Speciale
Sfruttamento / Radio Ghetto
1540. Lo spagnolo Hernán Cortés rientra in patria portando con sé alcuni esemplari di xitomatl (grande tomatl), pianta integrante della cultura azteca.
La pianta viene inizialmente impiegata in Spagna e a Napoli, possedimento spagnolo, per scopi ornamentali in orti e giardini. Pietro Andrea Mattioli (1501-1578), umanista e medico italiano, classifica nel 1544 la specie di Solanum lycopersicum come velenosa, pur ammettendo che in talune regioni i suoi frutti vengano mangiati dopo essere stati fritti nell’olio. Gli alchimisti nel Cinquecento e Seicento gli attribuiscono misteriosi poteri afrodisiaci. È all’amore che fa riferimento la declinazione di nomi che gli vengono attribuiti in diverse lingue europee: love apple in inglese, pomme d’amour in francese, libesapfel in tedesco e pomo d’oro in italiano. Chissà come si dice pomodoro in Chad, Costa d’Avorio, Nigeria, Burkina Faso, Benin, Mali e Senegal? Tamatim? Tomate? Tomati? Kamaate? Tamaate?
2012
A marzo nelle campagne foggiane ha inizio la semina dei pomodori. A maggio insieme al raccolto inizierà anche una rodata routine di sfruttamento di decine di immigrati pagati 5 € circa per ogni cassa di pomodori da 350 Kg pagata quasi sempre in nero [di questi, il caporale trattiene al bracciante una tangente che va da 1 a 2 € a cassone, come benefit per l’intermediazione di manodopera]. Il contraltare architettonico della “cappa di complicità sugli schiavi della raccolta” di ventiquattromila micro-aziende agricole nel solo foggiano è la nascita di una costellazione di ghetti, aree in cui vivono i braccianti operanti in Puglia. Gli architetti beneficiari di questa gestione neo-coloniale e para-carceraria del lavoro bracciantile sono le organizzazioni dei produttori (O.P.) e i grandi consorzi, che ovviamente sono legati a doppio filo con la grande distribuzione organizzata (G.D.O.). Nei campi tra San Severo, Rignano Garganico e Foggia nasceva verso la fine degli anni Novanta il ‘Grande Ghetto’ in seguito allo sgombero di uno zuccherificio abbandonato, dimora anch’essa di braccianti stranieri operanti nei campi limitrofi. Il Grande Ghetto ospitava, sino allo sgombero nel marzo di questo anno, circa tremila lavoratori stagionali all’interno di baracche provvisorie. Era in questo non luogo, o spazio invisibile nella geografia dello Stato italiano, che, su impulso della Rete Campagne in Lotta, nel 2012 nasceva Radio Ghetto, un progetto di radio partecipata che dà voce alla comunità che vive nel ghetto ogni estate da fine luglio a inizio settembre. In seguito allo sgombero e all’incendio del Grande Ghetto (in cui morirono due braccianti del Mali), la strumentazione necessaria per le trasmissioni radiofoniche è stata spostata sulla pista di Borgo Mezzanone, la quale faceva parte di un aeroporto militare utilizzato dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. La baraccopoli sorge a fianco del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, il cui recinto è oltrepassato da cavi di elettricità e acqua che vanno verso la baraccopoli.
Radio Ghetto ha trasmesso sino al 2016 principalmente all’interno del Gran Ghetto di Rignano Garganico e con il tempo ha cercato di aprirsi un varco verso la società italiana tramite Radio Ghetto Italia, un estratto settimanale della programmazione trasmesso da piccole radio dislocate in diverse regioni italiane e nel web (RadioBarrio), e verso l’Africa tramite Radio Ghetto Africa, un programma di mezz’ora in francese, che fa luce sull’Europa di oggi e che viene trasmesso in Marocco, Burkina Faso, Benin e Senegal.
Il contenuto mediato dalla lingua italiana e francese non è il medesimo: c’è uno sguardo a confini e prospettive più ampie nel passaggio alla seconda lingua. Inglese, wolof e barambà fanno capolino fra questi codici, colmando o aprendo lacune tra i microfoni e l’ascolto. Mentre opera una rottura di confini culturali netti, la radio porta nelle case degli ascoltatori una voce che qui viene ospitata. Byung-Chu Han ne L’espulsione dell’Altro immagina un futuro in cui potrebbe nascere il mestiere dell’ascoltatore, una figura che dietro compenso offrirà ascolto all’Altro. Per ora il capitalismo non ci ha ancora regalato questa gioia e Radio Ghetto si può ascoltare liberamente, ma certo senza essere pagati. Porta con sé uno scarto di comfort e un senso di comunità differente rispetto a quello a cui ci ha abituato la cosiddetta società civile.
Durante le trasmissioni radio, curate direttamente da chi abita le comunità della Capitanata, si discute delle condizioni di vita e delle difficoltà del lavoro agricolo. Si informa chi è appena arrivato su leggi e diritti italiani. Si discute del caporalato, si registrano voci, si ascoltano musica e radio-giornali e si svolgono contest per rapper che vivono nei ghetti. È condivisa la storia quotidiana degli speaker, dalle problematiche relative al proprio percorso migratorio alla quotidianità della provincia, sino a che i generatori elettrici si fermano.
Il fare di Radio Pomodoro rompe la spettacolarizzazione televisiva/giornalistica dei ‘ghetti neri’ come emergenza (un fare che ha anche la colpa di occultare la massa di lavoratori/trici dell’Est Europa), un mantra che ha il potere di rinvigorire le ragioni d’essere della nuda vita esclusa dalle regole della cittadinanza, ovvero delle persone illegali.
Eppure il concetto di “campo” di Agamben, che il filosofo presenta quale nomos della società moderna, è qui come nel resto d’Italia già ibridato e in trasformazione. Accanto alla nuova shoah (la “Auschwitz on the beach“ per cui Franco Bifo Berardi è stato messo alla gogna nell’estate della indebitatissima Documenta 14) ci sono, infatti, le seconde e le terze generazioni a rompere questa struttura. Ci sono studenti universitari di colore che vanno in Puglia a lavorare per la stagione, c’è chi ha perso il posto di lavoro e che deve scendere a compromessi con il mercato del lavoro, pur avendo i documenti di soggiorno. I negri che accompagnavano Otto Penzig sul Monte Sabber, meno esotici di una Dodonaea viscosa, ora sono i nostri vicini di casa. Tra le rovine del Sud Europa però si possono rivivere ancora scene di pioneristico colonialismo, come un mesetto fa mentre risalivo le scale mobili della Stazione Centrale e guardavo Valeria Marini insultare il suo portaborse negro.
Chissà se nelle scuole elementari dello stivale dei figli di Minniti si cominceranno a insegnare la storia e la geografia d’Africa e perché there’s “No life in Lybia”, magari con un ritratto di Enrico Mattei appesa sopra la lavagna. Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo racconta nel novembre 2009 di Abdu Wali, prigioniero somalo nel carcere di Gatrun dopo essere stato intercettato dalla “barca degli italiani”. Tutti gli uomini sul gommone fermati dalla barca italiana erano somali. “Tre parlavano in inglese e facevano da interpreti con gli italiani. “No life in Libya” dicevano. Gli abbiamo spiegato che siamo somali, che in Somalia c’è la guerra e che in Libia ci avrebbero arrestati. Chiedevamo asilo politico…”.
Chissà perché appoggiata a un calorifero spento nei primi freddi di questo autunno rincorro la storia fra Eni e National Oil Company per lo sfruttamento di giacimenti di gas in Libia. Chissà se nel 2047, quando questo accordo vedrà la sua scadenza, nella gara di velocità mediterranea fra gas e barconi il metano arriverà ancora per primo. Mentre navi di turisti andranno a zonzo nello stesso tratto di mare servendo pasta al pomodoro.
Una delle puntate di Radio Ghetto Africa del 2016, trasmessa dentro il Gran Ghetto di Rignano Garganico in francese nel 2016, era dedicata a L’illusion de L’Europe, ovvero al momento in cui l’ideale rappresentato dal raggiungimento del vecchio continente può divenire delusione per chi lascia l’Africa per raggiungere l’Eldorado del Nord. Tra gli ospiti intervistati, Sissoko e Ibrahim, entrambi provenienti dal Mali, sono parte del flusso di vita che attraversa il campo. Le loro storie mettono a nudo e sovvertono, per orecchie che abitano entrambe le sponde del Mediterraneo, lo sfruttamento e l’isolamento di chi ha raggiunto il Sud Europa.
Radio Ghetto trasmette e archivia una piccola parte della politica dello sfruttamento, degli affari mafiosi e della criminalità nelle campagne foggiane. Lo fa grazie all’impegno e al sostegno di tutti gli abitanti dei ghetti e di attivisti, volontari e giornalisti che hanno scelto di dedicare il proprio “tempo libero” a una esperienza di registrazione di testimonianze delle geometrie invisibili degli stati di esclusione.
Radio Ghetto Italia viene trasmessa da:
–Radio Black Out (Torino, 105.25 FM): giovedì 10.00
–Radio Beckwith (Piemonte, per le frequenze visita il sito): lunedì 19.00
–Radio Fragola (Trieste, 104.5 – 104.8 FM): giovedì 14.00
–Radio Cooperativa (Veneto e Friuli Venezia Giulia, per le frequenze visita il sito)
–Radio Città del Capo (Bologna, 94.7 – 96.25 FM): venerdì 20.00
–Radio Città Aperta (Roma, 88.9 FM): venerdì 13.00
–Radio Ciroma (Cosenza, 105.7 FM)
–Radio Barrio (WEB): martedì 10.00
Radio Ghetto Africa viene trasmessa da:
–Radio Beckwith (Piemonte, per le frequenze visita il sito): martedì 14.30
–Radio Barrio (WEB): mercoledì 10.00
–Air Du Mboa (Marocco, Webradio): mercoledì 20.00 in replica domenica 20.00
–La Voix des Balé (Bale – Burkina Faso, 103.6 FM): giovedì 16.00
–Omega (Ouagadougou – Burkina Faso, 103.9 FM): sabato 13.30
–Ouaga FM (Ouagadougou – Burkina Faso, 105.2 FM): dal 5 Ottobre
–Lafia FM (Timbuctù – Mali, 94.6 FM): domenica 16.00
–Fraternité FM (Parakou – Benin, 96.5 FM): mercoledì 22.30 – 23.00
–Nafoore.fm (Kolda – Senegal, 89.7 FM): sabato 17.00 – 18.00
–Seneweb (Senegal)