Prima cosa, disinnescare la bomba

17 Settembre 2012

Qualche settimana fa, ben prima degli scontri che hanno insanguinato l’ambasciata americana in Libia, a Parigi è esplosa una bomba. Benché l’effetto sia stato decisamente meno cruento - un importante consulente di Gallimard, Richard Millet, ha dovuto dimettersi - la materia esplosiva è la medesima: una rozza opera d’ingegno (se così si può dire) che ha lasciato sbigottita la comunità intellettuale di Parigi e non solo, per le posizioni reazionarie e razziste che vi sono espresse.

 

Una bomba solitamente è composta da un contenitore, che garantisce una buona combustione all’esplosivo, e da un innesco senza il quale essa è quasi inoffensiva. In questo caso fa funzione d’innesco il titolo di un breve saggio, Éloge littéraire d’Anders Breivik (parte seconda di un pamphlet intitolato Langue fantôme) di Richard Millet, che, a partire dalla strage di Utoya, tenta di ragionare sull’Europa di oggi vista come una civiltà decadente schiacciata dalla crisi economica, specchio di un imperante multiculturalismo che ha annacquato quella che era un’identità comune in cui rispecchiarsi.

 

Col suo titolo più detonante che denotante, il testo di Millet non è altro che la rimasticatura di polverosi e sin troppo risaputi ragionamenti reazionari. Paragonato ai testi antisemiti di Céline come a quelli più decadenti di Cioran, il saggio, pur ricordando argomenti tipici dello scrittore collaborazionista Drieu de La Rochelle, è piuttosto una parodia di questi famigerati esempi novecenteschi: più una simulazione letteraria di gusto postmoderno che un manifesto polemico. Millet è dunque in sostanza uno scrittore frustrato? Forse, si è detto anche questo. Di certo l’uso che fa della realtà come materiale letterario incide con assoluto cinismo nel vivo dei sentimenti e della sensibilità dei lettori.

 

Nel suo breve scritto Richard Millet prende inizialmente le distanze dall’azione criminale di Breivik per poi però farne un elogio estetico, giudicando apprezzabile l’intelligenza criminale di chi è riuscito a eludere l’intervento delle forze dell’ordine, prima facendo esplodere una bomba nel centro di Oslo e poi compiendo la mattanza sull’isola di Utoya. Ma oltre l’esercizio estetico, già di dubbio gusto, Millet affonda nella peggiore retorica reazionaria quando intravede in Breivik un uomo più che altro disorientato, privo di riferimenti identitari forti, reso sostanzialmente folle da un multiculturalismo a cui l’Europa si sottopone sotto la guida di “benpensanti” che stanno privando il vecchio continente della sua anima originale.

 

Le reazioni non si sono fatte attendere. Dapprima Tahar Ben Jelloun, intervistato a France Inter, si è espresso duramente contro l’autore chiedendone la cacciata dal comitato di lettura di Gallimard. Poi una serie di articoli a firma di vari intellettuali, tra i quali Pierre Nora, Delphine de Vigan, Agnès Desarthe, Camille Laurens, Amélie Nothomb, Dan Franck e non ultimo il premio Nobel Jean-Marie Gustave Le Clézio, hanno chiesto l’allontanamento di Millet dalle edizioni Gallimard. Lo stesso primo ministro Jean-Marc Ayrault si è detto choccato dalle idee di Millet. Antoine Gallimard, con non poca indolenza, si è detto ancora in vacanza e certamente inorridito dal testo del suo editor, insistendo solo in un secondo tempo per le sue dimissioni. In Italia prima “la Repubblica” ha pubblicato un pezzo di Ben Jelloun, e quindi “Il Foglio” ha tradotto il testo di Richard Millet denunciando anche una sorta di azione censoria contro di lui e aprendo così un dibattito che ha coinvolto tra gli altri Barbara Spinelli, che nel suo pezzo sempre su “Repubblica” ha sostanzialmente capovolto le tesi deliranti di Millet dimostrandone sia la spregevole pretestuosità che l’infondatezza.

 

Se Jonathan Littell ne Le Benevole innalza a letteratura la vita di un nazista, Millet idealizza l’estetica del gesto di Breivik, non giustificandolo, ma ancor più gravemente considerando il suo comportamento del tutto ovvio e conseguente in un’Europa priva di un’identità forte. è una colpa, e non un limite di Richard Millet, uomo colto ed esperto, tanto da aver scoperto e portato al successo Jonathan Littell e Alexis Jenni, entrambi vincitori di un premio Goncourt, la mediocrità con cui maneggia letterariamente un evento di tale portata come la strage di Utoya. Forse la bomba gli è esplosa tra le mani, poco importa: di certo lui voleva che esplodesse.

 

Hitler era un artista mancato e molte volte si è fatto ricorso a questa sua frustrazione per spiegare la rabbia, ma anche la forza distruttrice (e in un certo senso artistica) del Terzo Reich. All’indomani dell’11 settembre 2001 Karlheinz Stockhausen definì l’attentato l’opera d’arte più grande mai esistita. Nel suo Éloge littéraire d’Anders Breivik Richard Millet compie un passo ulteriore, denunciando, più che i presunti mali del multiculturalismo, le frustrazioni di un intellettuale a tal punto integrato nel sistema da confondere il male con i maledetti, gli aguzzini con i condannati. E in questo non è solo: gli stessi intellettuali che gli si oppongono pur partendo da presupposti obiettivamente giusti e sensati, finiscono per colpire Millet in maniera personale. Non è così importante stabilire se Millet possa o meno sedere nel comitato di lettura di Gallimard o se possa o meno scrivere e pensare ciò che effettivamente pensa e scrive. E non per una questione di libertà di stampa, come sostenuto da alcuni giornali conservatori, ma perché Millet non rappresenta altro che il sottobosco di un pensiero unico liberista e contemporaneamente liberticida che attraversa l’Occidente con ottusa baldanza da ormai almeno vent’anni.

 

Si sono raccolte firme autorevoli per chiedere che Millet venisse cacciato da Gallimard, ma al di là di scandalizzate prese di distanza, poche sono state le parole spese per confutare le sue idee, come se una sorta di pudore impedisse di rilevare le difficoltà della società attuale. L’impressione è che a dominare sia un conformismo cieco e vacuo che lascia i tanti intellettuali scandalizzati dalle parole di Millet nel suo stesso brodo culturale e sociale: entrambi volti di un mondo integrato che spartisce il proprio tempo più con i guardiani dell’ordine che con quanti, chiamiamoli “gli ultimi”, da quest’ordine sono assoggettati, siano essi le masse arabe spinte ad assurde guerre sante o una classe media occidentale sempre più rinchiusa nella paura e incapace di ogni reazione.

 

Éloge littéraire d’Anders Breivik probabilmente era solo una bomba giocattolo e disinnescarla come se fosse vera non ha fatto altro che rivelare la superficialità in cui si muove una politica ridotta a parco giochi per un'élite. Millet si è dimesso, il parco giochi è salvo, ma fuori l’esplosione ha deflagrato, per l’ennesima volta tra le rovine.

 


Tahar Ben Jelloun, conversazione a France Inter.

Tahar Ben Jelloun, Repubblica.

Pierre Nora, Le Monde.

Annie Ernaux e i firmatari contro Richard Millet, Le Monde.

Giulio Meotti, Il Foglio.

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