Speciale

Leggere Le fiabe italiane

19 Ottobre 2023

Quando, negli anni Cinquanta, finito il fascismo e fatta l'Italia bisognava rifare gli italiani, saldarli in un'unità politica e culturale che fosse ampia, giocosa, senz'altro libera, l'editore Giulio Einaudi concordò con Italo Calvino la raccolta di duecento fiabe che, attingendo ai patrimoni regionali, andassero a costituire un solo serbatoio per tutti, dentro il quale chiunque potesse riconoscersi, dalle Alpi al Mediterraneo. Fu così che Calvino visse per anni "in mezzo a boschi e palazzi incantati”, come lui stesso racconta, cercando le magie e gli archetipi che ritornavano di città in città, di paese in paese, unendo i fili rossi e lasciando emergere le caratteristiche brillanti, uniche e ancestrali che rendevano ogni storia meritevole di essere narrata in quella precisa versione e in nessun'altra. Una parte del suo lavoro si concentrava sui contenuti e una parte sulla lingua – sempre inscindibili gli uni dall'altra, perché i dialetti nei quali lo scrittore rinveniva le fiabe non si limitavano a colorirle ma li caratterizzavano nell'esistenza; bisognava allora tradurle senza impoverirle, tradurle senza snaturarle ma facendo sì che i bambini di tutte le regioni arrivassero a sentire un affratellamento di origine, non retorico, con i bambini delle altre regioni.

Calvino descrive il suo intenso lavoro sull'italiano, una ricerca nata e creata immaginando che sui banchi e prima della buonanotte, nelle scuole e nelle case d'Italia, si parlasse la stessa lingua "arricchire sulla scorta delle varianti la versione scelta, quando si può farlo serbandone intatto il carattere, l'interna unità, in modo da renderla più piena ed articolata possibile; integrare con una mano leggera di invenzione i punti che paiono elisi o smozzicati; tener tutto sul piano d'un italiano mai troppo personale e mai troppo sbiadito, che per quanto è possibile affondi le radici del dialetto, senza sbalzi nell'espressioni ‘colte’ e sia elastico abbastanza per accogliere e incorporare dal dialetto le immagini, i giri di frase più espressivi e inconsueti”.

Italo Calvino, Le fiabe italiane

La provenienza geografica, riportata tra parentesi, assumeva allora caratteri non restrittivi ma, al contrario, di condivisione e ricchezza, rivelando la vera natura della fiaba: essere, sempre, un racconto migrante. Un miracolo sconfinato ci lascia l'opera di Italo Calvino: sulle Dolomiti, dove il tramonto fiammeggia tre cime e rocce, corre tra i banchi una leggenda acquatica e isolana come quella di Cola Pesce, mentre giù nel tacco pugliese dello Stivale si mormorano le vicende emiliane del Gobbo Tabagnino, e fino in Sardegna arrivano gli echi di un piccolo friulano chiamato Pierino Pierone, minacciato dalla Strega Bistrega. Il prodigio è compiuto: le fiabe dei singoli sono diventate fiabe di tutti.

Anni dopo la pubblicazione di Le fiabe Italiane, siccome Calvino era un signore al quale non bastava mai niente e gli piaceva andare fino al cuore delle cose, veder nascere nuove idee prima che si esaurissero le vecchie, decise di collezionare a parte alcune di quelle storie, che gli sembravano particolarmente adatte ai più piccoli, e farle uscire dedicandole esplicitamente a loro. C'era, in quel gesto, il rinnovo di una volontà politica, l'obiettivo di un'alfabetizzazione comunitaria sempre più precoce, e insieme la consapevolezza di quanto fossero già potenti, nella primissima infanzia, i meccanismi della paura, dell'immaginazione, della risata.

Cosa succede, dunque, nelle fiabe per i più piccini? Nulla di diverso da quello che accade in tutte le altre, solo che ogni particolare è anche più esplosivo, ancora più concentrato e sublime, ci sono l'orrore la delizia, lo spavento e la meraviglia, il fatato e il simbolico, l'ardore della crescita e la dirompenza della risata.

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Tu questo, innanzitutto, è bello da vedere: per prima cosa, ai lettori di questa edizione si chiede di godersi lo spettacolo delle splendide illustrazioni di Emanuele Luzzati, vive e teatrali e colorate come solo quelle del grande maestro sanno essere, capaci di cogliere l'essenza festosa della tragedia, il cuore tragico della comicità.

Poi, arriva il testo. A rileggere oggi le fiabe raccolte da Calvino, colpisce il ruolo centrale rivoluzionario delle bambine, perlopiù sveglie e accorte, ingegnose dell'accudire i fratellini e leste a scappare via dei pericoli, istintivamente portate a una comprensione disintermediata del piano magico e segreto con cui si intreccia il nostro mondo quotidiano, il mondo naturalista. Per esempio: Bellinda a Livorno e Giricoccola a Bologna due ragazze bellissime, senza altra macchia che quella di essere desiderabili e desiderate, e perciò invidiate dalle donne racchie e stupide delle loro famiglie; bontà, intelligenza e furbizia si fondono in un'unica immagine di salvezza e indipendenza, mentre la bruttezza di dentro e quella di fuori sono un tutt'uno per le altre, che si affannano, senza successo, a mettere i bastoni tra le ruote alle due eroine, talmente autodeterminate, leggiadre e spericolate da non aver paura di amare e conoscere anche gli aspetti mostruosi dell’umanità. La morale è evidente, per maschi e per femmine: a render belli sono la consapevolezza di sé, la pervicacia e l'amore per i propri obiettivi, insieme a una giusta dose di altruismo. Al contrario, invidiare, odiare, proiettare le proprie frustrazioni sugli altri imbruttisce e appesantisce, e tutto ciò, lungi dal distruggere l'invidiato, finisce per disintegrare l’invidiante. Se ne ricava una morale che va bene per tutti i tempi e tutte le età: odiare non è un'attività intelligente.

Un posto importante in queste fiabe l'occupano gli animali, che raccontano il travestimento di un essere umano temporaneamente impossibilitato a esprimere la sua natura, costretto a reprimersi e nascondersi a causa di un incantesimo, ovvero di una trasformazione coatta. Le sembianze ingannevoli possono rivelarsi una vera e propria fortuna per chi non teme la differenza e ha il coraggio dell'alleanza o dell'amicizia, al contrario saranno una fregatura per chi non è capace di interloquire con un'anima al di là del tangibile. C'è tutta la stortura del razzismo, qui: vinci se non vedi la diversità oppure se la vedi e non ci badi, invece perdi se la vedi e te ne crucci oppure se la vedi e la sottovaluti. In queste storie il granchio si rivela il principe, l’Uccel Belverde completa la felicità di una famiglia, il vitellino con le corna d'oro è un bambino impaziente che diventerà un bellissimo adulto. E poi ci sono il gallo cristallo, la gallina cristallina, l'oca contessa, l'anatra badessa, l'uccellino cardellino: tutti insieme formano una squadra e (grazie a una donna, ancora una volta) si salvano dal lupo, che come nelle migliori tradizioni e mannaro, famelico e cattivo. Natalia Ginzburg nell'articolo Senza fate e senza maghi, in cui definiva le fiabe di Calvino "un libro stupendo” (“vi si respira l’aria libera della fantasia e insieme l’aria aspra e libera della realtà”) contro l'ammorbidimento dei lupi scriveva così: "i lupi esistono. Si possono sfamare quanto si vuole, restano lupi e usano mangiare gli uomini. Oltre ai lupi, esistono persone che assomigliano ai lupi e il mondo ne è pieno. Non vedo quale vantaggio abbiano i bambini a pensare che i lupi diventano miti se gli si dà da mangiare. Non vedo nemmeno quale vantaggio abbiano i bambini a non aver più paura dei lupi.”

Vorrei concludere chiamando a raccolta uno dei personaggi preferiti della mia infanzia e anche di adesso: Giufà, il ragazzo scemo che fa disperare la mamma perché prende tutto alla lettera ed è sempre convinto di fare la cosa giusta mentre sta sulla soglia del prossimo scivolone catastrofico. Giufà è il nome di una sagoma siciliana, ma la figura del figlio grullo, tipica di tutte le regioni e di tutte le culture, sta a ricordarci che non dobbiamo aver timore di indossare il contrario dell'intelligenza, ovvero la stupidità. Ogni sua avventura dice che possiamo anche essere sbagliati, farci il regalo di apparire a volte un po' vuoti, molto ottusi, incoscienti e confusionari, che non dobbiamo essere perfetti, che il vero lusso è ridere di noi. È utile ricordarlo ai più piccoli, che hanno bisogno anche di questo: che le fiabe si prendano cura delle loro fragilità, delle loro debolezze, che li facciano sentire al sicuro mentre fanno tanti errori e si sentono un passo indietro agli altri. Noi adulti ne abbiamo altrettanto bisogno, ecco perché ridere, insieme a loro, a Italo Calvino e alla potenza bislacca dei suoi personaggi, apre il cuore con movimento catartico e liberatorio.

Venerdì ottobre ore 11 
Biblioteca Flaminia  

Le Fiabe italiane
con Nadia Terranova

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Fiabe italiane con illustrazioni di Luzzato
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