Oltre ogni folle idea di redenzione

8 Ottobre 2014

Le persone, soltanto le persone (Minimum Fax, 2014) è una raccolta di nove racconti.

Diversi lo stile, i personaggi, la struttura, il ritmo e la focalizzazione, comune l'ambientazione capitolina, una Roma vissuta o evocata come luogo del ritorno, scenografia di bar fatiscenti, parchi vuoti, scomodi appartamenti di periferia, notturni in autostrada e motel con la moquette sporca e l'odore acido della colla della carta da parati.

Comune è anche l'universo umano, sempre in qualche modo orfano, mutilo, mancante di qualcosa: il denaro, la lucidità, un arto, un'occasione, l'amore, la parola, il perdono.

 

E comune è la difficoltà di comunicazione, diffusa nei diversi racconti come una malattia, l'incolmabile distanza tra le persone che le parole, i gesti, il sesso e le promesse non riescono quasi mai ad accorciare (“Che cos'è che non riesce a uscire mai? Che cos'è che non ci sembra importante, e che finiamo col tacerci?”).

Pulsa tra le pagine una tensione logorante, la sanguinosa guerra con gli spettri delle occasioni perdute e i protagonisti, tutti maschili, percorrono lo spazio del racconto illuminati da una luce al neon, imprecisa e ingenerosa, che mette a nudo cicatrici e ossessioni per lasciar buie ampie aree desertiche di solitudine e privazione (“Pensi sempre alle cose come un abbandono. Prendi la distanza come una condanna” viene detto al protagonista del primo racconto).

 

Christian Raimo

Christian Raimo

 

E se gli uomini sono quasi sempre ingranaggi inceppati, maschere stereotipate d'infedeltà, egoismo e inconcludenza, alle prese con il desiderio di fuga e il disperato tentativo di tenere in piedi l'edificio crollante della loro esistenza, il distruttivo equilibrio delle proprie nevrosi, le donne sono quasi sempre controparte accessoria, destinatarie inconsapevoli delle compulsioni maschili.

Altrettanto problematiche, ma apparentemente più consapevoli dei loro compagni, sono spesso figure volatili e in fuga (una su tutte Alice, donna fantasma di Il cielo stellato lontano da noi), i cui nomi vengono ripetuti con l'insistenza di un'invocazione (Paola, Susanna, Alice, la triplice Daniela di Le cose…), quasi a volerne ricreare la presenza grazie al solo potere evocativo del nome, o, al contrario, cancellarne l'esistenza secondo la calviniana regola delle Città invisibili.

 

Se i personaggi si trovano arginati in claustrofobiche spirali d'inquietudine, diventa necessario trovare una via d'uscita, cercando – come in Calvino contro Pasolini – la realtà nell'esplicita finzione e trasfigurando memoria e miti per leggere la propria esistenza a rovescio, sperando di trovarci qualcosa che era sfuggito; oppure – come in Ceto medio – recitando con realismo grottesco la parodia della propria vita fino a scoprire la verità senza saperlo.

O ancora – come in Niente più culto dei morti nell'Italia del Novecento – decidendo di rompere il meccanismo e seppellire “tutto quello che ha bisogno di essere seppellito”.

 

Disagio, dolore, malattia, morte, speranze e tradimenti sfilano su un registro che si concede pochi affondi e rari virtuosismi nel tentativo di restituire con la sincerità accidentale della fotografia quei casi in cui la vita inciampa e va in stallo.

Il narratore pare indeciso tra l'asettica e brutale disposizione di un'umanità deteriorata, quello “spietato nitore” di cui si parla nel risvolto di copertina, e l'empatico coinvolgimento verso le fatiche di tutti quei Sisifo infelici.

 

È un punto d'osservazione ambiguo e spesso scomodo, che lascia al lettore il dubbio di guardare nel modo sbagliato, in bilico tra l'imbarazzo di scoprirsi troppo vicini e invadenti e la costante sensazione di perdere qualcosa. Tutti i racconti sono costruiti in modo da creare piccoli traumi, una fiduciosa ricerca di senso o di verità crudelmente impedita, un desiderio di risoluzione costantemente inappagato.

 

Resta il disordine che è comune a quei personaggi che vediamo srotolarsi sulle pagine, di cui leggiamo le mancanze e di cui ci sembra di ignorare qualcosa d'essenziale, personaggi in formato fototessera come quelli sulla copertina firmata da Riccardo Falcinelli: volti congelati in un istante, occhi spalancati e fissi o semichiusi e affaticati, bocche un po' storte, arbitrariamente fermate per sempre sul punto di arricciarsi, baffi asimmetrici, incisivi che spuntano, facce diverse sullo stesso sfondo pallido, ripetute in serie fino a perdere ogni profondità.

 

E se si toglie tutto il contorno, l'ipotesi rassicurante di un lieto fine, l'assurda pretesa di una regola e ogni folle idea di redenzione, ciò che resta sono le persone, soltanto le persone.

 

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