che tra censura on-line, repressione degli attivisti informatici e tentativi orwelliani di monopolizzazione non mancano di certo. Ma gli autori ci hanno raccontato per anni l'altro lato della medaglia su Chip&Salsa, la rubrica tecnologica del Manifesto. Quindi va bene così.

 

Bertram Niessen

 

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